Unioni civili, nessun diritto è mai un insuccesso

  

Di Gabriele Piazzoni

Segretario nazionale Arcigay

 

Abbiamo  letto con stupore l’articolo pubblicato oggi su Repubblica e che commenta il numero di unioni civili celebrate dall’approvazione della legge. L’articolo parla di “flop”, “niente corsa”. E argomenta: “Nelle piazze, prima della legge, c’erano migliaia di manifestanti — uomini e donne gay che rivendicavano il loro diritto di unirsi in un “matrimonio” civile — ma ora le cifre forniscono un quadro decisamente sottodimensionato”. Tanti a volerlo, in pochi invece a celebrarle. Quindi, un “flop”. Esistono questioni di metodo e di merito che rendono questa analisi, dal punto di vista di Arcigay, estremamente superficiale e perciò piuttosto infelice. Nel metodo: i diritti non sono un prodotto immesso nel mercato, di cui si misura il successo attraverso i dati di vendita. All’indomani dell’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza, nessuno si sarebbe sognato di contare gli aborti e misurare un “flop” o un “boom”. E analogamente, se mai questo Paese riuscirà ad attraversare il tema dell’eutanasia, sarebbe mostruoso il giorno dopo attendersi una “corsa”. I diritti non sono quella roba lì, sono questioni universali anche quando riguardano concretamente solo tre persone. Nel merito: rispetto a quale parametro le 2.800 unioni civili vengono definite un “flop”? Nell’articolo non c’è alcun raffronto con i dati europei, ad esempio: il dato italiano (che non è relativo a un anno, dal momento che gli adempimenti tecnici hanno reso possibile le celebrazioni solo da luglio 2016) pare in linea con quello spagnolo ad esempio, dove nel 2005 fu approvato il matrimonio egualitario (non le unioni civili) e nei successivi 12 mesi si contarono  poco più di 3000 riti. Insomma: chi stabilisce la soglia tra flop e boom?

Infine: l’aspetto inconfutabile dell’articolo sta ovviamente nei numeri, di cui immaginiamo siano verificate le fonti. Nel modo in cui si articolano sul territorio nazionale aprono molti quesiti. E le risposte non possono essere sciocche: è impensabile che gli omosessuali vivano tutti al Nord o al Centro, così come pare poco credibile che quell’unica unione civile in Molise significhi che in quella regione ci sia poca voglia di costruire una famiglia. Dietro quei numeri ci sono diverse questioni, alcune molto serie, che noi incrociamo nella quotidianità e che rappresentano il senso della nostre battaglie. Questioni che non rendono inutile una legge, semmai ne rendono urgenti, oltre a quella, altre. “Dovranno essere gli studiosi a spiegare” scrive Liana Milella, autrice dell’articolo. Ed è senz’altro così. Dal canto nostro però, possiamo dire che in Italia è molto lontano il giorno in cui si potrà scrivere un editoriale dal titolo: “Omofobia flop”. Perfino a legge già approvata, abbiamo visto sindaci rifiutarsi di celebrare le unioni civili e relegarle allo stanzino nel sottoscala. Perché sulla pelle delle persone lgbti la politica gioca un’ignobile battaglia di consenso, di voti: lo abbiamo visto nei lunghi mesi di discussione della legge, continuiamo a osservarlo tuttora.

Noi una cosa vogliamo dirla con chiarezza: le unioni civili, dal momento che riconoscono diritti finora negati, sono una conquista. E accorciano la distanza dal traguardo della piena uguaglianza, davanti alla legge, delle persone lgbti. Ma le unioni civili – e il matrimonio egualitario – non sono un’ortodossia, non rappresentano un percorso obbligato. Perciò festeggiamo le 2800 coppie di gay e lesbiche che hanno detto sì e che hanno formalizzato dinanzi alle istituzioni il loro amore. E festeggiamo anche quelle che hanno fatto scelte diverse, libere e consapevoli, ponendo altrove la meta della loro felicità. E soprattutto, nel frattempo, continuiamo a lottare accanto a tutte le persone che nel cammino verso i propri obiettivi – che possono comprendere o meno le unioni civili – incontrano ostacoli determinati da chi rifiuta il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere. Perché la discriminazione, anche di una sola persona,  è sempre una sconfitta.