Copenhagen Human Rights Conference

  

Si sono tenuti a Copenhagen tra la fine di luglio e l’inizio di agosto 2009, in una cornice di civiltà, libertà, rispetto i World Outgames. Si tratta di un evento di carattere planetario, in grado di unire sport, cultura e diritti umani.

Una cornice di civiltà manifestata concretamente anche dagli abitanti di Copenhagen che hanno scelto di accogliere i partecipanti alla conferenza addobbando la capitale danese con bandiere rainbow ovunque: dai luoghi simbolo della città come il castello Tivoli (dove le nostre bandiere sventolavano al posto delle bandiere nazionali danesi), fino ai cestini per i rifiuti nella City Hall Square, per non parlare della cattedrale luterana le cui colonne sono state decorate dai religiosi con panneggi colorati a formare la bandiera rainbow.
Pensate a cosa potrebbe accadere in Italia solo ad ipotizzare una cosa del genere. Qui invece il 30 i sacerdoti hanno organizzato una cerimonia di benedizione delle coppie omosessuali…

Oltre 100 i paesi registrati e 5.500 i partecipanti accolti dal premier danese Rasmussen, a capo di un governo di centro-destra, che durante un’intervista rilasciata ad Out and About (mensile gay danese), al giornalista che gli chiedeva quali fossero i suoi sentimenti nell’ospitare gli Outgames, ha risposto: “I think this is really great. It’s good that Copenhagen is hosting such a huge international event and I’m also proud that this important signal of tollerance is sent from Copenhagen”. Credo di non dover aggiungere altro.

È sufficiente darmi un’occhiata per capire subito che non sono andato in Danimarca per ragioni sportive, bensì per dedicarmi alla conferenza sui diritti umani ospitata nella sede della nuova università di Copenhagen. Insieme a me c’era Michele Novello e a Copenhagen abbiamo trovato anche Rosario Murdica, consigliere nazionale Arcigay, inviato, insieme a due colleghe, dall’ente per cui lavora.

La conferenza è stata organizzata in workshop e suddivisa in ben nove temi principali che spaziano dai diritti umani e la politica al lavoro, dallo sport alla cultura, dalle famiglie alla sessualità, dall’educazione alla salute. Sarebbe stato fisicamente impossibile seguire tutti i workshop per cui ho deciso di dedicarmi principalmente a quelli relativi alla salute.
L’area “Health” in effetti, non si è limitata a trattare temi della salute così come siamo soliti pensarla, ma è stata letta in chiave trasversale ai temi LGBT, in termini di benessere generale e della qualità della vita delle persone LGBT.
Quindi i diritti umani si sono incrociati con la salute, sessuale e generale, le relazioni interpersonali, i temi psicologici, i diritti civili, ecc. Temi che, in verità, non ci sono certo estranei.
Un’interpretazione trasversale che trovo del tutto corretta e condivisibile tanto che anche nella nostra Associazione stiamo andando verso quella direzione.

Il primo workshop, “Respecting human rights, sexual health and relationships”, infatti si interroga su come la violazione dei diritti umani e delle relazioni personali possa influire negativamente sulla salute delle persone ed anche come sia complesso acquisire dati scientifici seri in un ambiente ostile.
Fra gli altri interventi, ho trovato molto interessante quello di Samuel Matsikure (Zimbabwe), del gruppo GALZ.
Con estrema semplicità ci ha spiegato come sopravvivere all’omofobia presente nel suo paese, dove gli atti sessuali fra maschi sono vietati dalla legge (ma non quelli fra donne come ha spiegato rispondendo ad una domanda di un’attivista lesbica), dove il presidente della nazione è omofobo e attacca verbalmente quasi ogni giorno la comunità e dove la gran parte dei gay se ne sta ben chiusa nel “closet” onde evitare arresti, violenze o peggio.
La spiegazione dell’attivista è stata di una semplicità disarmante: lavoriamo per la comunità omosessuale attraverso attività dirette alle persone che hanno bisogno. Letteralmente ha detto fare amicizia con le persone.
E i risultati stanno pian piano arrivando e sta crescendo un sentimento di tolleranza nella popolazione
.
Sta di fatto che GALZ lavora apertamente e legalmente ad Harare e Bulawayo e non è mai stata sottoposta a controlli o pressioni da parte della polizia.
Alcuni elementi del governo supportano apertamente la causa LGBT o sono abbastanza accomodanti.
Il piano strategico contro l’AIDS dello Zimbabwe prevede una piccola parte politica rivolta agli MSM il punto è che nessuno vuole occuparsene direttamente, il lavoro dell’associazione in questo periodo sta appunto nell’implementare quella parte del piano strategico.
In altre parole una grande iniezione di fiducia nel fatto, a mio avviso del tutto evidente, che lo scopo delle associazioni è lavorare per le persone.

