Vogliamo essere noi stessi

  

Allegri, sereni, limpidi. Otto tra ragazze e ragazzi altrimenti orientati nella loro sessualità rispetto alle scelte più frequenti ci hanno raccontato come stanno vivendo gli anni dell’adolescenza e del passaggio alla maturità. In città italiane come Messina, Napoli, Modena e Perugia.

Scoprirsi gay, o "lella" (lesbica) piuttosto che bisex ha comportato per molti un turbamento, per pochi un problema con il mondo, per tutti una riflessione. Espressa in toni che riescono a rimanere pacati anche nelle frasi affastellate e nella vivacità di un adolescente. Forse, il miglior antidoto contro ogni forma di paura delle differenze sessuali sono proprio le loro storie.

I diciotto anni compiuti lo scorso anno a Messina da Alessandro, per esempio. "Abbiamo fatto una grande festa con i miei genitori, i parenti e i miei amici: omo, etero, trans, tutti". Papà, geometra, e mamma, ispettrice di polizia municipale, avevano ricevuto la notizia già da un po’. "È stata lei a chiedere, due anni fa. Ci ha messo un mese a superare l’impatto. Per dirlo a papà invece abbiamo aspettato: doveva sottoporsi a un’operazione, temevamo effetti negativi. Ma, quando ha saputo, l’ha presa bene".

A Marco, è andata diversamente: "Da quando l’ho detto, devo mangiare da solo in camera mia e appena finito il liceo dovrò andarmene di casa. Nel frattempo, devo essere discreto. Questo, soprattutto, li preoccupa: non si deve sapere in giro". I programmi universitari che cambiano, forzatamente: "Volevo seguire degli studi che prevedono l’obbligo di frequenza. Siccome mi dovrò mantenere, non potrò. Ma non importa: non ne potevo più di dire bugie, di nascondermi. Meglio così". E il mondo è un ostacolo? Magari, non sempre per l’omosessualità.

Marcela, a Milano
, sente molto più il problema di essere figlia di immigrati salvadoregni. "A mia madre chiedono sempre il biglietto, in autobus. Alle altre passeggere, no. Ma gli episodi sono tanti. Io sento la xenofobia, qui in Italia, non l’omofobia. Penso che andrò a vivere in Spagna, o negli Stati Uniti".

A Teresa e Laura, diciottenni modenesi in coppia fissa da un anno, gli amici, etero, omo o altro che siano, dicono tutti la stessa frase: "Avete reso normale una cosa che di solito non appare tale". E Laura aggiunge: "Ho combattuto da sola il binge eating disorder, che in genere viene confuso con la bulimia ma è diverso. Un’altra cosa. Comunque mi sono curata, l’ho superato. Risolto questo, cosa vuoi che sia un orientamento sessuale?".
Capirlo può essere semplice.

Mario, napoletano, ha 16 anni, eppure la scoperta la colloca in quel passato remoto dove gli adolescenti mettono l’infanzia: "Da piccolo, lo sapevo già. L’ho sempre saputo. Non amavo il pallone, stavo bene da solo, in famiglia. E poi, in seconda media, ho capito che il mio migliore amico in realtà mi piaceva. Ma a lui non l’ho detto, mi sono solo allontanato". La cosa più sofferta, nella sua vita, è stata un’altra: "Convincere mio padre a farmi fare danza. Mi voleva calciatore, o maratoneta. Siamo una famiglia con pochi mezzi, lui è operaio, ma ho fatto lo sciopero dello studio e lui ha dovuto cedere. Ora sono stato ammesso alla scuola di ballo del San Carlo. E, alla fine, il più fiero di me è proprio mio padre".

Ugo, diciannovenne perugino, è ancora più sereno: "È un fatto che non ha più importanza di altre cose della vita. È solo più difficile trovare la persona giusta, visto che siamo pochi. Sarà che io sono stato fortunato. L’ho scoperto, compreso e accettato presto, in seconda media. L’ho presa in maniera molto semplice. Se succede più tardi, è complicato. Magari hai una relazione con una ragazza e devi troncarla, poi devi comunque dirlo agli amici. Io invece l’ho capito subito. Quando gli amichetti cominciavano a guardare le ragazze, mi accorsi che non ero interessato. Guardavo i ragazzi. E trovavo che le femmine erano meglio dei maschi come amiche. Poi mi sono detto: "Be’, è così". Sì, un po’ mi hanno preso in giro, qualche volta insulti fuori scuola. Ma al liceo, niente. Tutto tranquillo, anche con i miei genitori".

A Teresa non è andata altrettanto liscia. Lei è finita dal preside. "In prima media: ero stata con un altro ragazzino, un bacetto sulle labbra, niente di più, però avevo capito che non mi piaceva. Non mi emozionava. Ho scritto una lettera alla mia amica di scuola, le ho raccontato il mio problema. "Perché non mi piace?", scrivevo. "Perché guardo le ragazze?". Lei ha poi detto di averla dimenticata sotto il banco. Di fatto, non mi rispose. E la settimana dopo cambiò scuola. Intanto il foglio era stato letto da un compagno di classe e in breve l’intera scuola sapeva. I professori non mi dissero nulla, ma il preside convocò me e mia madre. La lettera era magicamente sparita, qualche ragazzo l’aveva buttata, credo, ma lui il contenuto lo conosceva e lo disse a mia madre. Lei, zitta. Io, muta. Fino alla fine delle medie, poi, sono stata ben attenta a non parlare con nessuno. E passare al liceo è stato un sollievo".

