Non scadremo nel populismo in salsa nordista

  

Cercherò di rispondere all’obiezione di fondo del vostro editoriale di due giorni fa, che in pratica mi chiedeva di abbandonare la proposta lanciata dal palco del Pride nazionale di Roma del 16 giugno, d’obiezione fiscale.

Ieri ho anche letto con piacere l’articolo di Billotta e Comelli, che m’invitano, inoltre, a non procedere con le campagne di restituzione delle carte d’identità e delle tessere elettorali.

Da destra a sinistra, sono abituato ad essere considerato nell’ultimo anno come un pericoloso estremista, e di questa più volte ne abbiamo riso insieme con la redazione de il Riformista. Comprendo però, che a differenza di altri, voi prendiate sul serio l’evoluzione politica e sociale del movimento lgbt, che in pochi anni è uscito dal ghetto dell’auto referenzialità e oggi si propone come soggetto politico autonomo, distante e distinto dai partiti.

Non si tratta di una formuletta vuota e consolatoria, ma come ha ben dimostrato la "riconquista" di Piazza San Giovanni, di un lavoro duro, per lo più inascoltato dal ceto politico italiano, che oggi ci consegna nuove responsabilità e pazienti riflessioni. E’ proprio dalla constatazione che l’attuale politica è improbabile che possa rispondere adeguatamente alle rivendicazioni di quella piazza, che ci obbliga a seguire un percorso differente rispetto alle classiche campagne, pressioni sociali, manifestazioni.

Abbiamo compreso fino in fondo sulla nostra pelle, che l’atavica volontà del sistema dei partiti italiani (con alcune eccezioni) di non concederci alcun tipo di diritto di cittadinanza, ci pone nei fatti fuori dalla comunità civile di questo Paese. C’è da intenderci, noi siamo dentro la società italiana, e a parte le pesanti e violente azioni di discriminazione ed intimidazione, che a volte arrivano fino all’assassinio, da parte di gruppi di neo fascisti o nazisti, o persino semplicemente balordi, non registriamo per niente un’ostilità diffusa nei nostri confronti. Anzi, gli ultimi decenni hanno segnato una vera e propria rivoluzione dei costumi e della convivenza sociale, tanto che oggi non è difficile imbattersi in caseggiati (soprattutto nelle grandi città) dove le coppie lgbt sono ben integrate, conosciute, apprezzate.

Ma persiste l’esclusione al diritto, che ogni giorno diventa più pesante, odiosa, inspiegabile. Stiamo parlando di una situazione che ha superato da tempo il livello di guardia. Le cittadine e i cittadini lgbt italiani si sentono rinchiusi dentro ad una riserva, impossibilitati di condurre una vita decente, (forse per voi eterosessuali abituati da una cinquantina d’anni a godere appieno delle libertà è un sentimento difficile da comprendere!), trattati con sufficienza, se non con spregio dalle élite di questo Paese.

Insomma, cari amici del Riformista, abbiamo deciso che il tempo delle proteste formali si è concluso e, che non vogliamo più collaborare. Altro che sciopero fiscale o incitazione all’evasione, noi stiamo parlando di azioni che si rifanno alla tradizione della non violenza anti collaborazionista indiana. Cari Billotta e Comelli, la via giudiziaria è un’opzione interessante e da percorrere utilizzando appunto alcuni casi emblematici, altra cosa è chiedere che migliaia di persone e il movimento si impegnino anni (a volte 6-8) per intentare cause che sappiamo benissimo destinate, almeno fino ad ora, al nulla di fatto.

Nella nostra azione unitaria, che ci ha consentito di organizzare la più grande manifestazione della sinistra sociale degli ultimi vent’anni, ci ha guidato un obiettivo di fondo: dare una sponda politica credibile ad un popolo che si sente escluso. Appunto di un popolo, che non ha alcuna intenzione di accettare risposte offensive e caritatevoli, Non sappiamo da quale delle azioni annunciate partiremo, se ne aggiungeremo altre. Ora, inizia un periodo di capitalizzazione seria del risultato ottenuto in termini di partecipazione e di risposta ai nostri avversari: non è un caso che la gerarchia cattolica, sempre così incontinente nelle sue dichiarazioni omofobiche abbia scelto il silenzio, non è un caso che i grandi mass media, dalla carta stampata alle tv, abbiano calato il sipario appena dopo 24 ore dal Pride, mentre sul Family Day ci hanno ammorbato con programmi, analisi, talk show, ospitate, per oltre due mesi.

Abbiamo colpito nel segno e, se voi, de il Riformista, uno dei pochi giornali che da tempo ha compreso che stavamo facendo sul serio, ci invitate alla moderazione, vuol proprio dire che siamo stati bravi. Non so se la riconsegna delle tessere elettorali o delle carte d’identità o l’obiezione fiscale, siano strumenti politicamente corretti, sicuramente alcuni di questi segnalano alla politica un fatto che va oltre la destra e la sinistra: un’insopportabile apartheid sociale da cui vogliamo emanciparci con determinazione e coraggio, utilizzando tutti gli strumenti giuridici, fiscali, politici a disposizione.

Non vi preoccupate cari amici, non faremo mai alla politica, alla gerarchia, ai grandi mass media, il regalo di precipitare nell’estremismo caciottaro italiano, nel bieco populismo peronista in salsa nordista, né tantomeno nel vittimismo demagogico. Siamo oggi in campo e ci vogliamo rimanere: saremo prudenti, ma decisi nel condurre la nostra battaglia con strumenti inediti ed emblematici, che faranno bene a questa democrazia disossata dalla voracità cinica di una classe dirigente privilegiata ed egoista, che ha paura di quei cambiamenti che la potrebbero finalmente travolgere.


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