California, omosessuali in piazza

  

Il 15 novembre è stata una giornata di mobilitazione nazionale per il movimento gay USA, che ha indetto manifestazioni in più di cento città americane, il culmine di dieci giorni di agitazione contro l’abrogazione via referendum del diritto al matrimonio fra omosessuali in California. Le unioni gay erano state autorizzate dalla Corte suprema lo scorso maggio e da allora nello stato si sono sposate oltre 18.000 coppie dello stesso sesso; tutti questi matrimoni si trovano ora in un limbo giuridico, in attesa che qualcuno, presumibilmente la stessa Corte suprema, ne deliberi la validità alla luce dell’emendamento costituzionale che dichiara legali solo le unioni fra un uomo e una donna.

Il passaggio della cosiddetta «proposition 8» per 52% al 48% è singolare in quanto è una rara istanza di revoca di un diritto civile giuridicamente stabilito per mezzo di un voto popolare e ha aperto un dibattito se in un caso come questo il referendum sia legittima espressione di una morale di maggioranza o se invece, come ha sostenuto anche Barack Obama, i diritti civili delle minoranze debbano essere tutelati dallo stato anche contro le opinioni maggioritarie.

La posizione del presidente neoeletto è significativa, in quanto il fattore anomalo del voto californiano è stato proprio l’elettorato afroamericano che, assieme a ispanici e asiatici, ha partecipato in numeri record all’elezione di Obama votando però allo stesso tempo in forte maggioranza (2 a 1 fra i neri) contro i matrimoni. Il movimento gay ha dovuto così constatare con amarezza come proprio il grande moto di popolo progressista che ha portato all’elezione del primo presidente afroamericano abbia allo stesso tempo determinato la cocente sconfitta delle proprie rivendicazioni di uguaglianza. Il dato ha provocato uno strappo «interno» alla sinistra: i gay nella fattispecie accusano i neri di un tradimento su una battaglia per i diritti civili, tanto più imperdonabile in quanto è stato perpetrato da una popolazione vittima storica della segregazione, protagonista a sua volta di una lunga battaglia per i diritti, in cui sono stati appoggiati dal movimento politico gay.

I neri dal canto loro adducono a spiegazione la tradizione culturale e religiosa; ma man mano che il diverbio si è inasprito molti hanno anche obbiettato all’equiparazione della «condizione nera» e quella omosessuale, posizione in cui c’entra l’idea di omosessualità come «scelta volontaria» ma anche la rivendicazione di un certo «primato storico» della discriminazione razziale – nessun omosessuale è mai stato uno schiavo, si è detto, o si è dovuto sedere in una sala d’attesa separata. Jasmyne Cannick, scrittrice nera e lesbica, è giunta in un editoriale sul Los Angeles Times a chiedersi «quale possibile beneficio possono trarre un senzatetto o un sieropositivo senza assicurazione medica o un nero appena rilasciato dal carcere dal diritto di sposare una persona dello stesso sesso?» definendo il movimento per il matrimonio in gran parte un vezzo di una classe di omosessuali facoltosi e in gran parte bianchi. Sta di fatto che la sconfitta ha rigenerato la coscienza politica di un movimento che dal giorno delle elezioni si è ritrovato galvanizzato in decine di proteste giornaliere in molte città californiane, che spesso hanno assemblato migliaia di persone (15.000 sabato scorso sono sfilate nel quartiere losangelese di Silverlake) organizzate con rapidità da flash mob via internet. Proteste che hanno mostrato un’enorme energia, soprattutto da parte di un nuova generazione di militanti, che era assente dai tempi di Harvey Milk, padre del movimento e primo assessore gay di San Francisco, assassinato nel 1978.

In molti hanno polemizzato con la campagna elettorale contro il referendum che ha omesso ogni riferimento ai gay optando per una linea soft vagamente a favore dell’uguaglianza e contando sull’assenteismo dell’opposizione. Quest’ultima invece è stata lautamente finanziata da organizzazioni religiose mobilitando la base degli hinterland con una efficace campagna dal sapore maccartista che paventava «l’insegnamento dell’omosessualità» nelle scuole.

Il maggiore contributo alla campagna per l’abrogazione è provenuto dalla chiesa mormone, paradossalmente cioè dalla setta religiosa che per le scelte matrimoniali (i mormoni erano ufficialmente poligami prima che la riforma dello scorso secolo vi rinunciasse) aveva patito violente persecuzioni. I fedeli mormoni hanno contribuito con oltre $15 milioni alla campagna del sì e molta della rabbia gay di questi giorni è stata diretta contro di loro ed i vistosi templi in marmo bianco subito cinti, come nel caso di Los Angeles, da rumorosi picchetti di manifestanti. Il quartier generale mormone a Salt Lake City in una nota ha negato una direttiva anti-gay definendo il finanziamento un contribuito spontaneo dei fedeli, molti dei quali hanno però confermato di avere ricevuto precise istruzioni in questo senso dalle proprie parrocchie. Una di loro è la proprietaria mormone di El Coyote, storico bar ristorante messicano di West Hollywood molto frequentato da clienti gay, che ha ammesso di aver versato un obolo di $100 alla causa su richiesta della chiesa. Il ristorante è stato ora fatto oggetto di un boicottaggio e con esso molti altri esercizi di cui è stato reso noto l’appoggio alla causa anti-gay

Intanto sono stati presentati numerosi ricorsi alla Corte suprema per invalidare l’esito delle elezioni, raccogliendo l’adesione di molti politici, compreso il governatore Schwarzenegger che dopo la sentenza di giugno ha manifestato aperta solidarietà ai gay. Ora la Corte dovrà presumibilmente tornare sull’argomento, quantomeno per via dei 18mila matrimoni in sospeso, ma difficilmente vorrà contraddire l’esito del referendum. Le altre opzioni per il movimento sono di tornare a modificare la costituzione con un nuovo referendum (rischiando però di perdere nuovamente) o tramite legislazione parlamentare, dove la maggioranza democratica dovrebbe essere favorevole. Innanzitutto c’è da risolvere la questione fondamentale della giurisdizione: se le materie costituzionali, in particolare sui diritti civili, possono essere decise per via referendaria o se il progresso sociale debba a volte forzatamente passare dall’azione «illuminata» della politica, tesi che sembra ora prevalere a Washington. D’altra parte se la questione dei diritti dei neri fosse stata lasciata alla regola di maggioranza nel Sud ci sarebbe ancora un regime di segregazione.

Compito del movimento gay sarà di promuovere la tesi che vuol fare uscire lo stato dalla difesa dei «valori culturali» e pretenderne invece la rigorosa tutela dei diritti di tutti i cittadini. È il ragionamento che ha portato qualcuno a suggerire, invece dell’istituzione dei matrimoni gay, l’abolizione del matrimonio civile per tutti, eterosessuali compresi, lasciando allo stato il solo compito di sancire unioni laiche e giuridiche, tipo Dico, per tutti, e a ognuno, separatamente, il diritto della cerimonia religiosa di preferenza.


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