Pasquale, il gay sul pulpito alla Messa di Natale

  

Da "’Unità" del 27.12.03
di Delia Vaccarello

Pasquale, il gay sul pulpito alla Messa di Natale
È successo la notte del 24 a Rignano Garganico (Foggia). «L’omosessualità è un dono di Dio». In chiesa prima brusio, poi la commozione . «Io e il mio compagno siamo gay e il nostro amore è un dono di Dio, il sesso è un dono di Dio»

Pasquale Quaranta, un giovane omosessuale di Battipaglia, sta parlando dal pulpito. La messa di Natale è già iniziata, fuori nevica, la Chiesa di Santa Maria Assunta di Rignano Garganico nel foggiano è gremita. Seduti sulle panche ad ascoltare ci sono almeno trecento fedeli. Gli zampognari sono pronti. Il parroco Don Fabrizio Longhi, un uomo sui quarant’anni con un bel sorriso aperto e gli occhi intensi, ha iniziato la celebrazione secondo il rito, e a un certo punto presenta Pasquale e la signora Adelaide, la mamma. «Questa sera abbiamo due ospiti che ci portano la loro testimonianza».

Pasquale, un ragazzone pieno di vita con le guance arrossate dal freddo e dall’emozione, si fa strada deciso. «Sono venuto da Salerno per parlarvi in questa Chiesa di omosessualità. Sono gay credente», un brusìo attraversa i banchi, qualcuno non capisce e chiede chi sia quel giovane, altri restano sorpresi e forse scossi. «Ho sacrificato il Natale in famiglia, mio padre e mia sorella sono rimasti a Battipaglia a lavorare nel negozio di nostra proprietà, io e mia madre siamo qui per unirci a voi nell’amore di Dio. Siamo venuti a dirvi che l’omosessualità è un dono di Dio non è peccato.

Ascoltateci, chi chiede ‘astinenza e la "vende" come esigenza di castità non ha capito il dono dell’amore». Sembra una vera notte di Natale, fuori vento e neve non danno tregua. In Chiesa, al centro della navata, ci sono gli esclusi, quelli che hanno bussato a tante porte e si sono sentiti dire che per loro non c’era posto. Nel 2003 gli omosessuali credenti e non credenti si sono sentiti dire tante volte che nella Chiesa e nella società per loro non c’è posto: le gerarchie lo hanno detto quando hanno ridotto al laicato Don Franco Barbero che a Pinerolo celebrava i patti d’amore tra gay e lesbiche; lo ha detto il cardinale Ratzinger nel documento che definisce dannose le unioni omosex; è stato detto dalle pagine del Lexicon, il dizionario che veicola la voce del Vaticano su molte questioni etiche ed ostracizza gli omosessuali. L’Agedo, l’associazione dei genitori e degli amici degli omosessuali, di cui mamma Adelaide fa parte, ha denunciato gli estensori del Lexicon. La gente ascolta Pasquale, gli occhi si fanno intensi, in alcuni si fa strada la commozione. Lui inizia a percepire con nettezza il motivo per cui è lì. Lo stesso motivo che gli riempirà il cuore quando prenderà l’eucarestia e dirà a se stesso: «Adesso ho capito, è questa la Chiesa che ha sognato Cristo». Vede i volti intenti a reggere l’ondata di intensità che giunge dal pulpito.

Pasquale sente che gli amici gay credenti più grandi di lui -, quelli dell’associazione “Il Guado”, gli altri di “Nuova Proposta”, i fedeli riuniti intorno al centro teologico del professor Mapelli che da anni approfondisce a Milano il rapporto tra gay e Chiesa, Aurelio Mancuso credente alla guida dell’Arcigay, e tanti altri – tutti coloro insomma che hanno fede, hanno preparato quel momento. Nella notte di Natale del 2003, sente di essere solo il mediatore di una grande comunità che non ha smesso mai di sperare. E si augura «che questo Natale, nella nostra Chiesa, sia gioia per tutti. Nessuno escluso». Minuta, capelli a caschetto castani, chiusa nel soprabito con il cappuccio di pelliccia, mamma Adelaide si rivolge da genitrice ai genitori: «Quando mio figlio mi ha detto che era gay non è stato facile. Abbiamo pensato di avere sbagliato, ci siamo riproposti di cercare uno psicologo. Se ne può parlare quando volete, ma quando succede in una famiglia è tutta un’altra cosa. Poi ci siamo informati. Fedeli cari, siamo tutti uguali, l’omosessualità non è una perversione, non è una malattia. Pasqualino per noi è un dono di Dio, e non sono forse doni di Dio gli amici suoi che vengono a casa? Sapete qual è la loro preoccupazione principale? I genitori! Alcuni lo sanno, alcuni li rifiutano». Le mamme la guardano. «Io per Pasqualino farei di tutto. Eppure ci sono ragazzi gay che si tolgono la vita. Pasqualino non tiene problemi è felice, noi siamo qui per tutti quelli che stanno zitti. La Chiesa non può dire di no a tutti: ai gay, ai divorziati, a quelli che hanno rapporti e non vogliono figli, e così via. Sapete come va a finire? Che a furia di dire "no" la comunione se la faranno tra loro». Ma questa sera la Comunione è tra tutti. Finita l’omelia degli “ospiti”, i fedeli si mettono in fila per prendere l’eucarestia.

