Intervista doppia su Milk

  

A Roma per presentare Milk, il suo film su Harvey Milk (interpretato da Sean Penn), il primo omosessuale dichiarato eletto a una carica pubblica in Usa, Gus Van Sant ha ottimi motivi per essere di buon umore.

Il regista americano insiste per fare l’intervista in coppia con lo sceneggiatore, Dustin Lance Black, di oltre vent’anni più giovane, e che come lui è in corsa per conquistare la statuetta dorata:

«Tutto quello che dice Dustin, lo condivido».

Alla domanda se abbia o meno un fidanzato Van Sant glissa e guarda Black, che fa un colpo di tosse e cambia discorso. Lo sceneggiatore finisce spesso le frasi del regista, a volte gli suggerisce anche cosa dire.

Come quando, parlando di quanto sia difficile crescere gay, gli fa notare:

«Però tu, Gus, non lo hai dichiarato fino a trent’anni».

Gus: «È vero. Avevo paura, ero confuso. L’omosessualità non faceva parte della mia vita. Poi ho trovato un ragazzo con cui ho perso la verginità. È comune tra gli omosessuali fare coming out tardi. L’art director di Milk, Charley Beal, lo ha fatto solo a 56 anni. E lui era sempre stato molto gay nel suo modo di camminare e di muovere le mani, sebbene avesse una moglie».

Dustin: «Che adesso naturalmente ti odia».

Scoppiano entrambi a ridere.

Che cosa si aspetta la comunità gay statunitense dall’amministrazione Obama?

Gus: «Obama mi ha deluso. Sono stato un suo sostenitore e mi ha molto sorpreso che abbia voluto aprire la sua inaugurazione presidenziale con la preghiera di un sacerdote che ha sempre paragonato l’omosessualità alla pedofilia. Su questo si sono scatenate tante polemiche che lo staff ha dovuto arruolare in corsa, ma per un momento minore dell’evento, un leader religioso apertamente gay».

In Italia ci sono polemiche su una canzone, Luca era gay, che verrà presentata al prossimo Festival di Sanremo: dice che l’omosessualità è una malattia da cui si può guarire.

Gus: «Non avevo mai sentito parlare prima di Povia. Mi chiedo perché si permetta a certe persone di predicare alla tv pubblica. O è tutta una montatura per gli ascolti? L’omosessualità non è una malattia. E non è una scelta. Perché mai una persona intelligente dovrebbe voler far parte della comunità più detestata nel mondo?».

Anche noi, nel Parlamento italiano, abbiamo la nostra Anita Bryant, l’attivista conservatrice con cui Harvey Milk dovette più volte scontrarsi. È Paola Binetti, che però milita nel Partito democratico.

Gus: «È così anche da noi. Moltissimi democratici osteggiano le iniziative pro-gay. Ogni volta che a Washington si discute una proposta di legge a favore degli omosessuali in tanti votano contro».

Lei è per i matrimoni gay?

Gus: «In California l’estate scorsa erano legali. Il giorno che hanno iniziato a celebrarli ero a San Francisco e sono andato in Campidoglio. I più commoventi erano una coppia di ottantenni che appena sposati si sono messi a piangere. Anch’io avrei potuto dire al mio compagno: “Che figata! Corriamo a sposarci prima che ci ripensino”».

Perché non l’ha fatto?

Gus: «Allora le nozze non erano nei miei progetti».

E adesso invece?

Gus guarda Dustin e sorride: «Mettiamola così: penso che la prima legge federale da approvare negli Stati Uniti sia quella sui matrimoni gay».

Come l’hanno presa i suoi genitori quando ha confessato di essere gay?

Gus: «Quello è un bel problema: non gliel’ho ancora detto chiaramente».

Dustin: «Gus, credimi, penso proprio che l’abbiano capito».


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