Preoccupante invece la presentazione "A neglected epidemic" di Carlos Caceres della IASSCS (International Association for the Studies on Sexuality, Culture and Society), che ci ha spiegato come nei paesi in via di sviluppo l’HIV fra gli MSM sia una epidemia misconosciuta, poco studiata.
È riemerso da poco l’interesse per l’HIV fra gli MSM a causa della fortissima crescita del virus in questi paesi. Tuttavia da un punto di vista epidemiologico ci sono ancora poche informazioni in particolare per Africa, Europa dell’Est e area MENA (Medio Oriente e Nord Africa). Nonostante sia complesso ottenere dati attendibili in questi Paesi, appare chiaro che la vulnerabilità all’HIV dipende da alcuni fattori:
– essere componenti di gruppi o sottogruppi con una alta prevalenza di HIV;
– un alto livello di ostilità sociale e istituzionale;
– bassa qualità e copertura della popolazione dei programmi di prevenzione e dei servizi.
A questi si possono aggiungere il persistere di leggi ingiuste e irrazionali, violenze verbali o fisiche sia istituzionali che private, barriere culturali sostenute da normative assurde che risultano essere discriminatorie.
Per fortuna che il relatore del Perù sta parlando dei Paesi in via di sviluppo perché non vi vedo differenze fondamentali con la situazione italiana se non a livello di strumenti.
Le ipotesi di soluzione che il relatore propone prevedono l’implementazione della ricerca epidemiologica (stante la pochezza dei dati sugli MSM a livello globale), ma si concentra anche sull’accesso ai servizi e sulla ricerca di informazioni socio-culturali, oltre a sottolineare la necessità di trovare nuove vie per raggiungere gli MSM con programmi e servizi mirati, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie.
Fermo restando il fatto che è vitale eliminare ogni forma di repressione e discriminazione.
Qualcuno è dell’avviso che in Italia si stia seguendo questa strada?

Il relatore Shivananda Khan (India) ha trattato il tema dell’omofobia nell’Asia meridionale, a partire dal termine omofobia così come dall’etichetta LGBT. Emtrambi, a seconda della parte del mondo in cui si opera, cambiano di significato e in molti casi, a motivo delle enormi differenze culturali, è facile non capirsi. Viene citato un significativo esempio di un “matrimonio” in Pakistan fra un uomo di 42 anni e un ragazzo di 16 che venne etichettato come “gay marriage” dal reporter della BBC con il risultato di distruggere due famiglie.
In realtà in quella cultura queste forme di unione non hanno niente a che vedere con il matrimonio tantomeno con l’essere gay. È comune che uomini adulti abbiano relazioni con adolescenti fra i 12 e i 17 anni, “prima che cresca la barba” e, quindi, diventino uomini.
In molte culture il sesso fra maschi non ha niente a che vedere con l’orientamento sessuale, è vissuto più in un contesto di gioco e il matrimonio è più una “esigenza sociale” determinante nella segregazione di genere, ossia per essere chiari nel tenere sotto controllo le donne.
Una donna presente ha commentato “thanks God I’m lesbian and canadian!”.
Di rimando il relatore ha evidenziato che anche le comunità omosessuali occidentali contribuiscono a perpetrare una costruzione sociale, basata sulla mascolinità penetrativa, che sostiene la fobia di genere. Una costruzione che, di fatto, valida le violenze nei confronti delle donne e dei “feminised males” rese possibili appunto da una società che esclude queste aree. Finché ciò accadrà ci sarà sempre differenza fra politica e implementazione. In questo senso sono proprio i gay maschi occidentali a dover svolgere un ruolo radicalmente diverso nei confronti del rapporto con la propria mascolinità.

Un’altra relazione interessante è stata tenuta da Evelyn Gonzalez (USA) del Global forum on MSM and HIV, ci ha parlato di approcci positivi locali ma in un’ottica globale. APLA sostiene che a parte in Africa nel resto del pianeta HIV colpisce IDU (injection drug users), MSM, sex workers in modo molto marcato ed è proprio in questi gruppi che va combattuto con maggiore attenzione.
La ricerca (APLA – AIDS Project Los Angeles) ci dice che spesso l’epidemia fra gli MSM è misconosciuta e viene considerata meno importante rispetto alla parte eterosessuale della popolazione.
Difficile dar torto a questo studio, sembra che solo in Italia l’autorità sanitaria non se ne sia ancora resa conto.

