Il pane, il vino, i diritti dei gay

  

Il documento vaticano sui diritti dei gay ed ora la elezione a vescovo di un gay nella chiesa anglicana episcopale non sono questioni tutte interne alle chiese. I temi etici entrano con forza sempre più dirompente nella vita politica e la sconvolgono. Lo si è visto con la guerra. Mai erano stati così alti e diffusi sia il rifiuto della guerra per motivi etici sia la rivendicazione del diritto alla pace come componente essenziale della propria identità morale. Le "anime belle" del pacifismo hanno messo in crisi la politica. La negazione dei diritti ai gay non è la guerra. Come non lo è la negazione dei diritti ai neri, alle donne, ai "diversamente abili" (disabili), ai" diversi" in genere. Eppure il diritto alla pace ha in sé in qualche modo anche tutti questi diritti particolari. La bandiera arcobaleno ha fra i suoi colori anche il colore dei gay. Dunque la lotta per i diritti dei gay ha una valenza politica e non solo religiosa, direi politica e religiosa insieme. E non solo per la pressione che esercita sulle chiese e sulle rappresentanze politiche ma soprattutto perché riporta in primo piano il tema della sovranità universale di base (che una volta si chiamava sovranità popolare). I diritti dei gay sono una di quelle grandi trasformazioni culturali che mettono in crisi gli assetti istituzionali, religiosi e laici, e la loro pretesa di onnipotenza.

Sia le chiese in ogni loro dimensione sia la politica in tutte le sue articolazioni hanno assolutizzato i loro statuti fino ad annullare tale sovranità. Per quanto riguarda le chiese la riduzione della base a gregge è più evidente e di lunga durata. Nella politica la esclusione della sovranità popolare è più sottile e più recente e ‘è voluto il grande movimento no-global e poi quello per la difesa della democrazia per diffonderne la consapevolezza a livello planetario. La "gente", "popolo" (vogliamo usare ancora questa parola fuori moda ma da nessun altra sostituita?), non conta più nulla. Ed è proprio dai temi etici, fra cui anche quello dei gay, che tende a rientrare in gioco. E vi sta rientrando alla grande.

Del resto è cosa che in altri contesti si è ripetuta molte volte nella storia. Il cristianesimo, ad esempio, non è nato come riv9luzione politica, ma etica; la rivoluzione del’amore universale. Mi dilungo un p’ su questo tema perché è poco conosciuto eppure è emblematico e molto istruttivo per noi oggi.

Le prime comunità cristiane (quando ancora non si chiamavano così) vivevano secondo modelli etici opposti a quelli dominanti.

Sembra che nella Galilea del tempo di Gesù ci fosse uno straordinario intreccio fra la controcultura ellenica e la controcultura ebraica. In quella periferia contadina sfruttata e discriminata, il profetismo e il messianismo biblici, a cui si alimentava la controcultura delle classi popolari ebraiche, si incontravano con le idee e la pratica cinico/stoica, che erano la controcultura nonviolenta e la modalità di resistenza delle classi popolari elleniche. Si contaminavano felicemente fra loro il tema profetico del deserto col tema cinico del distacco; il tema profetico del’amore universale col tema stoico della fraternità universalistica e della civitas mundi; il tema profetico della giustizia per il povero, ‘orfano, la vedova, lo straniero col tema cinico della solidarietà con i reietti e i "perdenti". Lo stesso avveniva infine per il tema del’accettazione della finitezza della vita che con modalità diverse ma convergenti era comune sia alla cultura biblica sia alla cultura cinica/stoica.

In ambedue le culture ques’ultimo tema aveva due aspetti: uno esistenziale e uno sociale-politico. La finitezza della vita (la morte) non è una punizione ma una risorsa e va accettata con gioia perché è proprio tale finitezza che rende la vita piena e degna di essere vissuta. E questo senso della finitezza porta anche a spendere la vita con gioia e coraggio per gli ideali e i valori di giustizia, di solidarietà, di amore universale. ‘esperienza iniziale del movimento in cui Gesù è inserito è molto probabilmente quella di umile gente che a rischio e a prezzo della vita, rischiando la crocifissione, emerge con forza profetica, biblicamente ispirata, dalla insignificanza di periferie contadine discriminate alla consapevolezza di una dignità degna di riscatto. E la gente di una Nazareth e di altri villaggi contadini della Galilea che sognano e si impegnano a costruire un "mondo nuovo possibile" che chiamano "Regno di Dio". I primi cristiani avevano come ideale il mettere tutto in comune e non avevano nè sacerdoti nè padri nè maestri nè teologi. E lo stesso Gesù era uno di loro e non ‘essere divino che è diventato in seguito.

