A colloquio con… Riccardo Gottardi

  

Nel ‘98 a 21 anni diventa vicepresidente dell’Arcigay di Pisa. Nel 2000, durante la permanenza in Francia per un progetto Erasmus, fonda l’associazione lgbt dell’Università di Parigi XI e collabora con l’organizzazione gay lesbica del partito socialista francese. Lo ascolti e tornano in mente le parole di Pedro Zerolo, dirigente gay del partito socialista spagnolo: «Bisogna smascherare sempre chi intende negare i nostri diritti, bisogna dare loro dei bugiardi, degli ipocriti, perché questo è ciò che sono».
Riccardo Gottardi è co-presidente di ILGA Europe, sezione europea dell’International Lesbian and Gay Association. Riccardo, una laurea in fisica e un dottorato di ricerca sulle nanotecnologie, è l’italiano che nel 2004 riuscì a spiegare ai parlamentari europei quanto fosse discriminatorio l’atteggiamento di Rocco Buttiglione (e quanto poco adatto fosse l’ex ministro italiano a diventare commissario UE alla Giustizia).

Ma cosa ci insegna il “caso Buttiglione”?

Ci insegna che se agiamo con professionalità e decisione, sorretti dalla forza dei nostri ideali, possiamo riuscire ad ottenere dei risultati veri e fermare gli omofobi.

Come considerano l’Italia i tuoi colleghi dell’ILGA?

Quando ti chiedono: “Da dove vieni?”, e rispondi: “Dall’Italia…”, senti: “Ah, mi dispiace…”. Pur sfoderando tutto l’orgoglio nazionale di cui sono capace, è difficile dargli torto. Per loro è incomprensibile che chi viene eletto non prenda posizione sulle nostre tematiche o, peggio, non mantenga gli impegni presi. “Se non fanno quello che vi hanno promesso, perché li eleggete di nuovo?”, mi chiedono.

Come si introduce nel contesto italiano la politica europea sui diritti di gay e lesbiche?

Si sente spesso ripetere: “È l’Europa che ci obbliga a riconoscere i matrimoni gay”. Detto così, questo è falso. Dovremmo cercare di portare il dibattito ad un livello più alto. Francamente, quando si parla di diritti, non possiamo nasconderci dietro l’Europa. La lotta è in Italia. L’Europa ci mette a disposizione degli strumenti (studi, ricerche, direttive, confronto e scambio di buone prassi…), noi dobbiamo studiarli e utilizzarli. Soprattutto dobbiamo iniziare a parlare non solo di diritti ma anche di valori.

Il 2007 è l’anno europeo delle “Pari opportunità per tutti”.

Non si ha idea di quanto lavoro ci sia dietro a quel “per tutti” che include anche noi. Quest’anno può essere lo stimolo a correggere la normativa italiana sulla non-discriminazione delle persone omosessuali sul luogo di lavoro.

Secondo l’Eurobarometro, il 31% degli italiani è favorevole al matrimonio omosessuale, mentre il 24% è favorevole alle adozioni. In media, nell’UE, il 44% degli intervistati è favorevole alle unioni gay, mentre il 32% appoggia le adozioni omosessuali. Come interpreti questi dati?

Gli italiani stanno accettando pian piano anche l’idea del matrimonio aperto a tutti. Più si parla di coppie omosessuali, più si “vedono” coppie omosessuali, e più ci si rende conto che non c’è motivo per cui non dovrebbero potersi sposare. Ogni persona, ogni coppia omosessuale che fa coming out, che si fa conoscere da parenti, amici, vicini, fa crescere il consenso.

Oltre al matrimonio, pensi sia giunta l’ora di parlare apertamente di adozioni in Italia?

Le adozioni suscitano molte paure irrazionali. Irrazionali perché non tengono conto della realtà dei figli – che già ci sono – cresciuti felicemente da coppie dello stesso sesso. Spero davvero che, quando saranno maggiorenni, questi figli porteranno la loro esperienza nel dibattito pubblico, come è successo ad esempio negli Stati Uniti.


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