Molto interessante anche il modello proposto dalla rete canadese Rainbow Health Network (www.rainbowhealthnetwork.ca) che propone alla comunità LGBT un approccio globale ai temi della salute, dove per salute si deve intendere più che il semplice non essere malati.
Riguarda il sentirsi bene, con sé stessi e con gli altri, la possibilità di vedere soddisfatte le proprie necessità, raggiungere gli obiettivi e saper far fronte alle situazioni nelle quali ci veniamo a trovare. Il tutto nell’ottica di essere componenti orgogliosi e sani di una comunità che esige di essere trattata con dignità, rispetto e senza pregiudizi.
In questa logica il network lavora per progetti che spaziano dalla creazione di educational toolkit, interventi contro il razzismo e in favore dell’associazionismo, la costruzione di alleanze, i rapporti con la sanità pubblica, il tutto in un’ottica trasversale che coinvolge l’intera comunità omosessuale, transessuale, queer, ecc.
Anche in questo caso il termine salute è interpretato in senso estremamente ampie e risulta evidente la connessione con il conseguimento dei diritti.

Una sessione molto coinvolgente è stata quella relativa alla lotta che la comunità LGBT statunitense sta portando avanti per il matrimonio fra persone dello stesso sesso. È stato presentato un documentario sulla rivoluzionaria estate di New Paltz, un oscuro villaggio nello stato di New York il cui sindaco 26enne ha deciso che, dal momento che la costituzione americana non lo vieta, avrebbe celebrato matrimoni gay.
Ovviamente è stato il boom e dalla decisione iniziale di unire poche coppie per evitare problemi di ordine pubblico in un villaggio così piccolo, si è ritrovato a sposare oltre 300 coppie omosessuali.
Altrettanto ovviamente il sindaco è stato denunciato ed arrestato.
Emerge chiara dal documentario la coesione e la forte volontà della comunità LGBT statunitense di ottenere il matrimonio.
Bellissime le parole del giovane sindaco alla fine dell’intervista: il tema del matrimonio gay appartiene alla comunità LGBT, ma per me attiene principalmente al tema dei diritti umani.
Un documentario molto emozionante che mi ha lasciato un nodo alla gola per diverse ore dopo, ma che credo debba essere di sprone anche per la nostra comunità a trovare maggiore unità intorno a questo importante tema.
Il documentario l’ho acquistato e farà parte del materiale presente nel Centro di documentazione del Cassero.

Tornando al concetto allargato di salute, un workshop abbastanza sconcertante è stato quello su violenza, discriminazione e su come incidono sulla qualità della vita della persone LGBT.
Viene presentato uno studio canadese (“gay bashing: making sense of the senseless”) che ha analizzato le esperienze di gay canadesi che hanno subito violenze a causa dell’orientamento sessuale, oltre ad uno studio danese sulla discriminazione dei gay nelle forze armate. Entrambi gli studi si basano su interviste a sei maschi gay.
Nel primo caso sono emerse esperienze personali di omofobia che sono risultate essere molto frequenti, soprattutto da parte di uomini, molto spesso violenze fisiche anche molto forti tanto da costringere la persona a ricorrere a cure mediche in ospedale. Le violenze sono pressoché sempre non provocate se non dal semplice fatto che l’attaccato è gay.
Quello danese è il primo studio del genere. È emerso che in lavori come questo, a predominanza maschile, l’omofobia più presente e l’omosessuale è meno invogliato al coming out. Nonostante gli intervistati fossero tutti dichiarati, avessero una resistenza alla discriminazione molto alta, sono emersi problemi importanti di accettazione e nel denunciare i casi di discriminazione o violenza.
Almeno in questo possiamo riscontrare delle similitudini con il nostro paese, ma rimane il fatto che da noi studi del genere non vengono eseguiti.

Come ho detto prima, nonostante un paio di incidenti seri ma per fortuna non drammatici che tuttavia hanno testimoniato la presenza di imbecilli omofobi anche nel civile Nord Europa, la città ha reagito bene alla presenza di un esercito di lesbiche e finocchi da tutto il mondo.
I locali e i bar frequentatissimi da persone di tutte le età e i generi (carino lo humor delle donne che hanno indossato barba e baffi posticci e sono entrate al Men’s bar).
Le strade e le piazze del centro sono state per qualche giorno prese d’assalto da omosessuali, peraltro in numerose piazze erano stati allestiti stand dove artisti LGBT provenienti da tutto il mondo hanno realizzato eventi, musica, installazioni, performance sui temi del genere, della diversità, dell’identità creando un’esperienza culturale globale unica nel suo genere.
Nel complesso quindi si è trattato di una prova molto positiva alla quale auspico che anche Arcigay possa in futuro portare il proprio proprio apporto.


Sandro Mattioli
Responsabile Salute
Arcigay Il Cassero – Bologna


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