No, non sono adolescenti dalle mille e una storie, trascinati dai loro orientamenti a vivere fra locali, discoteche e tanti rapporti di breve o brevissima durata. Certo, usano parecchio Internet, le esperienze brevi ci sono, come per tutti. Ma poi, ciascuno racconta una, due, massimo tre relazioni importanti.

Tre sono appunto quelle servite alla padovana Rebecca, ora ventiduenne, per scoprirsi bisessuale. La prima, con una trans all’inizio del suo percorso da uomo a donna, la seconda con una omosessuale, la terza con un ragazzo etero. "Ora sono in coppia con un’altra bisessuale. Ci capiamo, siamo unite e contempliamo delle aperture all’esterno. Perché da bisex, anche con l’innamoramento più forte, a livello sessuale c’è sempre qualcosa che ti manca, sia con un uomo che con una donna. E ciascuna di noi due questo lo capisce".

Marcela, invece, in questo periodo fa eccezione. "Dipendevo troppo da Martina. Ero proprio innamorata. È stato con lei che ho capito di essere lesbica. Per un anno ho taciuto. Poi l’ho detto. Abbiamo provato a cambiare il nostro rapporto, da amiche a coppia. Qualche carezza e qualche bacio, niente di più. Poi lei mi disse che le mancava il nostro rapporto da amiche, che era confusa. Io, per orgoglio, ho accettato. Invece ero innamorata. Ho scoperto un locale lesbo e lì ho iniziato ad avere delle storie. Ma non voglio legarmi. Se mi sento coinvolta, chiedo una pausa di riflessione e sparisco. In realtà sono romantica, ma non voglio finire per essere dipendente. Parlo come un uomo? Sì, può darsi".

Ruoli più aperti, per tutti. Per Laura, che prima di scoprire chi preferiva provava "un’attrazione indifferenziata per ragazzi e ragazze. Un giorno ero con un ragazzo, stava per spogliarmi e ho capito che non volevo: sono fuggita con una scusa". Poi, in due prime "esperienze volanti" con donne, si è trovata "finalmente in linea con me stessa" e ora vive insieme a Teresa, la sua prima, lunga storia, alla vigilia dell’ingresso all’università.

Per Rebecca, che ribadisce: "Mai sentito vincoli di ruolo. Sono figlia di una femminista e di un sessantottino, la mia famiglia ha sempre negato gli stereotipi di genere. E poi, gli amici li scegli per quello che ti danno".

Per Alessandro, che racconta del suo primo grande amore: "Ero in piazza a Messina, su una panchina. Lui su un’altra. Sguardi, risate, finché ho mandato la mia amica del cuore a dargli il mio numero di telefono: è nato tutto così".

Per Marcela, ancora, che spiega: "Ho amici di tutti i tipi, etero, "lelle", trans. I gay, sono ideali: è come avere un’amica, che però sa come reagiscono i maschi".
Alla fine, ha forse ragione Alessandro. "Per me", riflette, "le differenze non sono tra maschi, femmine, etero, gay, lesbo eccetera. Più semplicemente, è questione di caratteri, forti oppure deboli, e di sentimenti".

(Foto ag. Redux / Contrasto)

Informati e consapevoli

"Molti non vengono neppure da noi, trovano la loro strada
e la percorrono da soli". Fabio Saccà è il responsabile della rete giovani dell’Arcigay, l’unica associazione del genere ad avere una parte dedicata ai ragazzi e con punti di riferimento per dare e ricevere aiuto sparsi in tutta Italia. Ci si può iscrivere a 16 anni, poi il passaggio fra gli adulti scatta a 26. "Nei circoli", spiega Saccà, "gli assidui sono circa 500. Intorno però ne gravita un altro migliaio, soprattutto in occasione delle serate "a tema" nei locali, che spesso per un giovane lgbt sono l’unico modo, oltre il web, di conoscere persone orientate in modo simile, lesbiche, o gay, o bisex, o trans".

Tra le risorse online, Arcigay giovani propone un manuale (www.esseresestessi.com), il laboratorio virtuale Be Yourself (www.tralaltro.it/pagina.asp?IDPagina=302) e un opuscolo (www.centaurus.org/files/ComingOut_it.pdf), che fornisce anche indicazioni per una sessualità sana e sicura.

A livello internazionale, invece: www.iglyo.com. Ai genitori, infine, si rivolge una sezione di Essere se stessi. E soprattutto, per ogni dubbio o timore, c’è il supporto offerto dall’Associazione genitori di omosessuali: www.agedo.org.

Generazione millennio

Il lavoro di 25 fotografi, quelli dell’agenzia americana
Redux, e 250 pagine: il libro American Youth (edizioni Redux/Contrasto), da cui sono tratte le immagini di questo servizio
, è frutto di un grande sforzo collettivo per scoprire chi sono gli statunitensi fra i 18 e i 24 anni. Dagli skater di New York a quelli che studiano per entrare in politica o affermarsi nel mondo della finanza;
i giovani indiani delle riserve e i seguaci del christian rock, i coltivatori di cibi organici. E anche lesbiche, gay, bisex, transgender. Tutti insieme mostrano come la "generazione del millennio" stia cambiando le regole: del lavoro, delle relazioni.
E del futuro.


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