Memoria » Il contesto storico

Questa breve presentazione storica è tratta dal sito del Circolo Arcigay “L’atomo” di Piacenza.

  1. Il quadro storico nel periodo delle dittature in Europa
  2. L’omosessualità durante il fascismo
  3. Il lesbismo durante il nazismo
  4. Paragraph 175

 

Il quadro storico

Gli omosessuali, troppo a lungo e ancora oggi troppo spesso dimenticati, sono stati il terzo gruppo, dopo ebrei e zingari, ad essere perseguitati, internati e uccisi nei campi di sterminio. Con l’intento di purificare la società tedesca e propagare l’ideale di razza Ariana, i nazisti condannarono gli omosessuali come “socialmente aberranti”. Subito dopo essere stato eletto, il 30 gennaio 1933, Hitler mise fuori legge tutte le associazioni gay e lesbiche. Le truppe di Camicie Brune (SS) razziarono in brevissimo tempo tutti i luoghi di incontro e di socializzazione degli omosessuali.

“Furono 100mila gli omosessuali arrestati dai nazisti tra il 1933 e il 1945. Tra questi, 15mila vennero internati nei campi di concentramento. Dai documenti ufficiali del regime e’ risultato che solo 4mila furono i sopravvissuti”. I dati sono forniti dall’Arcigay che, ogni anno partecipa attivamente in molte città italiane, come parte in causa, alle celebrazioni della ‘Giornata della memoria’ iniziate nell’anno 2000.

“La persecuzione dei ‘triangoli rosa’ sta lentamente uscendo dall’invisibilita’, grazie all’impegno della comunita’ omosessuale -afferma il presidente dell’associazione Sergio Lo Giudice- Purtroppo sono ancora tante le resistenze e gli ostacoli ad un ricordo pieno e senza imbarazzi di quello sterminio”.

Sono ancora molti, secondo Lo Giudice, quelli che “preferiscono ignorare quei morti, imbarazzati dal razzismo delle loro stesse posizioni odierne sull’omosessualita’”.

Il triangolo rosa: un simbolo comune nel mondo gay, da quando è stato adottato dal movimento di liberazione gay. Quel triangolo, appiccicato sulla vetrina di un negozio del centro, oggi ci attrae, ci dice che lì non saremo discriminati, che quello è in sostanza un luogo gay. Ma quando il triangolo rosa nacque, non fu per indicare protezione e appartenenza…
Un triangolo rosa cucito sulla giacca, in un campo di concentramento nazista, significava che chi lo portava era un perverso, un rifiuto sociale buono solo per la fatica ed alla fine per la morte.
Dal 1933 insieme agli ebrei, agli zingari, ai testimoni di Geova, e ai comunisti, anche i gay conobbero la deportazione e la vita nei campi di concentramento; anche i gay furono considerati “nemici del Reich e della razza”; anche i gay furono sterminati e cremati. E fu proprio dentro ai campi di concentramento che Hitler e i suoi uomini decisero di distinguere i gay dagli altri deportati attraverso un triangolo rosa.

Al contrario di quanto pensano alcuni, la deportazione degli omosessuali non fu un fatto al quale i nazisti offrirono scarsa attenzione: è dimostrato che le autorità tedesche trattarono la questione molte volte. Nel 1934, per esempio, la Gestapo (la polizia politica nazista) richiese a tutti i dipartimenti di polizia di compilare un elenco di persone notoriamente omosessuali.
Un paio d’anni dopo, la repressione contro i gay si rese ancora più feroce: il ministro Himmler prese pubblicamente posizione contro il pericolo che l’omosessualità rappresentava per la razza. Nacque addirittura il Dipartimento di Sicurezza Federale contro l’aborto e l’omosessualità. I treni si riempivano intanto sempre più spesso di deportati omosessuali.
Nel 1937 Himmler, in un incontro tenutosi fra lui e i comandanti delle SS, dichiarò che eliminare gli omosessuali era diventato necessario.

Anche all’interno delle forze armate tedesche venne fatta pulizia in profondità e chi veniva considerato gay aveva un solo modo per salvarsi la vita: accettare la castrazione e partire verso i fronti più pericolosi.

In Italia per fortuna il quadro era diverso: dal 1936 le autorità fasciste punirono la “devianza sessuale” con il semplice confino.

