Gay di destra, fate la vostra parte

  

Da queste colonne, Angelo Pezzana accusa Arcigay di avere imbrigliato il movimento gay italiano in un’area politica, la sinistra, svendendone l’autonomia. Il fondatore del Fuori! dimentica che fu lui stesso, nel 1976, a sostenere che “il Fuori! non deve più essere il movimento di liberazione omosessuale” ma “un gruppo di liberazione omosessuale che lavora nell’area radicale”, spostando dentro il partito l’organizzazione.
Da quella scelta si produsse una articolazione del movimento gay in circoli territoriali che, nel 1985, decisero di darsi un’organizzazione comune fondando l’Arcigay nazionale.

Arcigay ha partecipato al Pride di Gerusalemme nel 2002

Arcigay ha partecipato al Pride di Gerusalemme nel 2002

Al modello dell’area di partito si sostituiva il modello associazionistico ( sperimentato in Italia da organizzazioni di massa come ARCI, Endas, ACLI). La nuova associazione dei gay italiani acquisì subito una totale indipendenza organizzativa oltre che politica dall’ARCI, a cui oggi è legata da un rapporto di federazione fra realtà autonome. Viene da sorridere quando Pezzana parla di “funzionariato gay”: magari l’allora PCI o qualsiasi altro partito avesse deciso di investire economicamente sullo sviluppo del movimento omosessuale! La verità è che Arcigay è nata e si è sviluppata in modo del tutto autonomo dai partiti, cercando alleati in ogni direzione.

Essere omosessuali non è, in sé, né di destra né di sinistra. L’orientamento sessuale non è una concezione politica o una scelta culturale, ma un carattere insito nella personalità di un individuo. Sul piano della teoria politica la tutela dei diritti individuali trova spazio più nelle teorie liberali che in quelle socialiste, attente più ai diritti sociali che a quelli civili, ma nei fatti è stata la sinistra a farsi motore della promozione dei diritti civili, dalle donne ai neri d’America. Nei fatti, il movimento gay italiano ha avuto al fianco, con la lodevole eccezione del Partito radicale, solo le forze della sinistra: una sinistra eccessivamente prudente, schizofrenica, contraddittoria, poco lineare. Difetti e carenze che non abbiamo mai fatto a meno di denunciare. Imputare a noi quelle mancanze contro cui ci battiamo da anni è frutto di strabismo politico o di malafede

Noi non abbiamo mai rinunciato a premere sul fronte opposto e a valorizzarne le rare, timide aperture: qualche dichiarazione di Marcello Pera, i patrocini ai Gay Pride della Regione Puglia o della Provincia di Milano, alcune firme su proposte di legge contro le discriminazioni gay o poco altro. Se gay che si identificano con la destra politica italiana pensano che ci siano ulteriori spazi in quella direzione, ci diano una mano invece di sentenziare sulle carenze dell’altra parte.
L’amico Enrico Oliari, presidente di GayLib e militante gay di Alleanza Nazionale, si batte da anni con ammirevole determinazione per modificare la cultura omofoba di quel partito anche se con risultati poco incoraggianti. La Lega Nord è passata da una prima fase più laica ad un attacco frontale dei gay, paragonati da Bossi a “sporcaccioni e pedofili”: il gruppo di gay leghisti “LOS Padania” è stato costretto ad emigrare fra i radicali. Forza Italia ha messo in riga il ministro Stefania Prestigiacomo che aveva osato accennare alla questione delle coppie gay e lesbiche. L’esperienza di “Forza Gay”, lanciata nel ’94 a supporto della discesa in campo di Berlusconi, non ha attecchito, segno che la terra è ancora troppo arida.

Pezzana è lontano dal movimento omosessuale da un ventennio e questa lontananza gli produce non pochi abbagli. Scrive che Arcigay scende in piazza per attaccare paesi democratici come Israele o gli Stati Uniti e difendere le dittature a Cuba o in Iraq. E’ vero solo che Arcigay ha condannato il bombardamento americano sull’Iraq. La cultura per cui è bene bombardare tutti i paesi in cui non si rispettano i diritti civili non ci appartiene. Per il resto, un cumulo di falsità. Abbiamo manifestato contro le persecuzioni islamiche, non abbiamo mai taciuto su Cuba né stiamo “con Arafat contro Israele”. Siamo perché in Medio Oriente si sviluppino i diritti civili in un contesto di pace. Per questo abbiamo manifestato lo scorso anno nel Gay Pride di Gerusalemme a fianco a gay ebrei ed arabi, senza kefià al collo ma con le nostre bandiere arcobaleno e la nostra voglia di libertà e di pace.

Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay


Ecco ‘articolo di Angelo Pezzana su "Libero" del 16.05.03

Omosessuali ostaggio della sinistra grazie al’Arcigay
Con il movimento di Grillini la spontaneità è finita nel’apparato burocratico del PCI

Negli anni 60-70 sono avvenute molte rivoluzioni. Alcune, violente, hanno lasciato dietro di sè sangue e morti. Altre, pacifiche (attenzione, non pacifiste) hanno cambiato il costume del­la nostra società. Insieme al divorzio, al femmini­smo, un nuovo modo di intendere i rapporti ses­suali ha modificato ‘in­tera nostra vita quotidia­na. E al’interno di que­sto grande cambiamento una parola ha mutato completamente di signi­ficato. Omosessualità, che prima di allora era una parola da pronun­ciarsi sottovoce è uscita dal vocabolario per dive­nire a pieno titolo una parola come le altre. Perduta la connotazione di atto trasgressivo che la contraddistingueva, è entrata poco a poco nel linguaggio comune, in­dicando non più un atto cui si attribuiva una con­dizione di condanna o disprezzo ma una nor­male preferenza sessuale. Libri, film, giornali, tra­smissioni radio e tv han­no fatto il resto. Ciò che fino ad allora poteva far trasalire di stupore o far arrossire gote pudiche, entrava di diritto nel no­stro mondo quotidiano, alla pari, non più relegato in serie B.

