Arcigay Messina scrive al vescovo

  

Arcivescovo di Messina
Eccellenza Rev.ma

In queste ore sono molte le voci che si alzano per esprimere il giusto e dovuto sdegno per due fatti accaduti a distanza di solo poche ore l’uno dall’altro e tutti e due aventi quale figura centrale quella dell’attuale Pontefice Benedetto XVI:
1. l’accoglienza concessa al presidente del parlamento ugandese Rebecca Kadaga, giorno 12 c.m., la quale si appresta a proporre e fare approvare una legge “KILL THE GAY BILL” che, come chiaramente indica la sua denominazione prevede anche la pena capitale per atti omosessuali, legge definita “odiosa” dal Presidente Obama. La “gentile signora” non solo è stata accolta ma anche benedetta dallo stesso Pontefice;
2. l’ennesima condanna del matrimonio fra persone del medesimo sesso, addirittura definito un pericolo per la società e il suo sviluppo.
Sul primo punto è evidente come il rappresentante in terra di una religione che, per bocca del suo stesso Dio fattosi uomo, ha perentoriamente affermato che i comandamenti da seguire e praticare sono due: Ama il Dio tuo con tutto te stesso – Ama il prossimo tuo come te stesso, sia incorso in una palese contraddizione di fatto.
Già la pena di morte è del tutto inconcepibile per coloro che vogliono seguire i citati due comandamenti in ossequio proprio alla sacralità della vita che per i credenti proviene da Dio stesso, al quale, dunque, non si può sottrarre ciò che Egli stesso ha donato.
A maggior ragione se questa fattispecie venisse applicata a persone “colpevoli” solo di un atto sessuale o di amore, non ritenuto degno da altri uomini e non già dal Buon Dio.
Sulla accoglienza concessa alla sempre “gentile signora” Kadaga, in virtù delle considerazioni pregresse, non possiamo esimerci dal manifestare il nostro più vivo disappunto non potendosi ritenere accoglibile da Chi predica la pace e l’amore una persona che sta proponendo al proprio paese odio e morte.
In merito al secondo punto, quello sul matrimonio egualitario, osserviamo come ancora una volta Papa Benedetto XVI, nell’anticipare il messaggio della Giornata per la Pace, ha affermato che i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono “un’offesa contro la verità della persona umana” e “una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace“.
Ci chiediamo e Le chiediamo come sia possibile una simile affermazione in nome della Pace quando la stessa reca nel suo seno un così grave messaggio di discriminazione che, come Ella ben sa, non può che generare proprio quel sentimento antiteticamente opposto alla pace, cioè odio.
Non vogliamo entrare nel merito della fattispecie del matrimonio same sex, ma solo evidenziare la evidente discrasia fra il predicare pace e amore e, invece, praticare discriminazione e odio, dunque violenza, con la precipua aggravante che il messaggio papale è diffuso largamente e ascoltato in tutte le nazioni.
Altra aggravente è costituita dal fatto che tale messaggio viene diramato nel momento proprio il giorno dopo rispetto alla risoluzione del Parlamento europeo che raccomanda agli Stati membri di introdurre il matrimonio o le unioni civili per le coppie gay e lesbiche, mentre a distanza di ore la Sig.ra Kadaga ne propone l’eliminazione fisica e il Santo Padre la più bieca discriminazione, additando l’omosessualità come un pericolo sociale.
Non vi è alcuna differenza tra un messaggio che incita alla discriminazione e uno che si augura la morte di un’intera categoria di cittadini. La morte sociale è anche fisica, come ben sapeva Hannah Arendt quando affermava che “la società ha inventato la discriminazione come arma idonea ad uccidere le persone senza spargimento di sangue”.
I Paesi e le istituzioni internazionali che chiedono a gran voce una maggiore inclusione delle coppie dello stesso sesso nel godimento dei diritti fondamentali non lo fanno perché sono impazzite, per puro autolesionismo o perché hanno perso la retta via.
Lo fanno, al contrario, perché hanno capito benissimo che le loro società saranno migliori se gli stessi diritti sono riconosciuti a tutti senza distinzione di orientamento sessuale, e se le giovani generazioni di gay, lesbiche e bisessuali possono sperare in un futuro di relazione, affetto ed amore con la persona di loro scelta e non con quella che il governo o il legislatore qualificano come tale.
La Chiesa, poi, non si lamenti se le prossime generazioni e i giovani di oggi non si avvicinano più al Vangelo, ma come potrebbero, Le chiediamo, se la Parola viene predicata in così singolare modo?

Rosario Duca
Presidente
Arcigay Makwan Messina


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