Ripartiamo da noi – approvato dal Consiglio nazionale

  

Arcigay si avvicina alle elezioni senza una coalizione politica di riferimento. La maggioranza uscente guidata da Silvio Berlusconi si è rivelata la più antilibertaria della storia della Repubblica. La Casa delle Libertà, accanto al razzista Calderoli, al fascista Tremaglia, all’integralista clericale Buttiglione, i tre ministri omofobi che hanno messo in imbarazzo l’Italia nel mondo, schiera oggi anche quei gruppi fascisti come Forza Nuova che negli ultimi anni si sono caratterizzati per minacce e violenze nei nostri confronti. La vittoria di quella coalizione, che pure contiene alcuni esponenti di una cultura laica e liberale favorevoli alle nostre istanze, rappresenterebbe la vittoria dei nostri più acerrimi nemici.

L’Unione, dal canto suo, è venuta meno all’impegno che lo stesso Prodi aveva assunto e che avevamo tracciato come il confine ultimo per sentirci rappresentati da quella coalizione. Siamo consapevoli che l’impegno contenuto nel programma dell’Unione potrà dare vita ad una legge che affermi una volta per tutte l’uguaglianza di diritti fra le coppie di fatto omosessuali ed eterosessuali. Ma la nostra richiesta di un nuovo istituto giuridico pubblico come il Pacs, che desse anche alle coppie dello stesso sesso uno status civile, era per noi il terreno minimo di confronto, dato il permanere della discriminazione nell’accesso al matrimonio per le coppie gay e lesbiche. Prendiamo atto che la maggior parte dei partiti della coalizione di centrosinistra ha ribadito le proprie posizioni favorevoli al Pacs e l’impegno sulle nostre istanze. Tuttavia le posizioni clericali della Margherita e dell’Udeur hanno avuto la meglio e, sebbene riconosciamo uno sforzo degli altri partiti per arrivare ad un diverso risultato, questo non ci basta per riconoscerci in una coalizione che non ci rappresenta nel suo programma. Rimaniamo critici verso un’alleanza in cui il centro clericale tiene in scacco una sinistra che non è riuscita ad imporre la centralità della laicità, principio costituzionale e garanzia del rispetto dei diritti civili fondamentali delle persone lgbt.

Non cederemo alle sirene dell’astensionismo, perché siamo consapevoli della necessità di mandare a casa l’attuale maggioranza di governo come condizione di qualunque futura riforma. Ma non ci schiereremo con l’Unione in quanto tale. Un anno fa, nel congresso del ventennale di Arcigay, abbiamo assunto un impegno: “mai ci schiereremo con chi non si schiera con noi, mai consegneremo cambiali in bianco ai partiti politici, mai chiameremo la nostra comunità ad esprimere il suo voto a favore di chi non si sia impegnato in modo chiaro e deciso nella promozione dei nostri diritti e delle nostre libertà.”. Oggi è il momento di rispettare quell’impegno. Noi non ci schieriamo a fianco dell’Unione. Non voteremo le liste del centrodestra, ma neanche quelle dell’Udeur e della Margherita, anche se sappiamo che in questo partito una minoranza di candidati/e è dalla nostra parte ed ha sottoscritto la proposte di legge sui Pacs.

Daremo il nostro voto solo a quei partiti (Italia dei Valori, Pdci, Rosa nel Pugno, Repubblicani Europei, Verdi, Rifondazione, Ds) che hanno inserito in modo esplicito le nostre richieste nei propri programmi. Riconosceremo col nostro voto, nelle relative circoscrizioni, l’impegno di quelle liste che garantiscono l’elezione di nostri rappresentanti in Parlamento (Franco Grillini in Lombardia1, Titti De Simone in Emilia, Vladimir Luxuria in Lazio, Gianpaolo Silvestri al Senato in Lombardia). Sosterremo i candidati e le candidate del movimento lgbt (alla Camera, Enzo Cucco in Piemonte1, Luca Trentini in Lombardia2, Alessandro Zan in Veneto, Fabio Croce in Lazio; al Senato, Marcella di Folco in Emilia, Vanni Piccolo e Maria Gigliola Toniollo in Lazio, Agata Ruscica in Sicilia). Chi di loro sarà eletto/a avrà molto da lavorare nel prossimo Parlamento per allargare lo spazio del diritti civili sul piano normativo e rappresenterà per noi un punto di riferimento importante.

