Dio deve unire

  

Paolo Patanè sapeva. Anche lui. Il siciliano partito per Roma e oggi a capo di Arcigay nazionale era al corrente dell’unione tra le due donne che è stata benedetta qualche giorno fa nella chiesa Valdese di Trapani e Marsala. Anche lui aveva rispettato la richiesta di silenzio delle spose. E anche lui si trova costretto a glissare sulle domande che riguardano la funzione che ha visto protagoniste le due donne.

“Ovviamente non è un matrimonio – dice – si è trattato della benedizione di una unione, ecco. Trovo che si tratti di un gesto dall’impatto simbolico molto forte, che dovrebbe spingere a una riflessione più ampia. In più lo trovo ancora più bello perché non ostentato. Al contrario, è stato sussurrato, in silenzio, a riflettori spenti”.

Trent’anni fa, a Giarre, una coppia di giovani omosessuali si suicidava. Oggi due donne consacrano la loro unione a Marsala. Palermo sta in mezzo. La stessa Palermo che si prepara ad ospitare il gay pride regionale.

“Questi trent’anni che ci separano da quel suicidio segnano un cammino importante, frastagliato, non sempre sereno. Da quel fatto di cronaca nacque a Palermo in primo circolo Arcigay d’Italia. Comunque io leggo una poesia incredibile nell’intera vicenda. La loro visibilità, il coraggio dimostrato da queste due donne, in parte arriva da lontano, proviene dal cammino che in questi trent’anni si è fatto, proprio a partire da Giarre”.

E il Pride a Palermo?

“Il Pride a Palermo è un banco di prova importante per tutta la città. Che la comunità lgbt (lesbica, gay, bisessuale, transessuale, ndr) sia cresciuta, quello è un dato certo. Adesso bisogna fare i conti con la crescita complessiva della città, con la risposta che Palermo saprà dare a questo evento”.

Era già successo altre volte che in una chiesa siciliana si benedicesse l’unione tra due persone dello stesso sesso?

“No, che io sappia è la prima volta. Non ho contezza di altri casi simili”.

Quale sarà stata, secondo lei, la reazione della gente di Marsala?

“Beh, la gente l’avrà saputo. Vede, io credo che nulla disarmi le persone quanto la normalità di essere se stessi. E questo gesto è stato vissuto con una normalità disarmante”.

Cosa manca per raggiungere questa normalità?

“Io non credo che servano tantissime cose. Basterebbe ricordare che il nostro è un ordinamento laico sulla base della carta costituzionale e che il matrimonio civile deve essere un diritto di tutti. La Chiesa si rivolge ai credenti. Lo Stato deve parlare a tutti. L’Italia si guardi attorno e si renda conto che essere parte dell’Europa significa qualcosa di più che starci dentro. Invece vedo un’Europa dei diritti sempre più grande, a fronte di un’Italia sempre più piccola”.

Lei e il pastore Esposito vi conoscete?

“No”.

Cosa vorrebbe dirgli?

“Che certi gesti confermano che esiste un’alternativa per credere in Dio e non dividere gli uomini. Io credo che sia inaccettabile che le religioni dividano, di qualunque separazione si stia parlando. Il gesto del pastore di Marsala ne è la prova: quello che ha fatto è stato benedire un’unione. Quando la religione unisce fa un servizio alla giustizia, alla bellezza e, per chi ci crede, anche a Dio”.


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