Aldo Braibanti parla al Corriere

  

Non siamo giustizialisti assetati di sangue, il Prc su di noi sbaglia "Non mi piace questo nuovo clamore intorno alla mia persona. Sono anziano. Malato. E non ho fatto nulla perché si riaccendessero i riflettori".

Aldo Braibanti vive da anni nella stessa casa, nel vecchio rione del Ghetto a Roma. Sotto sfratto. Con una sola lampadina che pende dal soffitto. Tra pile di libri, vecchi giornali e qualche raro esemplare di formica, di cui è un esperto. "Mirmecologo", il termine esatto. Ha 84 anni, è senza mezzi, ha solo la pensione sociale, e non sta bene in salute. Ma il suo nome è di nuovo alla ribalta dopo quasi quaranta anni. Dopo che quel 14 luglio 1968, in u’Italia ancora piuttosto prude e bacchettona, segnata dalla marea montante delle proteste studentesche, la Corte di Assise di Roma lo condannò – lui, poeta, scrittore, artista apertamente omosessuale con un passato da partigiano e nel Pci – a nove anni di reclusione. Una sentenza con la quale, per la prima (e ultima) volta in Italia veniva applicato ‘articolo del codice penale che prevedeva il reato di "plagio". Reato che poi, proprio sul’onda delle polemiche nate in seguito all’affaire – Braibanti, venne abrogato con sentenza della Corte costituzionale del 1981. Dopo quella condanna al "diabolico, raffinato seduttore di spiriti, affetto da omosessualità intellettuale" (così si leggeva nella sentenza) oggi Braibanti – classe 1922, natio di Fiorenzuola ‘Arda in Emilia, laurea in filosofia, – è ancora oggetto di polemiche.

In seguito a u’interrogazione parlamentare (primi firmatari gli onorevoli Ds Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, e Maurizio Migliavacca) in cui un molti parlamentari chiedono al governo di riconoscere al’ottantaquattrenne intellettuale, autore di volumi e di mostre come ceramista, il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli, che dal 1985 prevede un contributo economico a persone, in stato di indigenza, che si siano distinte nella cultura. Una decisone che ha suscitato proteste nel centrodestra, con il quotidiano di An, Il Secolo ‘Italia , che ieri ha parlato di "una sinistra che vuol ripulirsi la coscienza", definendo Braibanti autore di opere "che saranno anche pregevoli, ma che non sembra siano annoverate tra i capolavori italiani". "Da che pulpito", inveisce lui. Che aggiunge: "Personalmente non ho fatto alcun passo perché il vitalizio mi sia riconosciuto, non ‘ho chiesto, mi limito a seguire dal’esterno la questione, oltretutto non nuova. Mi ricordo che una richiesta fu già fatta al’epoca del primo governo del’Ulivo. Il vitalizio pareva imminente, ma non arrivò. Poi credo ‘incartamento sia finito sul tavolo di Berlusconi e lì, come prevedibile, tutto si è bloccato. Ora mi pare comunque giusto che la cosa riparta". Riparte, "la cosa": con nuove firme di politici dopo che ai tempi già manifestarono il loro assenso, tra gli altri, anche il ministro Melandri e il filosofo Gianni Vattimo. Ora hanno aderito anche il segretario di Rifondazione Franco Giordano, ‘ex ministro Katia Bellillo, molti deputati di Ulivo, Prc, Rosa nel Pugno e Nuovo Psi. Tutti in difesa del’uomo protagonista di una vicenda che negli anni Sessanta divise ‘opinione pubblica conquistando a lungo le prime pagine. Braibanti era un partigiano, torturato dai nazisti. Aveva fatto parte del comitato centrale del Pci, partito dal quale decise di uscire "in disaccordo – spiega – con un certo centralismo". Sul banco degli imputati, però, finì in seguito ai suoi legami con i giovani Piercarlo Toscani, 19 anni, e Giovanni Sanfratello, 18. Ques’ultimo per vivere con Braibanti abbandonò la famiglia ultracattolica, con un padre che arrivò a farlo ricoverare in manicomio per lo "scandaloso" legame. A 25 anni, dopo vari elettroshock e quindici mesi di internamento, il giovane al processo spiegò di "non essere mai stato soggiogato". Non altrettanto fece Piercarlo ("Ha tentato di introdursi nella mia mente", disse). E grazie a quella testimonianza "il professorucolo" Braibanti, non colpevole di violenza, fu condannato per plagio dopo una requisitoria in cui furono evocati, con frasario tipico del tempo, "balletti verdi", "degenerazione" e "invertiti". Braibanti scontò due anni di carcere (la pena fu prima ridotta e poi condonata di due anni in quanto ex partigiano). "La mia – dice oggi – non fu, come tanti credono, una condanna inflitta al’omosessuale, quanto soprattutto al partigiano. E non è vero, come ha detto Il Secolo , che il Pci mi scaricò. Fui io ad andar via, ma tanti nel partito rimasero compagni di strada. ‘Unità , magari con un p’ di ritardo, fece anche un editoriale in mia difesa. Certo, il Pci si mosse con lentezza, ma era prevedibile. I primi a prendere invece le mie difese furono i Radicali e gente come Eco, Pasolini, Moravia o Elsa Morante. Lei mi scrisse delle lettere molto belle, che conservo". Che la destra attacchi ‘ipotesi del "Bacchelli" in suo favore non lo stupisce: "Sarei stupito e preoccupato se questi signori affermassero il contrario". E se pure oggi i vari movimenti gay hanno fatto di lui un simbolo, lui dice che gli piacerebbe non essere indicato come "Braibanti ‘omosessuale" o come "quello del celebre caso": "Sono uno scrittore. E trovo assurdo che si etichettino le persone per le attitudini sessuali"


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