Sergio Lo Giudice, outsider per Bologna

  

Da Repubblica – Bologna – 3 febbraio 2010
SILVIA BIGNAMI
E spunta l’outsider: il capogruppo Lo Giudice

Bersani ha molto apprezzato il suo intervento e gli ha fatto i complimenti. Lui si schermisce: "Non credo ci sia questa ipotesi"

A MEZZANOTTE passata Pierluigi Bersani in persona gli si è avvicinato per fargli i complimenti: «Sergio, ho molto apprezzato il tuo discorso».

Sergio è Sergio Lo Giudice, capogruppo Pd in Comune, presidente onorario di Arcigay, ex Ds ortodosso non strettamente d’apparato. Quarantanovenne che per sette mesi ha guidato e tenuto insieme un gruppo Pd con forte componente cattolica, navigando nelle sabbie mobili della laicità, e riuscendo persino a portare a casa il testamento biologico.

Potrebbe essere lui il candidato sindaco Pd? Lo hanno pensato in molti lunedì sera, alla direzione di via Rivani, ascoltando i venti minuti di accorato appello di Lo Giudice al Pd e di strenua difesa dei sette mesi di lavoro a Palazzo D’Accursio. Voci della base. Colpi di gomito. Occhiate. «Perché non Sergio, che alle sue spalle ha la folta comunità omosessuale, che è riuscito a dialogare con l’area cattolica e a convivere con un sindaco, Delbono, particolarmente caro alla Curia?». Un passaparola arrivato in un lampo fino all’orecchio del segretario regionale Stefano Bonaccini, che non ha bocciato l’ipotesi. Ma che anzi, ha espresso apprezzamento e stima per il capogruppo Pd.

Lui, Lo Giudice, si schermisce: «Io candidato? Si dicono molte cose, ma io non credo affatto ci sia questa ipotesi». Che il suo discorso sia piaciuto però lo sa bene. In molti glielo hanno detto. E’ piaciuta la freschezza del richiamo a gestire lo smarrimento della base «con sincerità e trasparenza», consapevoli «che siamo un partito di persone per bene, e che non accettiamo ci siano macchie sul nostro comportamento». E’ piaciuto il realismo di non dare per scontate le primarie, «perché il gruppo dirigente in un momento di crisi deve sapersi anche assumere la responsabilità di fare una scelta». Ed è piaciuta la fierezza di rivendicare il lavoro svolto in trincea sui banchi del consiglio, e l’orgoglio di non sentirsi sconfitti «perché se siamo qui non è perché abbiamo perso le elezioni, né perché abbiamo governato male». Parole di cuore e di testa che hanno colpito Bersani, spesso sorpreso ad annuire. E che hanno scaldato animi raffreddati dalle troppe delusioni.

In fondo, Lo Giudice è più giovane di Luciano Sita. Meno strutturato di Duccio Campagnoli. E possiede un suo bacino di voti – nel 2009 arrivò sesto nel gruppo Pd con 622 preferenze – come Maurizio Cevenini. E’ un ex Ds come Claudio Merighi, senza essere un colonnello di ferro. Infine, è un esponente di spicco della comunità gay, come Nichi Vendola. Un paragone che, in caso di primarie, può solo portargli fortuna.


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