Gli etero, i gay, i genitori, la gente che si nasconde e quella che normalmente offende, tutti chinano il capo e con le mani congiunte si uniscono al corpo di Cristo. Gli zampognari suonano. Poi le mamme stringono la mano di Adelaide. Una dice: «Brava», un’altra: «Anche io penso che un giorno i miei figli potrebbero dirmi: “sono gay”». Un’altra ancora: «Ci vuole coraggio».
«Don Fabrizio, ma adesso a voi che vi succede?», chiede Adelaide. «Abbiamo fatto solo una bella funzione». Pasquale pensa: «Ne sono certo, è questa la Chiesa di Cristo».


Da "Il Giorno" del 27.12.03
di Gabriele Canè

L’amore gay e un’omelia di troppo
LA CERIMONIA DI NATALE AFFIDATA A UN OMOSESSUALE

Fuad ed Ezra si amano. Il che non sarebbe niente se non fossero due uomini, e per di più uno palestinese e l’altro israeliano. Ma anche questo rientrerebbe nella norma (si fa pe dire) se il palestinese Fuad non stesse per essere cacciato da Israele perchè privo di permesso di soggiorno, e a casa non lo aspettassero per fargli la pelle. Un po’ perché amante di un nemico, Ezra, e un po’ (soprattutto) perché gay. A conferma che persino a Natale nella terra che ha visto nascere Gesù, continuano a crescere fiumi di odio etnico e religioso, e adesso pure sessuale. Una miscela in cui i discepoli di Allah, con tutto il rispetto, sembrano eccellere. Come quando vogliono lapidare l’adultera in Nigeria, o strappare gli occhi al gay in Palestina. Perciò speriamo che Gerusalemme non espella Fuad, e gli salvi la vita. Nel mondo tanta gente si sta mobilitando, in tantissimi hanno scritto a Sharon perchè conceda al giovane il permesso di soggiorno, e appena troviamo l’indirizo scriviamo anche noi. Quel che è giusto, è giusto. Perché, sul problema degli omosessuali è bene intendersi una volta per tutte. Laicamente. Nessuno, infatti, crediamo sia autorizzato a giudicare la sessualità di un’altra persona. O addirittura a punirla. Ci mancherebbe. E’ altrettanto certo, però, che il sistema giuridico e religioso che ruota attorno alla coppia naturale composta da un uomo e da una donna da cui nascono pure dei figli (!), non possa essere applicato ad una situazione diversa. Che merita diritti, doveri e garanzie specifiche. In Italia e dovunque. Peccato che da noi questo succeda, almeno in larga misura, mentre in gran parte del mondo la diversità finisca per portare sul rogo. A conferma, sia detto per inciso, di una superiore tolleranza della cultura giudaico-cristiana. Attenzione, però. Tollerare, capire, non significa ostentare. Dunque, se è giusto salvare Fuad, è anche doveroso criticare il parroco di Rignano Garganico che ha affidato l’omelia della notte di Natale a Pasquale, un giovane gay. Dice che la gente lo ha ascoltato con grande comprensione. Certo. Mica siamo alla Mecca. Ma la testimonianza di cristianità di un gay doveva essere esibita proprio nel giorno in cui si ricorda l’origine del cristianesimo, una religione ovviamente, legittimamente e (visto quello che succede altrove) pacatamente contraria all’omosessualità? Per il sottoscritto, no. Perché è giusto rispettare la fede di Giovanni. Ma anche il giudizio negativo che quella fede dà di Giovanni. Senza cavare gli occhi a nessuno.


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