Trieste, ancora omofobia nel calcio

  

Il Circolo Arcobaleno Arcigay Arcilesbica di Trieste esprime il proprio stupore riguardo le dichiarazioni di alcuni dirigenti del calcio locale apparse nelle pagine sportive de "Il Piccolo" il 9 Gennaio scorso, che, salvo un paio di eccezioni alle quali plaudiamo, esprimono un preoccupante mix di omofobia, ignoranza, stereotipi e pregiudizi.

Nella speranza di essere utili siamo qui a fare chiarezza su alcuni punti: c’è chi afferma che "il problema dell’omosessualità non esiste nel calcio triestino" Prima di tutto: perchè e per chi l’omosessualità dovrebbe essere un problema? L’omosessualità fa male solo a chi non la accetta e non la vuole affrontare, il vero problema è quindi l’omofobia! Inoltre chi fa simili affermazioni ignora le svariate indagini sociologiche le quali affermano, senza ombra di dubbio, che l’omosesssualità è distribuita trasversalmente nella poplazioone senza distinguo di appartenenza a ceto sociale, abitubini o qualsivoglia gruppo o categoria nel quale si vogliano "classificare" gli umani; ivi inclusi, quindi, i gruppi sportivi. Se nessuno, nel calcio, ne parla apertamente lo si deve evidentemente all’ambiente che, proprio attraverso simili esternazioni, si rivela fortemente omofobo e scoraggia la visibilità del fenomeno (ma non certo ne controlla l’esistenza).

C’è, poi, chi non sa se l’omosessualità sia un vizio o una malattia. Né l’uno, né l’altra, bensì una variante normale dell’orientamento sessuale delle persone.

Ci sono poi gli immancabili riferimenti alla famiglia (rigorosamente eterossessuale…) e ai più piccoli. Due riflessioni: a) perchè mai gli omosessuali continuano ad essere contrapposti alla famiglia se è in una famiglia che sono nati e cresciuti? b) sfugge in che modo la presenza di un gay o di una lesbica (sì, perché anche le donne giocano a calcio) possa creare disagio per i più piccoli o addirittura "turbare le famiglie che frequentano la società".

Nel malaugurato caso in cui si stia usando il più triste ed inveterato dei luoghi comuni sull’omosessualità (quello che la vuole ricondurre alla pedofilia), siamo qui a ricordare che, sempre secondo i luminari della psicologia e della solciologia, è sano e normale l’amore  tra persone adulte, indipendentemente dal fatto che si omo o eterosessuale e che il reato di pedofilia è quasi esclusivamente perpetrato da maschi che si definiscono eterosessuali. Se ci atteniamo alle  statistiche criminal sociologiche e se ci facessimo prendere da comode fobie che ci deresponsabilizzano nei confronti dei mali del mondo, dovremmo allora rabbrividire di fronte a tutti gli allenatori eterosesssuali di bambine e bambini.

Si dice poi che l’omosessualità va bene purchè rimanga un fatto privato. Rendere o meno partecipi gli altri della propia vita sentimentale è facoltà del singolo, e non può essere diversamente per una persona omosessuale.

Etero, gay, lesbiche e trans fanno gli stessi lavori( quando non vengono penalizzati per il loro orientamento o la loro apparenza fisica) praticano gli stessi sports e soprattutto hanno pari dignità e il medesimo diritto di vivere una vita serena.

Sarebbe bello che il velo dell’omertà venisse squarciato in questo ambito come è già successo in altri: che i calciatori gay si facciano coraggio ed inizino a fare coming-out aprendo gli occhi a dei dirigenti troppo sicuri delle loro convinzioni e troppo poco informati.

Per il Comitato Direttivo del Circolo Arcobaleno Arcigay Arcilesbica Trieste:
Maria Ginaldi (Presidente)
Nicola Cicchitti (Vicepresidente)

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Circolo Arcobaleno Arcigay/Arcilesbica Trieste
Telefono 040 630606 (attivo il Martedì dalle 18:30 alle 19:30)
Cellulare 349 0582092
Via Pondares 8 (III Piano) – Trieste
Orario segreteria: Martedì dalle 18:30 alle 19:30
http://www.retecivica.trieste.it/circoloarcobaleno/

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Da IL PICCOLO DI TRIESTE del 11 gennaio 2009
«SONO BORIS E HO AVUTO UNA STORIA CON UN GIOCATORE DELLA TRIESTINA»



Un giovane esce allo scoperto: «Chi dice che i gay non esistono nega la realtà»

di Laura Tonero

«Mi chiamo Boris Alesko e ho avuto una relazione con un giocatore della Triestina».

