Identità di genere, Corte Costituzionale supera il vincolo del bisturi

  

Voza (Arcigay): “Ora riprenda con più vigore il dibattito per allinearsi agli standard europei”

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Bologna, 6 novembre 2015 – “Una sentenza importante, che chiarisce una volte per tutte un tratto ambiguo della nostra legislazione, sgravando finalmente di questa ambiguità le persone che la subivano in maniera traumatica e violenta. Ma questa sentenza non assolve la politica dai propri urgenti compiti”: Ottavia Voza, responsabile politiche trans di Arcigay, interviene a commento della sentenza depositata n.221 depositata ieri dalla Corte Costituzionale. “Questa sentenza – spiega – segue l’altra della Corte di Cassazione del luglio 2015. L’aspetto positivo riguarda, nell’immediato, l’applicazione della legge 164 del 1982, rispetto alla quale chiarisce in maniera ancor più stringente che per accedere alla riattribuzione anagrafica non è necessario costringere la persona ad un intervento chirurgico di riattribuzuine primaria del sesso. Tuttavia il precedente pronunciamento della Corte di  Cassazione, che recepiva sistematicamente le raccomandazioni della Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo sul divieto della sterilizzazione obbligatoria per le persone trans, sanciva il diritto alla totale autodeterminazione della propria identità di genere, svincolando le procedure di transizione da ogni complessità legata a percorsi medicalizzati. Con questa sentenza, che in sostanza renderebbe in principio non più obbligatoria una revisione della legge 164, il rischio che bisogna evitare è quello di cristallizzare la nostra norma sulla complessità attualmente prevista per il percorso di transizione, ancora sostanzialmente medicalizzato, ed ancora vincolato a procedure che prevedono complessi passaggi nelle aule dei tribunali. L’auspicio – conclude Voza – è che si riprenda, con maggior vigore, il dibattito sulla necessità di allineare la nostra normativa a quelle dei paesi più avanzati, in cui l’aspetto centrale è costituito dal diritto all’autodeterminazione delle persone trans, in un’ottica di totale depatologizzazione. Tenendo ben presente che la depatologizzazione psichiatrica della transessualità non dovrà comportare l’automatica esclusione dei percorsi di transizione dal servizio sanitario nazionale”.