USA, le nozze gay arrivano in Parlamento

  

WASHINGTON – Una nuova Rivoluzione Americana parte dal New England, mette piede nelle piane del MidWest e ritrova echi potenti fino alla West Coast californiana. Con la firma del governatore del Maine, John Baldacci, sono saliti a 5 gli Stati Usa che hanno legalizzato i matrimoni gay.

E potrebbero di ventare 6 già lunedì, se anche il governatore del New Hampshire darà il suo viatico alla legge appena approvata dal Congresso locale.

Cinque anni dopo il Massachusetts, ancora una volta battistrada dell’Unione come lo fu nella rivolta anti-inglese e nella battaglia contro la schiavitù, in un solo mese il Vermont, il Connecticut e perfino l’Iowa, cuore rurale del Paese profondo, hanno legalizzato il matrimonio di coppie omosessuali. Le Hawaii lo riconoscono da tempo, senza però rilasciare in proprio licenze matrimoniali. Lo fa anche lo Stato di New York, dove il governatore David Patterson ha presentato in aprile una legge per la legalizzazione vera e propria. Il New Jersey dovrebbe seguire a ruota. Parlare di un’onda irresistibile non è esagerato.

Il vento dell’Est ha infatti riaperto il dibattito anche in California, dove un referendum costituzionale in novembre aveva rovesciato la decisione favore­vole della locale Corte Supre ma e reintrodotto il divieto. Entro qualche settimana, i giudici dovranno pronunciarsi sulla costituzionalità dell’azione referendaria e potrebbero restituire legalità alle nozze tra omosessuali.

E da ultimo, martedì, il Distretto di Columbia, quello della capitale Washington, ha votato per il riconoscimento dei matrimoni gay celebrati in altri Stati.

La decisione offre l’inattesa opportunità di un confronto politico a livello federale, visto che tutte le leggi del Distretto devono essere approvate dal Congresso. Ma la rivoluzione in corso contrasta con lo strano silenzio della nuova Amministrazione, che fin qui ha evitato ogni commento, nonostante gay e lesbiche siano stati fra i più entusiastici sostenitori della candidatura di Barack Obama. «È il più grande passo in avanti dei diritti civili del nostro tempo e il presidente non ha ancora detto nulla», nota Steve Clemons, della New American Foundation. In campagna elettorale, preoccupato di non alienarsi il voto cristiano, Obama aveva tentato la quadratura del cerchio, dicendosi favorevole al riconoscimento delle unioni di fatto e contrario a un divieto federale sui matrimoni gay. Ma aveva evitato di pronunciarsi a favore di questi ultimi, sostenendo che erano materia per gli Stati.

Il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha detto che la posizione del presidente «non è cambiata». E questo ha provocato i commenti negativi dei commentatori liberal, che accusano Obama di ipocrisia e di «non voler spendere capita le politico sulla sua stessa retorica ». «È tempo — ha scritto il premio Pulitzer Eugene Robinson sul Washington Post — che un presidente popolare e progressista si pronunci su un fondamentale tema di diritti umani e civili: qual è la differenza concreta tra la sua posizione e l’affermazione pura e semplice, che i matrimoni gay vadano riconosciuti in tutti i 50 Stati?».

Una risposta possibile è che Obama abbia davanti i sondaggi e non voglia in alcun modo provocare una nazione ancora divisa. Il cambio di stagione è in corso, la nuova rivoluzione in atto, ma il 54% degli adulti americani si dice tuttora convinto che le nozze fra omosessuali non debbano essere riconosciute.


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