In tempi di revisionismo storico feroce, oggi alcuni starnazzano stupidaggini sostenendo che gli omosessuali non furono mai deportati in base al loro orientamento sessuale, ma questo viene sistematicamente smentito dai fatti.

Piaccia o no, secondo i dati rinvenuti negli archivi di diversi lager, presso i tribunali e gli uffici di polizia, risulta che nel 1943 i campi di concentramento avevano già ospitato 46.436 persone omosessuali e gli storici più possibilisti si spingono fino a una valutazione complessiva che arriva a 250.000 deportati.

Per questa ragione Irène Michine, rappresentante della francese Federazione nazionale dei deportati e degli internati resistenti e patrioti sostiene che si deve insistere perché anche gli omosessuali vengano universalmente considerati vittime a pieno titolo della deportazione, ed auspica fra l’altro che anche ai gay vengano dedicati monumenti commemorativi.

Dall’altra parte della barricata siede invece Pierre Edues che dalle colonne della rivista “Illico” all’inizio del 2002 dichiarava: “Non c’è stata nessuna deportazione omosessuale. Ho letto il rapporto della Fondazione per la memoria della deportazione i cui dirigenti non sono ex deportati. Sono stato in diversi campi e non ho mai visto dei triangoli rosa. Quelli che manifestano oggi per loro non sono i loro figli: i gay non hanno figli”.
È triste pensare che esista ancora gente col tempo e la voglia di negare un fatto storico inconfutabile. È patetico notare che gli argomenti che usa sono poverissimi e privi di qualunque interesse.

Un piccolo popolo di persone silenziose e miti si è spento in decine di campi di sterminio. Non per cause religiose, non per ragioni razziali e nemmeno per motivi legati al proprio credo politico.
Di questo sterminio quasi non resta memoria. Una targa di marmo rosa, piccola, discreta e giusta, che commemora le vittime gay della violenza nazista nel campo di concentramento di Dachau, ha atteso più di vent’anni prima di ottenere la necessaria autorizzazione.
Ad Amsterdam si trova un monumento più celebre, il grande ”Homomonument” che attrae turisti gay da tutto il mondo.

I monumenti alla memoria delle vittime omosessuali in Italia sono raccolti in questa stessa pagina.

La punizione dell’omosessualità durante il periodo fascista

Osservando le differenti giurisprudenze di Germania e Italia in materia di omosessualitá, durante i periodi di dittatura nazifascista, si nota subito il diverso approccio dei due Stati alla “questione omosessuale”. Mentre la Germania di Hitler perfezionava il Paragrafo 175 e preparava i primi campi di concentramento, l’Italia di Mussolini escludeva dal “Codice Rocco” qualsiasi traccia di omosessualitá. In buona sostanza il nazismo provava ad eliminare fisicamente l’omosessuale (uccidendolo o “curandolo” con i piú subdoli ed inefficaci esperimenti), mentre il fascismo utilizzava il silenzio come arma efficacie e sperimentata, applicando il principio tipicamente latino per cui di un argomento scomodo “meno se ne parla e meglio é”. Gli omosessuali tedeschi venivano eliminati dalla circolazione e uccisi, quelli italiani venivano fatti sparire al confino in qualche isola remota per poi farli tornare e svergognarli di fronte ai propri concittadini notificandogli l’obbligo di firma per i motivi ormai noti a tutti. Tuttavia, sebbene questa sia la tesi piú comunemente accettata, vi erano alcune eccezioni. Diversi omosessuali tedeschi si salvarono dai lager grazie a conoscenze altolocate o pagando ingenti somme di denaro. Molti omosessuali italiani furono invece spediti ai lavori forzati in miniera a Carbonia, comune sardo creato durante la dittatura per dimostrare la laboriositá del popolo italiano.

Il Codice Rocco e la tolleranza repressiva

Il codice fascista, il Codice Rocco, non ha prodotto, nel momento della sua attuazione, una legge specifica antiomosessuale. Tra l’altro neanche il codice precedente, il Codice Zanardelli, conteneva una legge antiomosessuale. Ma attenzione, non è una scelta liberale, non è nell’ideologia fascista o di Zanardelli o dell’Italia Umbertina (io ricordo che probabilmente noi non sappiamo nulla sulla repressione e sull’uso di sanzioni di polizia nell’Italia prefascista, che è un campo di ricerca tutto da vagliare), il fatto di non perseguire con leggi apposite l’omosessualitá. Non è una scelta liberale, non è una scelta di riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali quella di non inserire un articolo antiomosessuale, anzi!

