I saluti del “Guado”

  

Carissimi amici di Arcigay,
avremmo voluto essere con voi con la presenza del nostro presidente Andrea
Guidi, ma alcuni problemi insormontabili hanno reso impossibile la
sua partecipazione.
Per questo motivo sento il dovere di partecipare con questo breve messaggio
al vostro tredicesimo congresso.
Anche il Guado, come Arcigay, durante il 2010 festeggerà un compleanno
importante: il 20 dicembre, con trent’anni alle spalle, entreremo infatti
nel quarto decennio di attivià. Si tratta di un traguardo significativo
che mi spinge a riflettere su quanto è cambiato e su quanto
invece non è cambiato nel nostro paese, nelle chiese cristiane presenti
in Italia e nella società italiana più in generale.
Da un punto di vista legislativo direi che non è cambiato praticamente nulla:
tutti i tentativi di difendere con delle norme specifiche gli omosessuali
dalle aggressioni omofobe di cui sono ancora vittime sono naufragati, così
come sono naufragate tutte le proposte di legge orientate verso il riconoscimento giuridico delle nostre relazioni di coppia.
Da un punto di vista ecclesiale la situazione è invece molto articolata:
se infatti da un lato alcune chiese protestanti e la chiesa vetero cattolica hanno iniziato a incoraggiare gli omosessuali a non nascondere il loro orientamento sessuale anche quando ricoprono incarichi pastorali e stanno prendendo in considerazione l’idea di benedire le relazioni di coppia omosessuali, dall’altro lato i vertici della chiesa cattolica e alcune denominazioni protestanti fondamentaliste hanno iniziato una vera e propria campagna di diffamazione delle persone omosessuali che sta provocando, all’interno della società e nella politica, un rigurgito di omofobia che, anche solo qualche anno fa, nessuno avrebbe messo in conto alla luce degli obiettivi
progressi che l’accettazione dell’omosessualità aveva fatto nella società italiana nel suo complesso.
Si può dire che il processo di emancipazione degli omosessuali in Italia
stia vivendo un momento di crisi, in cui è difficile decifrare in maniera univoca i segnali che ci arrivano: se infatti da un lato sembra davvero che anche noi ci stiamo avviando nella direzione che hanno già preso le altre nazioni europee, dall’altro si osservano fenomeni allarmanti che fanno pensare che la strada imboccata dal nostro paese porti diritta a situazioni come quelle che si osservano in una repubblica teocratica come l’Iran, dove la politica è dominata dall’influenza di alcuni preti fanatici e gli omosessuali vengono impiccati.
Trent’anni fa, parlando della crisi che la società italiana stava attraversando,
i vescovi italiani, altri vescovi rispetto a quelli che oggi si fanno la guerra a suon di dossier più o meno falsi, o che straparlano su argomenti che non conoscono affatto, avevavo pubblicato un documento dal titolo molto sobrio: «La chiesa italiana e le prospettive del Paese». Ed é citando alcuni brani di quel documento che vorrei proporvi alcuni temi su cui stiamo riflettendo in questi mesi che precedono il nostro compleanno.
«Bisogna – si legge in quel documento – decidere di ripartire dagli
ultimi, che sono il segno drammatico della crisi attuale. Fino a quando
non prenderemo atto del dramma di chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona e della propria famiglia, non metteremo le premesse necessarie a un nuovo cambiamento sociale.
Gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la gente tuttora
priva dell’essenziale: la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l’accesso alla cultura, la partecipazione.
Bisogna, inoltre, esaminare seriamente le situazioni degli emarginati, che il nostro sistema di vita ignora e perfino coltiva: dagli anziani agli handicappati, dai tossicodipendenti ai dimessi dalle carceri o dagli ospedali
psichiatrici. Perché cresce ancora la folla di nuovi poveri?
Perché a una emarginazione clamorosa risponde così poco la società attuale? Le situazioni accennate devono entrare nel quadro dei programmi delle amministrazioni civiche, delle forze politiche e sociali
che, garantendo spazio alla libera iniziativa e valorizzando i corpi intermedi, coinvolgano la responsabilità dell’intero paese sulle nuove necessità.
Con gli ultimi e con gli emarginati, potremo tutti recuperare un genere diverso di vita.
Demoliremo, innanzitutto, gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Riscopriremo poi i valori del bene comune: della tolleranza, della solidarietà, della giustizia sociale, della corresponsabilità. Ritroveremo fiducia nel
progettare insieme il domani, sulla linea di una pacifica convivenza
interna e di una aperta cooperazione in Europa e nel mondo.
E avremo la forza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto
di vivere».
Rispetto a questi discorsi noi omosessuali ci poniamo in una posizione molto particolare: se infatti da un punto di vista socio economico non siamo molto diversi dalla grande maggioranza della popolazione e non siamo certamente annoverabili tra gli ultimi, da un punto di vista dell’accettazione culturale, del rispetto dei nostri sentimenti, del riconoscimento dei nostri diritti, viviamo sulla nostra pelle quella marginalità che altri vivono in maniera senz’altro più drammatica.
Siamo quindi chiamati a farci carico di questa posizione particolare per rivendicare l’attenzione della società, della politica e della chiesa sui problemi concreti delle persone, denunciando l’intolleranza, l’egoismo e l’ipocrisia che stanno travolgendo le basi stesse della nostra convivenza. Dobbiamo guardare al di là dei nostri problemi e assumere su di noi i problemi di tutte le minoranze i cui diritti vengono calpestati.
Se riusciremo a fare questo non solo riusciremo a rimettere al centro dell’agenda politica le questioni che ci stanno più a cuore, ma aiuteremo la società italiana a uscire dalla profonda crisi in cui sta progressivamente affondando.

Gianni Geraci

Portavoce del Guado


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