A questo grande muta­mento ha fortemente contribuito la nascita contribuito la nascita del movimento di liberazione omosessuale ne’ 70. Non è il caso di rifarne la storia in queste po­che righe, ma è indubbio che lo spirito libertario che segnò il FUORI! -il primo movimento legato al partito radica­le- aprì la strada per arri­vare al riconoscimento del’identità omoses­suale come persona. Non più un atto riprovevole e condannabile, ma una componente di ciascuno di noi come qualunque altra. Dopo una decina di anni o giù di lì, il FUORI! si sciolse, lasciando il campo libero a quei par­titi che – a differenza dei radicali, impegnati nelle battaglie di liberazione ma senza sfruttarle a fini elettorali – trasformaro­no quanto restava del movimento in una delle tante componenti del partito. Sto parlando ovviamente del’allora Pci che, accanto al’Arci Donna, al’Arci Caccia e tutti i vari Arci che aveva creato, pensò bene di ag­giungerne una nuova, ‘ Arci Gay appunto. Con ‘inizio del fun­zionariato gay, perchè di questo alla fine si tratta­va, veniva a morire la spinta individuale e li­bertaria del’impegno omosessuale. Nascevano i funzionari di partito, gente per bene, per cari­tà, ma la cui attività di "liberazione" consisteva unicamente nel’aprire imprese commerciali tesserandone i clienti.

Di più, ‘organizzazio­ne dei Gay Pride, total­mente egemonizzata dalla sinistra (al Pci ora Ds si erano aggiunti Ver­di, Prc e altri gruppi della stessa area) ha contribui­to a dare del’omoses­sualità u’immagine del tutto falsa, milioni di persone che sembra non

aspettino altro che infi­larsi una parrucca e mo­strare le chiappe ballan­do e urlando travestiti su carri del tipo viareggino. Con ‘intelligenza e la sensibilità di sempre, ne ha scritto giorni fa Paolo Mieli sul `Corriere della Sera", evidenziando ‘e­norme contraddizion’ che sottolinea quella che lui chiama la «benevo­lenza dei gay nei con­fronti dei persecutori». Perché è proprio questo che da anni avviene. Gli omosessuali italiani scendono in strada per protestare contro quegli Stati in cui dignità e ri­spetto sono garantiti non solo dalle leggi ma sono ormai costume abituale e tacciono sui dittatori che li perseguitano e uc­cidono. Silenzio su Cuba, dove gli omosessuali vengono sbattuti in car­cere secondo le regole dettate non solo da Ca­stro ma inaugurate da Che Guevara, la cui faccia continua a essere stam­pata su magliette che an­che i gay indossano. Nel­’Iraq, in Iran, e nella maggior parte dei Paesi arabi la condizione degli omosessuali è paurosa, ma ai nostri movimentisti gay questo non inte­ressa, non è rilevante. Quando va bene esce un comunicato ma tutto fi­nisce lì. Bisogna vederli invece come si scaldano quando ‘è da urlare contro ‘America. 0 Israele, dove ‘omosessualità è non solo una norma­lissima con­dizione di vi­ta, ricono­sciuta e ri­spettata, ma è il luogo più vicino che gli omosessuali palestinesi cercano di­speratamente di raggiunge­re per sfuggire alle regole di un mondo chiuso e arre­trato come quello isla­mico. Ma i nostri gay movimentisti stanno con Yasser Arafat contro Israele, e hanno dato di fatto una mano a Saddam Hussein contro gli angloamericani che anda­vano a liberare gli ira­cheni. Anche gli omo­sessuali iracheni. Daniele Scalise, attento critico della realtà gay, si chiedeva sul Foglio per­chè gli omosessuali di si­nistra "impegnati" sen­tono il dovere di manife­stare contro gli Stati Uni­ti, quando è proprio da quel grande e libero Pae­se che sono partiti i se­gnali di liberazione che sono poi arrivati fino in Italia. La risposta non è difficile. Sfilando sotto le bandiere che difendono i dittatori contro le de­mocrazie forse gli omo­sessuali hanno sempli­cemente sostituito u’oppressione con u’altra. Prima era la so­cietà a vergognarsi di lo­ro. Dalla negazione della identità omosessuale di prima al nascondersi di oggi sotto copertura ideologica il passo è bre­ve. Consola pensare che sono qualche migliaio e non di più. Quando gli omosessuali italiani, che sono milioni, si rende­ranno conto che chi li rappresenta politica­mente non merita nem­meno quattro passi a un Gay Pride o la partecipa­zione a un corteo pacifi­sta sarà sempre troppo tardi. ‘uguaglianza, il rispetto, il pieno ricono­scimento dei diritti pas­sano per altre strade.


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