L’articolo antiomosessuale era presente nel progetto Rocco del 1927. Questo progetto prevede un articolo, il nr. 528, che punisce con il carcere da 1 a 3 anni qualsiasi persona che abbia relazioni omosessuali. La pena poteva essere aggravata dalle circostanze di accadimento. Nell’Italia fascista, questo sarebbe stato il primo articolo antiomosessuale che avrebbe colpito le persone perché, come dice Appiani, (magistrato): “Questo articolo risponde pienamente al nuovo orientamento del regime fascista, ispirato ad una più efficace tutela della sanità fisica e morale della stirpe contro il rilassamento del costume determinato dalla guerra e accentuatosi nel dopoguerra, che ha consigliato di apprestare nuovi e più idonei mezzi di difesa contro le minacce alla moralità e le oscenità che insidiano lo spirito delle nuove generazioni. Oggi lo stato fascista deve prevalere sull’individuo nel conseguimento dei suoi fini etici”.

Ma nel momento in cui però c’è la discussione finale a sorpresa l’articolo viene tolto. Le motivazioni, se non fossero tragiche, sarebbero comiche. La relazione finale della Commissione Appiani, che è quella che dovrà discutere e mettere in atto il progetto proprio sul Codice Penale Rocco dice così: “La Commissione ne propose ad unanimità e senza alcuna esitazione la soppressione per questi due fondamentali riflessi. La previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna ed orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore, nei congrui casi può ricorrere l’applicazione delle più severe sanzioni relative ai diritti di violenza carnale, corruzione di minorenni o offesa al pudore ma è noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di impostazione assolutamente straniero, la Polizia provvede fin d’ora, con assai maggiore efficacia, mediante l’applicazione immediata delle sue misure di sicurezza e detentive”. Viene quindi detto: “non c’è bisogno dell’articolo perché non abbiamo omosessuali”; c’è quindi una negazione della differenza. Gli omosessuali non esistono, se caso mai comunque ne troviamo qualcuno, tanto poi ci sono anche le forze di Polizia che ci pensano, ed è quello che in Italia verrà fatto.

Questo non si discosta dalla tradizione precedente dello Zanardelli stesso che, nel commentare un non inserimento dell’articolo antiomosessuale nel Codice Penale del 1889 diceva: “Il legislatore non deve invadere il campo della morale”, ma il silenzio funziona meglio di una repressione aperta, che è l’atteggiamento della tolleranza repressiva (nel quale possiamo leggere la nostra storia di movimento gay italiano). Nel momento in cui c’è una dichiarazione di guerra si risponde, però in realtà l’atteggiamento è quello di non dichiarare guerra aperta ma nello stesso tempo agire, e quindi reprimere, e il regime fascista lo farà quando ce ne sará bisogno utilizzando le misure di polizia.

Che cosa erano queste misure di polizia? Le misure di polizia erano regolate dal Testo Unico di Polizia del 26-31. Semplicemente in ogni provincia c’era una Commissione Provinciale formata dal Prefetto, Questore, Rappresentante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e un rappresentante dei Carabinieri Reali. Una persona poteva essere diffamata dalla voce pubblica al Questore, ed il Questore faceva partire su di lui un procedimento e dava poi le carte alla Commissione senza che la persona sapesse nulla. Poteva essere data una sanzione amministrativa senza che la persona sanzionata sapesse nulla, dopodiché una volta che la Commissione Provinciale si pronunciava partiva l’arresto nel caso di confino oppure la comunicazione alla persona. Le tre sanzioni fondamentali utilizzate erano la diffida, l’ammonizione e il confino.

La persecuzione del lesbismo!

L’Articolo 175 che condannava l’omosessualità maschile non prendeva in considerazione quella femminile.

Il lesbismo non era considerato dalle autorità una minaccia o un “sabotaggio socio-sessuale” dei fondamenti del Terzo Reich, perciò, a patto che non dessero pubblico scandalo le lesbiche non furono formalmente perseguitate.

D’altro canto la condizione femminile nella Germania pre-nazista era tale che alle donne era vietato aderire a partiti od organizzazioni politiche.

