Matrimonio civile per tutte e tutti

  

Di Luca Trentini Segretario nazionale Arcigay

Mi inserisco anche io nel dibattito che anima la politica di questi ultimi giorni a seguito dell’assemblea nazionale del PD che ha rifiutato di votare due ordini del giorno sul tema dell’accesso al matrimonio per le persone dello stesso sesso ed ha approvato un documento del tutto arretrato e inadeguato nella parte che riguarda quel tema.

Sgombriamo il campo da una incomprensione. Abbiamo reagito con tanta forza e con tanta indignazione alle prese di posizione dell’on. Bindi perchè dalla sinistra pretendiamo qualcosa di più dello squallido panorama di ipocrisia a cui abbiamo assistito negli ultimi anni della vita politica del nostro paese. Negli anni scorsi il centro destra ha già dimostrato la sua inconsistenza e la sua doppia morale. Difendono ideologicamente una “famiglia tradizionale” che loro per primi non vivono, si fanno araldi di una moralità che tradiscono nei fatti, portatori di valori nei quali nemmeno loro credono davvero. E la cronaca, insieme al loro stato di famiglia, è lì a dimostrarcelo.

Non nascondo che le successive prese di posizione nettamente favorevoli al matrimonio civile di Grillo, mai intervenuto prima sul tema, e di Vendola, che si era mantenuto molto prudente, ci hanno fatto piacere, anche se non ci sfugge la concomitanza degli eventi. Prima d’ora solo radicali, socialisti ed Italia dei valori avevano coraggiosamente proposto questo tema. Tuttavia, complessivamente, registriamo un deciso passo avanti.

In questi giorni leggo molti commenti sul tema. Molti ci ricordano che ci sono altre priorità, che il momento è difficile, che la crisi impone altre urgenze. Sono d’accordo. Ma, permettete una domanda: dove credete che vivano le persone omosessuali e trans? Viviamo gli stessi problemi, le stesse difficoltà economiche e sociali, le stesse precarietà, le stesse contraddizioni di ogni altro cittadino della nostra malandata Italia. Come tutte e tutti lottiamo contro il precariato, la disoccupazione, il caro vita e il fine mese. Facciamo parte a pieno titolo di questo variegato tessuto sociale, oggi sofferente, ma su di noi grava l’ulteriore peso della mancanza di una stabilità, di un riferimento normativo a cui appendere la speranza e la possibilità di costruire con la persona che amiamo un futuro di affetti che ci metta al riparo dalle mille intemperie di questi tempi bui. Cosa c’è di scandaloso, di viziato, di egoistico quando vi chiediamo solidarietà nel rivendicare quei diritti civili in grado di darci la possibilità di vivere una vita più serena?

Non sarà certo l’ennesima guerra fra poveri, scatenata ad arte, a convincerci a tacere o a differire a “tempi migliori” la nostra richiesta di uguaglianza. Noi siamo da sempre solidali con ogni povertà e con ogni marginalità, perché ben conosciamo la situazione di invisibilità e disagio da cui orgogliosamente e faticosamente siamo usciti. Abbiamo famiglie di origine (anche numerose), parenti ed amici che vogliamo vedere tutelati e difesi, amici immigrati, compagni di lavoro in difficoltà per i quali ci spendiamo. E’ troppo chiedervi un minimo di reciprocità?

Non è certo per massimalismo, ma per coerenza, che chiediamo l’estensione del matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso anziché accontentarci di un istituto ad hoc. Mi spiego con un paragone storico. In Virginia, all’epoca del segregazionismo, esistevano fontane riservate ai bianchi e fontane riservate ai neri. Erano collegate allo stesso acquedotto ed erogavano la medesima acqua. Rivendicando il loro diritto all’eguaglianza le persone di colore iniziarono a rifiutarsi di bere dalle fontane loro riservate. Cosa avrebbe detto in questa situazione il Partito democratico? Accontentatevi, in fondo è la stessa acqua, è la stessa identica cosa, alla fine non c’è differenza! No! La differenza c’era e c’è eccome, ed è nascosta nella logica per la quale oggi ci si propone un istituto giuridico magari identico al matrimonio, ma che matrimonio non è. L’idea cioè che in virtù di un differente orientamento sessuale sia precluso ad un determinato gruppo sociale un diritto garantito al resto della popolazione. Se crediamo nell’uguaglianza sostanziale di ogni cittadino e cittadina di fronte alla legge, come costituzionalmente garantito, ogni istituto, ogni riconoscimento, ogni scelta politica che non salvaguardi in modo netto questo sacrosanto diritto non può che configurasi come discriminatoria. Quindi se la popolazione eterosessuale, a fronte di uguali doveri, ha accesso al matrimonio e la popolazione omosessuale no, esiste un problema. Problema che non può essere superato con istituti dimidiati o con scelte di serie B, ma con l’affermazione piena di quella uguaglianza che ci spetta di diritto.

Affermare poi, come erroneamente sostenuto da Bindi, Fioroni ed Avvenire, che la costituzione vieti i matrimoni fra persone dello stesso sesso è falso, come dimostra la recente sentenza della Corte di Cassazione (n° 4184/2012) e la riflessione giuridica attorno a tale tematica scaturita dalla sentenza della Corte Costituzionale (n° 138/2010). Pretendere di cristallizzare la Costituzione al 1946 è un esercizio irrispettoso e fuorviante. Pretendere di bloccarne l’interpretazione, magari partendo da una visione ideologica e parziale, è fare violenza alla legge stessa e chiudere il diritto in una asfittica gabbia dogmatica. D’altra parte gli stessi Costituenti, come ben spiegò Calamandrei agli studenti milanesi in una lezione del 1955, interpretarono la Costituzione come una macchina: se non ha la benzina, ovvero le nuove idee della comunità che vive sotto i suoi dettami, non va da nessuna parte, diventa carta morta. Senza la naturale evoluzione costituzionale che muove dal progredire dei rapporti sociali le nostre leggi sarebbero sterili, immobili ed inadeguate.

Quali altre scuse si possono ancora accampare per negarci un diritto che attendiamo da sempre e che già ci è riconosciuto al di là delle alpi? Con che coraggio ci si chiederà di avere pazienza? Attendiamo da troppo tempo di vederci riconosciuto un diritto che è già nostro: avere la possibilità di costituire una famiglia, vivere i nostri rapporti in modo costruttivo, guardare al futuro con le stesse aspirazioni e desideri che albergano nel cuore di tutte e tutti.

La società nel suo complesso sembra averlo compreso. Non così tutti i partiti. Ma la politica necessita di idealità, di coraggio, di prospettive; non può muovere le sue scelte su tatticismi e sondaggi, soprattutto di fronte a istanze di giustizia sociale, di equità ed uguaglianza come quelle espresse dalle persone e dalle famiglie omosessuali: a fronte di eguali doveri chiediamo l’accesso agli stessi identici diritti già garantiti a tutti gli altri cittadini della Repubblica, senza se e senza ma. Per dirla con Stefano Rodotà “È disperante che i partiti si preoccupino più degli equilibri interni e delle alleanze possibili che del rispetto della dignità e dell’eguaglianza delle persone, rimanendo ancora sostanzialmente schiavi di quella che è stata chiamata la “politica del disgusto”, mentre è tempo di realizzare pienamente la “politica dell’umanità”.