Cosa succede in famiglia se il figlio fa coming out

  

Firenze – Solo qualcuno confessa di aver reagito con uno schiaffo, o aver cacciato il figlio di casa. Ma per contarli bastano le dita di una mano. La stragrande maggioranza dei genitori, anche se messa in crisi dal coming out del figlio gay o della figlia lesbica, non lo rifiuta. Anzi, dopo una fase iniziale di smarrimento, paura, dolore, la famiglia circonda il figlio di amore e solidarietà; cercando anche di offrirgli protezione nei confronti di una società ancora ostile. E molti genitori raccontano che, dopo la rivelazione, i rapporti familiari sono diventati più autentici.

Le reazioni di genitori, sorelle, fratelli, alla rivelazione dell’omosessualità del figlio/a, sorella, fratello, sono state studiate, indagate, approfondite, da uno studio condotto su circa 200 famiglie da due ricercatrici dell’Università del Piemonte orientale, Chiara Bertone e Marina Franchi.

La ricerca verrà presentata a Firenze il 20 e 21 giugno prossimi, nel corso della conferenza internazionale Family matters. Sostenere le famiglie per prevenire la violenza contro giovani gay e lesbiche, organizzata da un gruppo di associazioni tra cui l’Agedo (Associazione genitori di omosessuali), con il sostegno della Regione Toscana.

Le due giornate sono l’evento finale di un progetto di ricerca realizzato dall’Università del Piemonte orientale “Amedeo Avogadro”, con la partnership di organizzazioni di famiglie con figli/e omosessuali in Italia (Agedo), Gran Bretagna (Fflag) e Spagna (Ampgil), nel quadro del programma Daphne della Commissione Europea. Nel corso del convegno, oltre alla ricerca, verrà presentato in anteprima anche il video “Due volte genitori”, di Claudio Cipelletti, un prezioso documentario di 90 minuti, in cui i genitori di giovani gay e lesbiche escono allo scoperto, raccontando le loro esperienze.

«Per qualità, dimensione europea, argomenti trattati e campo di indagine – dice Agostino Fragai, assessore alle riforme istituzionali e alla partecipazione – questa ricerca contribuirà non poco ad una maggiore conoscenza, anche per le istituzioni, dei problemi connessi con l’accettazione dell’omosessualità. L’impegno a costruire un contesto sociale rispettoso di ogni orientamento sessuale è presente nell’azione della Regione Toscana, la quale, peraltro, dispone di una legge specifica la cui attuazione è affidata a una task force. Tutto questo non è estraneo alla scelta di Firenze come luogo della conferenza internazionale. Trovo inoltre di particolare valore che oggetto dell’indagine siano le famiglie che, insieme alla scuola, rappresentano i luoghi fondamentali degli affetti e delle relazioni, soprattutto in età infantile e adolescenziale. E proprio in direzione della formazione degli insegnanti, a! nche in funzione di lotta al bullismo omofobico, abbiamo promosso lo scorso anno un interessante e partecipatissimo convegno».

«Le famiglie dei giovani gay e lesbiche – dicono gli organizzatori della conferenza – si trovano sostanzialmente sole nell’affrontare le difficoltà di accettare l’omosessualità e nell’aiutare i propri familiari a fronteggiare discriminazioni e violenze».

Alla conferenza parteciperà anche Paolo Brunetto, il diciottenne palermitano che a fine maggio è stato accoltellato dal padre, che aveva scoperto, e non accettava, la sua omosessualità. Ora Paolo Brunetto vive in Toscana, dove ha trovato lavoro e alloggio nel locale “Friendly Versilia”, di Torre del Lago.

http://www.daphnefamilymatters.net/

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SCHEDA
Prima la crisi, poi amore incondizionato e solidarietà

“Family matters. La esperienze dei familiari di giovani lesbiche e gay in Italia” è la più ampia ricerca sociologica effettuata in Europa sui familiari di giovani omosessuali. E’ stata condotta da Chiara Bertone e Marina Franchi, del Dipartimento di ricerca sociale dell’Università del Piemonte orientale.

«La ricerca – spiegano le autrici – è stata realizzata in Italia, dove i rapporti dei giovani omosessuali con le loro famiglie emergono come particolarmente significativi. A differenza di molti altri Paesi occidentali, in Italia, come tutti i giovani, anche gay e lesbiche tendono a vivere con le loro famiglie di origine a lungo, ben oltre i vent’anni, e i legami con i genitori restano spesso fondamentali, anche come fonte di sostegno, successivamente all’uscita dalla famiglia”. Analoghe ricerche sono state condotte in Spagna e nel Regno Unito, ma con taglio diverso: la ricerca spagnola è sui “Programma pubblici a sostegno delle famiglie con giovani omosessuali”, quella britannica su “Le organizzazioni non gov! ernative che sostengono le famiglie con giovani omosessuali in! Europa& raquo;.

