Io docente gay a viso aperto

  

Quanti sono i prof omosessuali nella scuola italiana? Quante lesbiche e quanti gay sostano nelle sale insegnanti, chiacchierano con i colleghi, si relazionano con i propri alunni glissando elegantemente di fronte alle domande sulla propria vita privata?

Io ero uno di quelli. Sereno sulla mia omosessualità, già impegnato nel movimento, eppure imbarazzato a dirmi gay a scuola. La mia naturale riservatezza, che fuori dall’aula era stata messa a tacere dal desiderio di affermare con sincerità la mia identità, lì si prendeva la sua rivincita giustificandola con i più nobili motivi: tutelare i miei spazi privati ed evitare situazioni di imbarazzo ai miei ragazzi. Balle, naturalmente. Razionalizzazioni che nascondevano l’unico reale motivo: il timore di perdere la fiducia dei miei studenti incrinando la mia figura di educatore provetto. Un residuo di omofobia interiorizzata depositato da qualche parte, in un recesso della mia mente, come un fondo di caffè.
Non è durata molto. Una mattina un paio delle animatrici del collettivo studentesco mi fermano durante la ricreazione sventolando un settimanale locale su cui tenevo una rubrica gay. Entusiaste per la scoperta, mi chiedono di aiutarle ad organizzare un dibattito. Cadeva un muro: erano proprio loro a chiedermi di abolire quell’ultimo residuo di schizofrenia. Vai col dibattito.
Iniziava la fase due: il prof è gay e tutti lo sanno. I miei studenti non si disaffezionano per questo, piuttosto mi ammirano per la mia sincerità. Colleghe e colleghi mi manifestano stima, i genitori non battono ciglio. Si parla tranquillamente di omosessualità quando si arriva a Platone o a Freud, ci si sofferma sui triangoli rosa nei lager nazisti, si partecipa al corso di prevenzione dell’AIDS. Questo, però, rimane legato alla causalità di un gay in cattedra, mentre nella classe accanto tutto procede come prima… Mancava ancora qualcosa.

Un aiuto lo dà, nel ’98, Gianfranco Fini che dalla TV tuona contro i maestri gay. E’ la piccola Stonewall di un gruppo di maestri e prof che non hanno intenzione di ingoiare il rospo. Parte un giro convulso di telefonate che brucia le tappe di coming out ormai maturi: il giorno dopo viene dato alle agenzie di stampa il primo elenco di insegnanti gay e lesbiche, con tanto di classe di concorso e istituto d’appartenenza. Un sapore da graduatoria supplenti, un vulcano d’orgoglio in eruzione. Nasceva Aletheia, coordinamento nazionale di insegnanti omosessuali. Qualche mese dopo il coordinamento si presenterà, assieme all’Arcigay, nello studio del ministro Luigi Berlinguer a proporre un corso di formazione per insegnanti sul bullismo antigay. Intanto le mamme dell’Agedo facevano circolare il video “Nessuno uguale” che, insieme a “L’offesa peggiore”, il manuale per insegnanti di Luca Pietrantoni, diventavano i nostri strumenti di formazione.
Poco dopo avviene il passaggio ad una nuova fase. L’Università di Oulu, Finlandia, ha messo in piedi GLEEnet (http://glee.oulu.fi), un progetto per la costruzione di una rete di insegnanti contro l’omofobia e l’eterosessismo nella scuola. Riesco ad ottenere un finanziamento dall’Unione Europea e parto. Manco a dirlo, i partecipanti sono tutti gay e lesbiche. Ma non è una riunione di movimento: sono colleghi, e tu stai facendo un corso di formazione, peraltro molto serio e impegnativo, di quelli in cui un insegnante italiano fa fatica a imbattersi. Con me dall’Italia c’è Gigi, poi Gertrudes, Angelika, Jean Pierre, Ute, Tim, Fabiola, e tanti altri. Alcuni di loro li rivedrò a Bologna dal 21 al 24 novembre, per un meeting di preparazione di un nuovo progetto che impegnerà un gruppo di scuole di mezza Europa.
Nell’attesa, la mia scuola, il Liceo Copernico di Bologna, mi ha approvato “Differenti ma uguali”, un progetto di prevenzione del disagio degli adolescenti omosessuali. Un questionario sull’accoglienza della scuola verso gay e lesbiche, un corso di formazione, poi un intervento nelle classi e uno sportello d’ascolto. Con la responsabile della biblioteca penseremo ad integrare alcuni titoli, con gli altri colleghi si ragionerà sull’introduzione di principi antidiscriminatori nei documenti scolastici.
L’anno scorso è venuta da me una mia alunna. Mi ha detto: un mio compagno è gay e sta male. Cosa può fare la scuola? Non poteva fare niente. Le ho dato dei riferimenti, ma fuori da lì. Non succederà più.


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