Io, padre di un gay

  

BASTA amarli davvero i figli, per capirli. Lo ha scritto a Repubblica un padre cui, qualche mese fa, il figlio quattordicenne che vive in Inghilterra ha detto «papà, io sono "così"»: cioè sono omosessuale. Basta amare profondamente il padre per capire di potersi aprire con lui serenamente e togliersi da quell´angoscia del segreto e dell´incertezza che strazia soprattutto i giovanissimi, quando devono prima di tutto affrontare e accettare se stessi ad un´età di per sé difficile e confusa, e poi scegliere.
Scegliere SE nascondersi o rivelarsi, prima di tutto con le persone più amate, che si teme di deludere e ferire.

Scrive il padre: «Mio figlio è un bel ragazzo, normalissimo, non effeminato, gioca a rugby e a cricket, nuota, legge, torna da scuola con la camicia fuori dai pantaloni e la cravatta fuori posto come la maggior parte dei suoi coetanei inglesi, riceve note di richiamo dagli insegnanti perché si picchia coi compagni, s´interessa della storia, è ottimista». È un figlio di cui era orgoglioso prima del suo coming out, di cui continua ad essere orgoglioso anche dopo: «Posso dire che non è stato uno choc, e che sia io che sua madre lo sapevamo? Basta amarli i figli, per capire tutto molto presto». Amarli e osservarli, guardarli mentre crescono, mentre cambiano, mentre vivono, mentre si allontanano dall´infanzia, si staccano dai genitori, diventano individui, costruiscono la loro identità. Preoccuparsi per loro, volere il meglio per loro, continuare a proteggerli, imparare a rispettarli nelle loro scelte, difenderli dall´infelicità. Capita ancora abbastanza spesso che le madri riescano ad accettare la scelta sessuale del figlio o della figlia, mentre per i padri è molto più difficile: per orgoglio, per rifiuto della diversità, per virilismo, per conformismo, perché se ne vergognano.

Il padre che scrive da Roma è naturalmente preoccupato per il figlio: non per «il fatto che probabilmente non mi darà né nipoti né immortalità, che tra l´altro non è più una certezza per nessuno». Ha paura che soffra, che possa essere umiliato, che la sua vita sia più difficile, con più ostacoli. Da quando sa, è molto più attento alla cronaca, gli si stringe il cuore quando legge di coppie gay insultate e picchiate da energumeni razzisti: lui, due volte diverso per loro, come omosessuale ma anche come ebreo. «A volte, soprattutto se sono lontano, se squilla il telefono, penso che gli sia successo qualcosa, che sia stato aggredito, pestato. È un pensiero che mi sforzo di rimuovere, non potrei vivere».

E chissà se il padre ha già visto il film Yossi & Jagger di Eytan Fox, grande successo in Israele e già sugli schermi italiani, che racconta la storia vera di due uomini che si amano, sono ebrei e in più come ufficiali dell´esercito israeliano in una base al confine col Libano, fanno parte della casta più omofoba che esista, quella militare. Sono molti i genitori che vivono con ansia e amore le stesse preoccupazioni del padre romano. Tanto che l´Associazione Genitori di Omosessuali, nata dieci anni fa, ha appena inaugurato a Milano un Centro per aiutare i minorenni omosessuali e le loro famiglie, insegnanti, educatori, finanziato addirittura dalla pia Regione Lombardia. Il Centro pullula di esperti, psicoterapeuti, consulenti familiari e legali, educatori, animatori e naturalmente genitori con i loro figli adolescenti.

È interessante sapere che secondo l´ultima ricerca europea a cura dell´Istituto Cattaneo dell´Università di Bologna, ogni cento persone dieci sono omosessuali. Ogni cento omosessuali, venti accettano la loro condizione, 80 non l´accettano e la sopportano, ventidue pensano al suicidio, cinque compiono tentativi di suicidio. Quel ragazzino che vive in Inghilterra, questo padre che va e viene da Roma, hanno superato la barriera che poteva dividerli e procurare a entrambi una infelicità cupa. Il sentimento d´amore ha superato tutto, il senso del legame familiare li ha uniti ancora di più: «Al servizio funebre della nonna (il figlio) portava lo yammulke nero, lo zucchetto degli ebrei, con grande dignità. L´outing (ma bisognerebbe dire coming out, ndr), lo ha fatto qualche tempo dopo: è scoppiato a piangere per il rimorso di non averlo detto alla nonna. Mentre lo stringevo gli ho detto: la nonna lo sapeva». Lo sapevano, malgrado il ragazzino fosse proprio come tutti gli altri: lo sapevano perché lo amavano e lo amano.

E il padre si rassicura pensando che col suo aspetto "non effeminato", il suo bambino avrà più possibilità di passare inosservato, di non attirare il crudele e stupido razzismo dei violenti. È commovente questo suo sollievo, in tempi in cui il massimo della virilità, della presenza maschia, invidiata e imitata dagli uomini (Dolce & Gabbana gli hanno dedicato la loro ultima collezione uomo, con grande successo), adorata dalle donne, è un giovanotto-bambolina come David Beckham, calciatore miliardario che assomiglia a Barbie, porta orecchini di diamanti come sua moglie Victoria, cambia pettinatura ogni settimana e ha il sorriso innocente di una bambina di dieci anni.


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