La ricerca italiana è stata condotta raccogliendo direttamente, attraverso la distribuzione di un questionario e la realizzazione di interviste in profondità, le esperienze di oltre 200 familiari di giovani gay e lesbiche tra i 14 e i 22 anni (o che comunque sono divenuti visibili in quella fascia di età). Le famiglie sono diverse per provenienza geografica (il campione è uniformemente distribuito tra Nord, Centro, Sud e isole, grandi città e piccoli centri) e livello di istruzione (dalla licenza media alla laurea). L’82% degli uomini e il 72% delle donne si dichiara cattolico. Il 70% degli intervistati si dichiara di sinistra, il 4% di destra, il restante 26% si distribuisce equamente tra centro-sinistra e centro-destra.

Al questionario hanno risposto 119 madri e 53 padri. Le interviste sono state realizzate anche con fratelli e sorelle. Nel 64% dei casi la scoperta è avvenuta in modo diretto, con un esplicito coming out del figlio/a. Negli altri casi, lo si è saputo da un’altra persona, lo si è scoperto leggendo il diario del figlio, trovando una lettera o del materiale sull’omosessualità. Centrale la figura della madre, che spesso è stata la prima tra i familiari ad averlo saputo, ed ha avuto poi un ruolo di mediazione nel rapporto con il padre («aiutami a dirlo a papà»). Un ruolo importante lo giocano anche fratelli e sorelle, che in molti casi sanno prima dei genitori, ed esprimono complicità e condivisione.

Per molti genitori (53% dei padri e 44% delle madri) la scoperta arriva inaspettata. Negli altri casi, raccontano di aver già avuto dei sospetti. La prima reazione alla scoperta è di smarrimento, paura, dolore. Ma solo una minima percentuale confessa di aver avuto reazioni violente: tre madri hanno dato uno schiaffo, altre due hanno cacciato il figlio di casa. Un padre ha detto! al figlio maschio: «Non sei più mio figlio»;. Due madri hanno definito i figli maschi dei «pervertiti». Qualcuno ha avuto una reazione ricattatoria: «Perché mi dai questo dolore?», altri hanno ritenuto che il figlio/a fossa stato «traviato» da qualcuno. Quasi tutti, comunque (161 su 168) rifiutano il concetto di omosessualità come malattia.

Dopo la crisi, la forte emozione della scoperta, a prevalere sono comunque sentimenti di amore incondizionato, solidarietà, protezione, talvolta complicità. Il legame col figlio non viene mai messo in discussione, non viene spezzato dalla scoperta della sua omosessualità. Le frasi in cui la maggioranza dei genitori si riconoscono sono «l’importante è che tu sia felice» (88%), e «mi dispiace non esserti stato vicino quando ne avevi bisogno» (69%).

Spesso la rivelazione rende più autentici i rapporti all’interno della famiglia: genitori e fratelli descrivono il cambiamenti in termini di «liberazione», «maggiore confidenza», «maggiore intimità». «Ci dobbiamo ritrovare – dice una madre – Siamo una famiglia diversa, ma sempre una famiglia, anzi… forse una famiglia vera».
«Dopo la scoperta – osservano le ricercatrici – si riflette di più sulla famiglia, si cercano nuovi codici di comunicazione e regole non fondate sul modello dato per scontato dell’eterossesualità».

A quel punto il problema si pone semmai al di fuori del contesto familiare: «I genitori – riferiscono le ricercatrici – si trovano a dover fare essi stessi delle scelte rispetto al proprio “coming out”, se e quando diventare visibili come genitori di una ragazza o un ragazzo omosessuali». Allora si evita di dirlo a parenti e amici che «non potrebbero capire», perché magari hanno in altre occasioni dato prova! di atteggiamenti negativi verso l’omosessualità,! o perch é molto religiosi.

L’integrazione dell’omosessualità del figlio nella vita familiare è accompagnata comunque da un desiderio di ‘normalizzazione’: per il figlio/a si desidera una vita affettiva appagante, una coppia stabile. Ma a fronte di questi desideri di normalità, resta chiara per i genitori la percezione che i figli dovranno fare i conti con una società ostile, con un Paese che nega loro diritti. E molti genitori pensano, e desiderano, che i figli vadano in futuro a vivere all’estero, in un contesto di maggiore accettazione e riconoscimento di diritti.


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