La confessione è di un trentunenne, rappresentante di abbigliamento residente da anni a Trieste. Ha deciso di uscire allo scoperto dopo aver letto nei giorni scorsi sul Piccolo le dichiarazioni di alcuni dirigenti del calcio dilettantistico triestino che hanno recentemente negato la presenza di giocatori gay nelle squadre locali.

Boris Alesko premette di non voler rivelare l’identità del calciatore per non alimentare una curiosità morbosa né per nuocere alla carriera sportiva del giocatore con cui ha avuto una relazione.

«Se parlo è solo per sbattere la verità in faccia ai bigotti, a chi nega la realtà, a chi ha stupide paure e ottusi preconcetti. Sono rimasto sconcertato dalle dichiarazioni del presidente del San Luigi Ezio Peruzzo e di altri dirigenti sportivi di squadre dilettantistiche locali – racconta il giovane – questa gente deve arrendersi al fatto che, piaccia o meno, persone gay ce ne sono ovunque. Così come ci sono i calvi, i baffuti, i magri, i simpatici o i timidi. Esistono in tutte le categorie. Negare la presenza di omosessuali nello sport è negare la realtà che ci circonda. Noi gay sappiamo essere forti, muscolosi, atletici e vincenti come gli uomini con la "u" maiuscola. E visto che nessuno se ne accorge, è evidente che sappiamo fare il nostro dovere in squadra, non creiamo problemi negli spogliatoi e nemmeno nel gruppo».

Moro, belloccio, dall’apparenza un po’ eccentrica, Boris Alesko racconta con un po’ di malinconia che la sua relazione con il giocatore alabardato è terminata nel giugno dello scorso anno. La storia è durata quasi un anno.

«Ci siamo conosciuti tramite il titolare di un negozio di abbigliamento, mio amico, in un ristorante sulle Rive frequentato spesso dai giocatori dell’Unione – ricorda il giovane – e poi casualmente ho incontrato nuovamente il calciatore in un pub. Lui allora era fidanzato, era legato a una bella ragazza. Quella sera, nel locale, ci siamo scambiati il numero di telefono. Ci siamo risentiti e da quel momento è iniziata la nostra relazione. Ci siamo visti anche in pubblico ma per tutelare la sua immagine recitavamo sempre il ruolo dei semplici amici. Non facevamo niente che potesse alimentare qualche sospetto».

Quella tra il rappresentante di abbigliamento e il calciatore alabardato è stata una relazione difficile, fatta di sotterfugi. Una storia che si basava su appuntamenti fuori Trieste oppure su brevi vacanze in Slovenia. A detta di Boris solamente uno dei compagni di squadra del giocatore era al corrente della loro storia.

«Si pensa che in certi ambienti l’omosessualità non esista solo per il fatto che nessuno lo testimonia – prosegue il giovane – ma è evidente che in certi settori ammettere la propria diversità implica la fine di una carriera. Cosa sarebbe successo al mio ex se facendo outing si fosse trovato di fronte un dirigente come quello del San Luigi? Era il mio amico stesso ad ammettere – spiega ancora Boris – che se qualcuno, anche tra i tifosi, avesse saputo che aveva una relazione omosessuale, sarebbe venuto fuori un disastro».

Qualche volta, pur non amando il calcio, Boris Alesko è andato anche ad assistere a qualche partita allo stadio Nereo Rocco: «Sono diventato persino un tifoso della Triestina – racconta – e da allora non mi perdo una partita».

Il giovane ammette di non aver mai giudicato bene i gay che nascondono le loro tendenze sessuali, evitando di vivere alla luce del sole la loro realtà. Ma nel corso degli anni, sulla propria pelle, si è reso conto che la società italiana non ammette diversità: «C’è molta ipocrisia in giro – afferma – e anche chi giura di essere dalla tua parte, in fondo ti considera pur sempre un diverso e guarda con curiosità certi tuoi atteggiamenti quasi tu fossi un panda in una gabbia dello zoo. Agli omosessuali non serve la comprensione. Serve indifferenza».


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