Coppie di persone dello stesso sesso: quali prospettive?

  

Scopo di queste brevi note non è l’analisi e il commento delle decisioni adottate e delle motivazioni addotte dalla Corte costituzionale nella sentenza 138/2010, bensì una analisi delle conseguenze di questa sentenza e delle prospettive che si aprono e/o si chiudono per le coppie di persone dello stesso sesso.

Al punto 9 del “considerato in diritto”, la Corte smonta pezzo per pezzo ogni speranza delle coppie di persone dello stesso sesso di accedere al matrimonio civile così come previsto dal nostro ordinamento.

La Corte comincia spiegando essere vero che il concetto di famiglia e matrimonio, così come erano intesi dai padri costituenti, non possono intendersi cristallizzati alla loro concezione «perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali», tuttavia tale duttilità «non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma», nucleo che la Corte identifica proprio nella differenza di sesso dei coniugi. E tale deduzione la Corte la basa sul fatto che i costituenti, trattando di matrimonio, non pensavano a coppie dello stesso sesso ma al matrimonio regolato dal Codice civile del 1942; inoltre, spiega la Corte, orienta in tal senso anche il secondo comma dell’art. 29 con il quale i costituenti vollero attribuire pari dignità e diritti all’uomo e alla donna.

«Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.».

Dopo aver quindi interpretato quale sia il nucleo del matrimonio, la Corte si appresta a infliggere il colpo fatale richiamando l’articolo 3 della Costituzione: la normativa che esclude le coppie di persone dello stesso sesso dal matrimonio «non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere
ritenute omogenee al matrimonio».

Questa può ritenersi — per ora — la pietra tombale del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
La Corte dice esplicitamente che le unioni omosessuali non sono e non possono essere ritenute omogenee al matrimonio; inoltre dice che non è una «irragionevole discriminazione», il che equivale a dire che è una ragionevole discriminazione. Se letta nell’ambito di interpretazione dell’articolo 3 della Costituzione, che non solo vieta di trattare
in modo diverso situazioni uguali ma vieta anche di trattare in modo uguale situazioni diverse, questa affermazione della Corte può a tutti gli effetti essere letta come un divieto, anche per il legislatore, di consentire l’accesso al matrimonio per le persone dello stesso sesso. Qualora il legislatore decidesse di legiferare in tal senso, tale legge potrebbe essere dichiarata incostituzionale perché contraria all’articolo 3 in quanto tratterebbe in modo eguale due situazioni che, secondo la Corte, non sono omogenee.

C’è da osservare, tuttavia, che, nel concreto della situazione italiana, l’ipotesi che il legislatore provveda a tale equiparazione presuppone un tale sconvolgimento della società e della politica che sicuramente non potrebbe non coinvolgere anche la Corte, la quale probabilmente giungerebbe a conclusioni diverse da quelle ora adottate. Considerazioni diverse vanno invece fatte per il punto 8 del “considerato in diritto” e riferito all’articolo 2 della Costituzione che tutela anche le formazioni sociali ove si svolge la personalità dell’uomo.

Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2010 dal sito forumcostituzionale.it a questo link. Ringraziamo la redazione del sito per averci consentito la ripubblicazione.


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