Fu per questo che, anche negli anni nei quali il movimento omosessuale ebbe maggiore forza, le lesbiche si limitarono a frequentare i locali della Berlino omosessuale senza esporsi ad un impegno politico palese. Ciononostante alcuni luoghi di ritrovo lesbici a Berlino come il “Dorian Gray” e il “Flauto Magico” divennero luoghi nei quali l’omosessualità femminile incominciò a organizzarsi.
Spuntarono opere letterarie che fecero un certo scalpore come “Frauenliebe” (“Amore femminile”) e “Die Freundin” (“L’amante donna).

Già nel 1928 a causa della reazione conservatrice gli spazi di libertà per le lesbiche vennero a restringersi: con l’avvento del nazismo anche questi limitati spazi di “libertà” scomparvero. La censura si abbatté sulle pubblicazioni “immorali”: “Die Freundin” venne messo all’indice in base alla “Legge sulla protezione della gioventù dalle pubblicazioni oscene”, vi furono richieste in parlamento di una legge che perseguisse esplicitamente il lesbismo e numerosi attacchi sulla stampa vennero dal più impegnato conservatore dell’epoca su questo fronte: Erhard Eberhard che sostenne che il movimento per i diritti civili delle donne era un movimento di facciata per promuovere la corruzione dei costumi femminili in Germania.

Quando nel 1933 i nazisti arrivarono al potere proprio in virtù della loro convinzione che la donna fosse inferiore all’uomo, si disinteressarono al problema.

Ciò non significò che essere lesbiche fosse consentito come stile di vita. All’indomani della presa del potere i nazisti chiusero tutti i locali di ritrovo e crearono un clima di costante timore incoraggiando le azioni di polizia e le denunce anonime contro le lesbiche. Bastava la lettera anonima di un vicino di casa per ritrovare alla propria porta la Gestapo.  Molte lesbiche cambiarono città per rompere i legami con i circoli che avevano frequentato, altre si sposarono con omosessuali maschi per ridurre la loro visibilità.

Ciononostante i nazisti continuarono a sorvegliare con particolare attenzione le lesbiche. Se anche l’omosessualità femminile non era considerata un reato esplicitamente vietato dalla legge, le lesbiche vennero ugualmente perseguitate non in quanto tali ma in quanto “asociali”. Così ufficialmente non vi furono arresti per lesbismo ma per comportamenti personali contrari all’ideologia nazista.

Nei campi di concentramento le lesbiche non furono catalogate come omosessuali ma come pervertite alla stessa stregua delle prostitute. Questa distinzione era marcata dal fatto che per esse nei campi vi fu l’obbligo di indossare il triangolo nero, simbolo delle prostitute.

Si deve aggiungere che la politica del lavoro nazista danneggiò ulteriormente le lesbiche. Poiché il lavoro femminile era guardato con sospetto e i posti di responsabilità negati alle donne, le lesbiche – perlopiù non coniugate – si trovarono a dover combattere con drammatici problemi economici.

La mancata persecuzione esplicita del lesbismo non toglie nulla alla repressione generalizzata che queste persone subirono ed al clima di paura nel quale vissero per tutta la durata del regime.

Paragrafo 175 del codice penale tedesco [28/6/1935]

§175

Un uomo che commette atti licenziosi e lascivi con un altro uomo o permette l’abuso su di sé di atti licenziosi e lascivi, deve essere punito con l’imprigionamento.

175a

È obbligatorio l’imprigionamento in un penitenziario per un periodo di tempo non superiore ai dieci anni, e (in presenza di circostanze attenuanti) non inferiore ai tre mesi, per:

  • l’uomo che, con l’uso della forza o della minaccia della vita, obbliga un altro uomo a commettere atti licenziosi e lascivi con lui o obbliga la controparte a sottomettersi ad abuso con atti licenziosi o lascivi.
  • l’uomo che, sfruttando la propria posizione di superiorità in una relazione, per motivi di servizio, impiego o grado, induce un altro uomo a commettere atti licenziosi e lascivi con lui o a sottomettersi ad abuso mediante tali atti.
  • l’uomo che, avendo più di 21 anni induce un uomo che ha meno di 21 anni a commettere atti licenziosi e lascivi con lui o a sottomettersi ad abuso mediante tali atti.
  • l’uomo che organizza in modo professionale atti licenziosi e lascivi con altri uomini, o li sottometta ad abuso mediante tali atti, o offre se stesso per atti licenziosi o lascivi con altri uomini.

§175b.

Gli atti licenziosi e lascivi contrari alla natura, fra esseri umani ed animali, devono essere puniti con l’imprigionamento; può rendersi necessaria la perdita dei diritti civili.