«È una mezza vendetta Non volli firmare un documento»

  

ROMA «No, mi spiace, ha sbagliato numero: qui è l’Arcigay… però mi dica, prego: in cosa posso aiutarla?».
(La voce di Mario Baccini tonda, inconfondibile, lievissimo l’accento romano non tradisce nervosismo; anzi, cominciamo buttandola sullo scherzo, alle sette del pomeriggio, anche se lui aveva tentato di chiuderla lì, questa storia, con quelle due righe dettate alle agenzie di stampa).
Battute a parte, è una storia seccante.
«No, guardi: se lei si mette con un tono serio, la faccenda diventa seria. E invece è una sciocchezza, resta una sciocchezza e io non sono gay: e lo dico con tutto il rammarico possibile ma davvero, purtroppo, ahimè, si tratta di un dono che il Padreterno mi ha voluto negare».
Cattolico devoto, praticante, la domenica a messa, amicizie importanti in Santa Sede, le campagne elettorali che iniziano e finiscono sempre dentro le parrocchie il suo vanto: «Due, tre volte alla settimana i miei elettori mi invitano regolarmente a qualche battesimo Mario Baccini, ex ministro, ex democristiano, ex Udc, adesso deputato nel Pdl, a 54 anni si sveglia una mattina e trova un sms nel telefonino, tre parole di un amico che gli comunica la notizia della lista pubblicata da un blog, lista di politici presunti gay e persino omofobi. «A quel punto ho avvertito mia moglie Diana, e le ho detto: guarda, c’è questa cosa… ora arriveranno sicuramente centinaia di messaggi di mie elettrici che vorranno certo scagionarmi, pronte a testimoniare. Tu fai finta di niente, è solo affetto elettorale».
Diana è una donna di spirito. «Mi ha risposto: tranquillo. Anzi, sai che faccio? Me le presenti e tutte insieme costituiamo un comitato femminile e raccogliamo firme affinché l’Unesco ti riconosca come maschio patrimonio dell’umanità».
Mario e Diana hanno tre figli: Alan di 26 anni, Roberta di 19 e Zoe di 10. Vivono a Roma, zona Balduina. Vita riservata, niente feste, niente Roma godona; di lui, note due sole debolezze: la Roma e i sigari (ha una magnifica collezione di cubani, che regala solo ad amici fidati).
Poi, dopo aver parlato con sua moglie Diana?
«Ho chiamato Emma, la mia segretaria. E le ho chiesto di farmi una ricerca in archivio, per capire dove potesse essere nata la voce, la chiacchiera che sono gay».
Risultato?
«Zero. Mai nemmeno un’allusione. Quindi è probabile che sia una mezza vendetta…».
Una vendetta?
«Probabilmente qualcuno c’è rimasto male per non aver visto la mia firma su un documento contro l’omofobia».
Perché non lo firmò?
«Perché io i documenti li faccio, li penso, li scrivo, e non perdo tempo a firmare quelli degli altri. Del resto, se dovessi mettermi a firmare tutti gli appelli che mi arrivano sulla scrivania…».
Qual è la sua posizione sull’omofobia?
«Penso che a casa sua ciascuno può fare ciò che preferisce. E sono convinto che la libertà di tutti vada rispettata. Detto questo, per regolamentare con una legge certe libertà occorrono misura e buon senso… non fosse altro perché è facile cadere in facili strumentalizzazioni. Altre domande? No perché qui all’Arcigay, se permette, abbiamo da fare…».
Fabrizio Roncone


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