Lavoro, i gay sono sempre discriminati

  

Il termine omofobia evoca, ora più che mai, lo spettro di una violenza sconsiderata. Il continuo susseguirsi di atti criminali ai danni della comunità gay pone l’Italia di fronte a una vera e propria emergenza, rispetto alla quale l’attenzione mediatica e istituzionale rinnova, giorno dopo giorno, i toni duri della condanna. Quello delle percosse e delle intimidazioni non rappresenta, però, che l’aspetto più evidente ed eclatante, e nemmeno tanto nuovo, delle sopraffazioni che da sempre colpiscono le persone gay nel nostro paese.

Fra umiliazioni e difficoltà spesso vissute nel silenzio e nell’invisibilità, i gay sono esclusi dalle tutele che la legge riconosce alle coppie sposate, faticano a emergere in una società che li considera con imbarazzo, pur esprimendo nei loro confronti una formale solidarietà.

Tra le realtà in cui tali contraddizioni si manifestano con maggiore gravità c’è quella lavorativa. I gay subiscono discriminazioni sul posto di lavoro, e sono tra i soggetti più vulnerabili nell’attuale crisi economica. Laddove la legge non riconosce tutele familiari, sanitarie, fiscali, si apre più facilmente per loro la falla della cassa integrazione o del licenziamento. “Ecco perché – spiega Maria Gigliola Toniollo, responsabile nazionale dell’Ufficio nuovi diritti della Cgil – occorrono provvedimenti mirati, che parifichino i diritti dei cittadini sul piano civile, dando a tutti la possibilità di usufruire dei medesimi benefici legislativi, a prescindere dall’orientamento sessuale delle persone”.

Una strategia, questa, che consentirebbe di risolvere il problema della discriminazione alla radice, con provvedimenti che agirebbero in maniera positiva anche a livello sociale e culturale. Perché è proprio su questo terreno che si gioca la possibilità di uscire allo scoperto e di risolvere il disagio. Nella maggior parte dei casi, infatti, il pregiudizio non si annida nel rapporto tra il lavoratore gay e l’imprenditore, ma riguarda l’atteggiamento dei
colleghi e la convivenza all’interno dell’ambiente lavorativo.

Derisione, minacce verbali e fisiche rappresentano fattori di grande sofferenza per la vittima, e provocano conseguenze psicologiche anche molto gravi, che compromettono la serenità della persona e i suoi rapporti con l’esterno. Per queste ragioni sono in molti a vivere clandestinamente la propria identità, per paura di essere giudicati e discriminati. Il rischio è quello dell’autoesclusione da una società già di per sé sterile, incapace di misurarsi con i cambiamenti avvenuti al suo interno.

Dopo circa venti anni di attività, l’Ufficio nuovi diritti di Milano ha potuto constatare come le condizioni dei gay nei posti di lavoro non siano affatto mutate, in Italia, rispetto a un mondo che ha invece conosciuto notevoli trasformazioni. Le richieste di aiuto riguardano sempre le stesse questioni, indipendentemente dall’ambiente di lavoro da cui provengono. E solo in pochi denunciano, ricorrendo al sindacato anche dopo molti anni di umiliazioni. Le strategie di intervento da parte della Cgil possono essere molto varie, anche perché un’analisi sindacale classica potrebbe risultare del tutto inadeguata. In linea generale si opera cercando di stemperare le tensioni, per ristabilire l’equilibrio all’interno dell’ambiente lavorativo. L’obiettivo principale è la conservazione del posto, in un contesto precario dove perdere il lavoro significa non riacquistarlo facilmente. Talvolta, soprattutto quando il lavoratore risulta essere molto provato dagli atti discriminatori, si opta per il trasferimento.

Ma l’arma più potente di cui il sindacato dispone consiste nell’informazione, nella preparazione sul significato dei diritti e delle diversità. Intervenuto sulla questione, Claudio Di Berardino, segretario della Cgil di Roma e del Lazio, ha ribadito l’importanza di promuovere programmi di educazione al rispetto delle diversità nelle scuole, per diffondere tra i giovani una cultura basata sul valore della persona. Il tema delle discriminazioni dei gay nei posti di lavoro presenta, infatti, un problema di percezione che riguarda tutta la società civile. La mancanza di informazione fa sì che le vittime stesse non siano subito in grado di classificare i soprusi subiti. Ma tale difficoltà riguarda anche chi, i diritti, deve difenderli, a cominciare dai sindacati, che non sempre tengono nella giusta considerazione una questione reputata di confine, non riuscendo così a elaborare una strategia e un pensiero unitari. All’interno della Cgil gli Uffici nuovi diritti svolgono dunque un compito fondamentale, occupandosi in maniera specifica di questioni altrimenti trascurate, e ponendosi spesso come interlocutori tra il lavoratore e lo stesso
sindacato di categoria.

“Avendo presente l’esigenza di proporre un cambio di mentalità, diffondiamo una coscienza sindacale sul fenomeno, promuoviamo campagne, offriamo servizi e assistenza attraverso gli uffici vertenze”. Salvatore Marra, responsabile dell’Ufficio nuovi diritti di Roma e del Lazio, sintetizza così un’attività che necessita di un forte investimento formativo, oltre che di una grande capacità di ascolto e di analisi, rispetto ai rischi insidiosi di una società precaria. Occorre coraggio culturale, per non disattendere le aspettative provenienti da un mondo del lavoro più sfaccettato rispetto al passato. E per vincere il pregiudizio che costringe tanti cittadini a una condizione di frustrazione e solitudine.

Ciò avviene in maniera molto evidente per i transessuali e i transgender. Ridotti a un fenomeno caricaturale e senza tutele, hanno scarse possibilità di accesso al mercato del lavoro. Mentre la Spagna e la Gran Bretagna si sono dotate di una legislazione all’avanguardia, in Italia i transessuali non possono cambiare nome sui documenti di identità durante la fase di passaggio da un sesso all’altro, e ciò preclude a priori la possibilità di lavorare.

La particolare condizione che sia i transessuali che i transgender vivono nel periodo di cura ormonale cui sono sottoposti non viene debitamente considerata a livello lavorativo, e ciò si traduce nella difficoltà di usufruire di permessi e condizioni meno sfibranti, laddove se ne presenti la necessità. Rispetto a tali limitazioni, la condizione del lavoratore gay potrebbe apparire più indefinibile, perché facilmente egli potrà dissimulare il proprio orientamento sessuale. Tuttavia è proprio questa costrizione, che nasce dal timore delle conseguenze sociale lavorative cui si andrebbe altrimenti incontro, a generare le maggiori inquietudini.

Quella delle condizioni di gay, transessuali e transgender, è una delle realtà su cui si misura la possibilità per l’Italia di operare una svolta qualitativa a favore di una società più democratica. Fanalino di coda in Europa in quanto a diritti, il nostro paese si dimostra sempre più incapace di dare risposte a questioni emergenti. Dove non ci sono più contenuti, si generano ignoranza e chiusura, e la violenza prende il sopravvento. La società si divide in tanti piccoli microcosmi tenuti insieme dalla paura, in cui nessuno è più partecipe della vita degli altri.


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