La stessa eucarestia, il segno generativo della comunità cristiana, è una forte testimonianza di controcultura: "questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, fate questo in memoria di me", come dire spendetevi anche voi corpo e sangue per la condivisione fraterna in nome del’essere umano in quanto tale, cioè spogliato sulla croce da tutte le connotazioni particolari, si direbbe da tutte le maschere. E per questa valenza etica nuova che ‘esperienza evangelica è diventata contagiosa ed è dilagata nel mondo schiavista, razzista, imperiale, al’apice della sua potenza e però anche al’inizio del suo declino.

Ma via via che il cristianesimo è penetrato nelle stanze del potere, la sovranità universale di base è stata di nuovo oscurata e violentata. Gesù è stato mitizzato e reso Dio e la religione fondata sulle relazioni di amore e di condivisione fra uguali si è trasformato in una nuova e potente sacralizzazione delle relazioni di dominio. E ‘eucarestia è diventata il sacrificio perenne, strumento di sottomissione e di castrazione del potere popolare sul’etica. La sacralizzazione del dominio che nel Medioevo era declinata in termini religiosi, nel’età moderna ha assunto le categorie della razionalità laica. Lo Stato, la Legge, la Procedura democratica, il Danaro, la Scienza, la Tecnologia, la Comunicazione, tutti elementi preziosi del’emancipazione umana, sono stati almeno in parte assolutizzati e sacralizzati, contraddicendo se stessi e il proprio statuto originario, come del resto è avvenuto per il cristianesimo. Dal tempo della rivoluzione francese – sostiene Gustavo Zagrebelsky, vice presidente della Corte Costituzionale, in una conferenza in sede istituzionale il 5 giugno scorso – "la legge è lo strumento per tutte le avventure del potere, quale che esso sia, democratico o antidemocratico, liberale o totalitario. La "forza di legge" è stata al servizio, di volta in volta, della ragione rivoluzionaria dei giacobini; del compromesso moderato tra il monarca e la borghesia liberale, contro il socialismo; del’autoritarismo liberale della fine del’Ottocento; delle riforme democratiche del’inizio del Novecento e delle dittature di destra e di sinistra che ne sono seguite. La legge era la legge, benefica o malefica, moderata o crudele che fosse e nessun diverso diritto le si poteva contrapporre. Lo stato che operava secondo leggi era, per ciò solo, legale e legittimo. Il fascismo e il nazismo si fregiarono perfino del titolo "scientifico" di stati di diritto, e lo poterono fare perché la forza di legge, di per sé, non distingue diritto da delitto. Avventurieri del potere e perfino movimenti criminali, organizzati cori tecniche efficaci per la conquista spregiudicata del potere, hanno preteso legittimità per le loro azioni alla stregua di leggi fatte da loro stessi per mezzo del controllo totale, da essi acquisito, delle condizioni della produzione legislativa: consenso sociale, opinione pubblica, fattori tecnici parlamentari e governativi. Con la conseguenza che i poteri c’essi venivano attribuendosi potevano certo dirsi legittimi, nel senso di legali, essendo al contempo scientificamente qualificabili come poteri auto proclamati e autoconferiti".

E siamo al’inquietante oggi! Tutto questo perché la legge, così come le procedure democratiche e il danaro, è stata sacralizzata e separata dalla vita, dalla socialità, dalla rete delle relazioni.

E sulle relazioni vitali che bisogna tornare a scommettere, recuperando sia la simbologia religiosa che gli ordinamenti civili e in particolare la democrazia. Non significa proprio questo la "democrazia partecipativa" che anima i nuovi movimenti? Al tempo stesso però e in egual modo è uno scommettere sulle relazioni vitali anche il tentativo che si compie in molti settori delle chiese in tutto il mondo e non solo nelle comunità di base di recuperare ‘eucarestia e tutta la simbologia religiosa alla dimensione laica-popolare; il cercare di sottrarla al dominio della casta; lo sforzarsi di ricondurre tutto ciò alla memoria essenziale del Vangelo, dove ‘eucarestia non ‘" il sacrificio" ma è condivisione: condivisione del corpo e del sangue nel simbolo di elementi essenziali per la vita, il pane e il vino.

Si tratta di una tensione certo mai appagata, mai pura, sempre contraddittoria, perennemente in bilico fra riuscire e fallire. Oggi abbiamo il grosso problema di fermare questa degenerazione della democrazia e di opporsi alla follia dei protagonisti di tale degenerazione in Italia e nel mondo. Una strada non può essere proprio la riconquista del potere sul’etica e ‘affermazione del protagonismo di base nelle grandi trasformazioni culturali? La lotta per i diritti dei gay in quanto parte della lotta per i diritti globali può essere vista e vissuta come una grande opportunità.


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