Al festival di Torino tra storie di Aids e Preti gay

  

TORINO – Lui guida spavaldo la parata di reduci e carri armati, lei è una silhouette in festa che gli corre incontro, traballante sui tacchi. Lui la solleva sul cingolato e la stringe a sé in un bacio immortale. Lui è Jean Gabin, lei Marlene Dietrich. Ma non è un film. E´ la fine della seconda guerra mondiale, nella Francia liberata fan ritorno i soldati dal fronte, tra loro l´attore che, arruolandosi, aveva interrotto il flirt infuocato con la diva. Parso a molti sconveniente per la combinazione di due miti opposti, eros peccaminoso e rude proletariato (tanto che la Garbo, diva rivale e vicina di villa, era salita sui bidoni della spazzatura per accertarsi di persona), quel rapporto, tra i più appassionati dell´attrice, ravviva il documentario Marlene Dietrich-La sua canzone, in anteprima italiana a Torino, al 17esimo "Da Sodoma a Hollywood", presto nelle nostre sale.

L´autore, J. David Riva, nipote di Marlene (la figlia di Marlene si chiama Maria Riva), innesta quella briciola di privato burrascoso e multiplo della nonna leggendaria nella evocazione dell´altra Dietrich, quella fuor di schermo, che in Usa e in Europa si dà una missione politica: contro Goebbels che la sollecita a lasciare «gli ebrei di Hollywood» e tornare nella Germania di Hitler, Marlene lancia appelli alla radio per invitare «il popolo e i soldati tedeschi a finirla con questa guerra assurda» e segue le truppe Usa, intrattenendole con i suoi show, commoventi Woodstock di guerra, davanti a adunate fitte di binocoli.

Il Festival torinese non è solo retrospettive, humour e parodie d´ambiente (Glaadiator di Luka Pecel è un remake in chiave gay del kolossal di Ridley Scott), ma s´interroga su grandi temi contemporanei: come l´Aids, o l´adozione nelle coppie gay, o l´omosessualità fra religiosi. Quest´ultimo argomento è indagato da Changing Habits di Sara Needham, ed è la biografia di un frate gregoriano gay di San Francisco. Con diversa angolazione, il tema ricompare nel film svizzero Amici al posto giusto di Lindsay Merrison, girato clandestinamente in Birmania e che racconta il culto dei "nat", esseri a metà fra dèi e spiriti asessuati. I monaci di questo culto, quasi tutti omosessuali, godono il rispetto unanime della popolazione. Dagli Usa e dalla Germania due film che raccontano i problemi delle coppie gay che tentano di adottare un figlio. Mentre l´Aids è un tema "planetario": gli effetti della "peste" in Sudafrica, che fa nascere sieropositivo un bambino su due e ha fatto crollare le aspettative di vita a 43 vengono mostrati nel documentario It´s like that di Johann Maree, Looking for Busi su una madre sieropositiva di Sowet e in Wa n´Wina di Dumisani Phakathi, sulle difficoltà che incontra la campagna anti Aids. E dall´Italia: Paolo e Francesco di Gabriele Anastasio e Giorni di Laura Muscardin. Il primo è una cineintervista al suo compagno sieropositivo, il secondo racconta nel dettaglio la giornata di un malato.

Tra ping-pong e giochi combinatori, la rassegna 2002, dopo figli, figlie, mariti e nipoti con sessi in dubbio o in transito, tiene a battesimo una new entry: la mamma lesbica. Tre titoli ne festeggiano l´approdo gay: A mi madre le gustan las mujeres (con attrici almodovariane), Julie Johnson con una splendida Lili Taylor attratta da Courtney Love e 101 Reykjavik (in uscita in Italia), con una sensuale Victoria Abril, amante lesbica della madre d´un giovane che forse l´ha


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