F*ck the Violenza, cap. 1: “Masculazzu”

  

“F*CK THE VIOLENZA!” è un progetto pensato dal Gruppo Cultura di Arcigay Catania in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia (o IDAHOBIT, acronimo di International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia).

L’obiettivo della giornata è quello di promuovere e coordinare la sensibilizzazione e la prevenzione sulla tematica, così da     contrastare il fenomeno dell’omofobia, della bifobia e della transfobia. 

Il progetto consiste nel raccogliere, pubblicare e far circolare una serie di racconti, frasi, testimonianze reali, creando uno spazio sicuro per dare voce a chi ha conosciuto la violenza, l’ha superato e la combatte, raccontandovela; per un mondo migliore per tutt* e un migliore tempo di vita; perché abbiate sempre cura di splendere. 
Le cose cambiano, e vanno meglio: noi vogliamo dimostrarvelo.

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“Masculazzu” mi chiamavano, sulla strada che portava dalla chiesa a casa.

Io, che masculazzo mi ci sentivo davvero, abbassavo l’educazione impartita dai miei genitori al livello dell’asfalto e rispondevo con un sonoro “Suca”.

Mi lasciavano andare, perché quel botta e risposta era diventata moneta di scambio dopo ogni sessione di catechismo settimanale.

Non appena fuori dal sagrato, la litania, come un rosario infamante, si ripeteva ogni sabato.

“Ma quindi hai la minchia? Ce la fai vedere? I capelli chi te li taglia? Vieni qua masculazzu! Piscia con noi!”.

“In nome del padre e dello spirito santo… Amen”, era l’assoluzione ai miei peccati dopo ogni confessione. Io che di errori non ne avevo ancora fatti, a 8 anni, forse un “suca” di troppo per essere masculo davvero e potermi difendere almeno con le parole, per strada.

A casa non vi era assoluzione alcuna invece, nemmeno per le lacrime che sommessamente dovevo tacere nascosta sotto un tavolo, dentro parole impreparate ad accogliere un ingenuo inchiostro blu.

“Masculo o fimmina, in questa casa nessuno porta insulti. Ti devi difendere”.

M-A-S-C-U-L-A-Z-Z-U.

Tanto valeva difendersi dunque.

Quando il suono della voce del mio nemico scandì ancora una volta l’offesa, il monito di mio padre mi venne in soccorso e mi trasformai io stessa in ciò che nemmeno Dio avrebbe perdonato.

“Non fare ciò che non vorresti fosse fatto a te”.

Lo afferrai per i capelli e lo trascinai a terra, con una rabbia che ho imparato a dimenticare e la vergogna di aver picchiato lui, Dio, e me stessa.

Per mia colpa, mia grandissima colpa nell’essere libera e senza peccato alcuno.

Sulla strada di casa mi perdono. 

Masculazzu.

 

 


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