Il nostro ruolo, da domani, si svolge altrove. Al Congresso del 2005 avevamo rilanciato con forza l’obiettivo del Pacs. Tutti i leader della sinistra e dei Radicali erano con noi. Il sistema elettorale maggioritario spingeva per l’assunzione di posizioni unitarie di coalizione, e questo andava a nostro favore. Il vento di Spagna, con l’annuncio della terza legge europea sul matrimonio gay e lesbico, ci dava forza, ma giungeva in Italia troppo debole perché fosse ragionevole pensare che avrebbe spostato su quel terreno le posizioni delle forze politiche. Poi è arrivata la sconfitta del fronte laico sul referendum contro la legge 40 sulla fecondazione assistita che ha rilanciato ulteriormente l’offensiva del Vaticano. La reintroduzione del sistema elettorale proporzionale ha spinto a differenziare le posizioni de partiti della coalizione e, in particolare, ha spinto Francesco Rutelli a diventare la voce politica dei vescovi italiani, tanto da sconfessare lo stesso Prodi e il suo impegno pubblico sui Pacs.

Ribadiamo la fondatezza delle scelte di quel Congresso, seguite da un massiccio impegno di Arcigay su diversi fronti: la mobilitazione di massa; la costruzione dell’unità di tutte le organizzazioni più significative del movimento lgbt su quella linea; il pressing sulle forze politiche e sulla stampa, con momento di scontro pubblico anche molto accesi, come il nostro attacco pubblico a Prodi del settembre scorso che ha provocato, il giorno dopo, la sua presa di posizione in favore dei Pacs.

Rivendichiamo di essere stati alla guida di una grande battaglia non violenta che ha sfondato sui giornali e nell’opinione pubblica (la Repubblica ha proclamato “pacs” seconda parole dell’anno dopo “tsunami”) ha vinto nella società (secondo l’Eurispes il 71,1% degli italiani, il 68,7 fra i cattolici, è favorevole a una legge sui Pacs), ha spostato in avanti le posizioni dei partiti politici e costretto lo stesso Ruini ad accettare l’idea del riconoscimento di alcuni diritti alle coppie di fatto.

Con la stessa determinazione, prendiamo atto della battuta d’arresto della nostra lotta e della necessità di modificare la nostra strategia perché non intendiamo rimanere fermi un solo giorno né arretrare di un solo passo.

Rilanciamo l’impegno di Arcigay, e chiediamo alle altre forze del movimento di confrontarsi con noi su questo, a partire da una rilettura di una nostra storica parola d’ordine: l’uguaglianza giuridica delle persone lgbt è il faro della nostra azione e l’incipit della piattaforma politica che abbiamo proposto alle altre associazioni del movimento e sottoscritto con loro.

Negli scorsi anni abbiamo orientato la nostra azione sulla richiesta di una legge sui Pacs che, pur non comportando la piena uguaglianza di diritti, avrebbe rappresentato un passo avanti in quella direzione e dato un contributo importante alla riflessione sulla pluralità delle forme di relazione familiare. Abbiamo puntato su questo per arrivare ad un accordo, di cui abbiamo definito il limite temporale nella definizione dei programmi elettorali del 2006. Quel tempo è scaduto e l’accordo non ci ha soddisfatti. Da quel tavolo di trattativa, oggi Arcigay si alza. Lo fa non per andare più a destra, come ci chiede qualcuno, o più a sinistra, come vorrebbero altri, ma per riposizionarsi sul terreno più proprio dei movimenti, quello sociale, da cui rilanciare con fermezza la parola d’ordine della piena parità di diritti.

Noi ripartiamo da noi, dal nostro radicamento territoriale e dalle tante alleanze sociali costruite in questi anni: dal recente riassetto organizzativo che ha dato maggiore solidità all’associazione; dalla crescente emersione alla visibilità della comunità: da qui, per rilanciare nella sua interezza i contenuti della risoluzione del ’94, a partire dalla richiesta di quella sola forma di riconoscimento giuridico dell’eguaglianza civile dei nostri amori che è l’accesso all’istituto del matrimonio da parte delle coppie lesbiche e gay. Un obiettivo alto e politicamente non ottenibile nel breve periodo, ma che per noi significa lanciarci in una nuova avventura che ci avvicini a quanto sta accadendo nel resto d’Europa: condurre l’Italia a riflettere senza alibi sulla necessità di salvaguardare il principio della piena uguaglianza delle persone lgbt di fronte alla legge.


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