Omosessualità. La chiesa alla prova

  

Palermo. L´Epifania è simbolo dell´apertura alle genti, alle diversità, simboleggiata dai Magi. Una diversità con la quale si è chiamati ancora a fare i conti è la realtà delle persone omosessuali, anche nel profondo Sud, in Sicilia, a Palermo. La dimensione del sommerso è grande ma non se ne ha coscienza o non se ne parla. Si tratta di un terreno delicato e complesso, anche per la Chiesa, e spesso non si è abbastanza attrezzati per rispondere a questa sfida. Vi sono timori e resistenze di diverse forme. Tuttavia si possono compiere passi avanti in direzione di una maggiore sensibilità e attenzione.

È difficile per dei genitori confidare a qualcuno: «Nostra figlia è lesbica». C´è il timore per il giudizio dei parenti. Può accadere di chiedersi: «Perché doveva accadere proprio alla nostra famiglia?». «È soltanto un periodo, poi passerà». «Lo porteremo dal migliore psichiatra». Scoperta la nuova realtà spesso si ha come terrore ad aprirsi al di fuori. Si prova imbarazzo a parlarne, per esempio, anche al parroco. Cosa dirà? Si ha timore che l´unica risposta che si potrà avere possa essere soltanto che la giovane o il giovane in questione sarà aiutato a cambiare il proprio orientamento omosessuale in eterosessuale. Può anche accadere che una persona omosessuale, impegnata e stimata nel lavoro, sia ben inserita in una parrocchia siciliana e sia catechista, membro del consiglio pastorale, ministro straordinario dell´eucaristia. Ma se decide di condividere se stesso, senza veli, se fa il passo di aprirsi davanti alla comunità che pure ama rivelando il proprio orientamento, forse si vedrà costretto a rinunciare ai propri incarichi. Si potrà forse sentire dire che non era necessario e bene parlare. Ma le parole sono importanti, sono responsabilità. È affermare la vita.

Le parole, fuori dalle città invisibili, sono emozioni, sono un viaggio fatto insieme, dentro il comune viaggio della vita. E le parole si rivolgono a un tu: a un tu che si sieda accanto dove si è seduti e così lasciare che lì Dio avvenga.

Nella mischia della vita ci si vorrebbe rialzare, con fiducia, dalla confusione e talora dalla voglia di morte. Trovando la porta chiusa, molti rinunciano alla compagnia della fede, per non avere un problema in più da affrontare. E così, come i Magi, essi fanno ritorno a casa «per un´altra strada» (Matteo 2,12), cercando un nuovo appuntamento con Dio.

Le percentuali sono significative, ma la censura nella nostra società è in agguato dietro l´angolo. Certo, il recinto della tolleranza non si nega a nessuno, ma «non davanti a noi». E così prevale l´occultamento, lo spaesamento, l´estraniazione, il contenimento, la neutralizzazione.

Ripetere che l´attività omosessuale è intrinsecamente immorale fino a che punto serve? Sarebbe tempo di incominciare a dar spazio a una nuova operosa sensibilità. «Costruire ponti» con fiducia anche in questa direzione. Proporre momenti di rinnovati percorsi di spiritualità. Bisognerebbe considerare di più che l´invisibilità e la segretezza forzata spogliano tanti uomini e donne della dignità umana voluta da Dio. Guardare con occhi diversi alla sofferenza di chi è obbligato dalla società a mantenere una finzione di eterosessualità. Nessuno dovrebbe patire discriminazione a causa del proprio orientamento sessuale. E il sistema educativo nel suo insieme potrebbe fare molto per far superare i luoghi comuni.

Qui non si parla di ideologie astratte, ma del dolore e dell´isolamento di molti nostri ragazzi e ragazze, di amici e amiche. Dire una parola credibile contro la negazione, compiere anche piccoli gesti simbolici contro la discriminazione dell´orientamento sessuale è ciò che in tanti e in tante attendono. La lettura del recente libro "Anime gay" (Editori Riuniti), i cui autori Gramick e Nugent da tempo svolgono un ministero a favore delle persone omosessuali, potrebbe risultare utile.

In ogni caso, finché si conserva un briciolo di speranza, finché la disperazione non prende il sopravvento, finché non ci si chiude dentro la morsa del proprio dolore, si può avere ancora il cuore grande per attendere a propria volta gli altri e sedersi accanto a loro. Non censurare se stessi, non fare morire se stessi dentro di sé. Non permettere che avvenga lo spossessamento di sé, la cancellazione della propria soggettività. Che non vi sia la soppressione del sogno di potersi sentire ancora attesi. Si può, purtroppo, ancora essere occultati e negati, ma almeno senza essere consenzienti. Se si addomestica il cuore, la coscienza di sé, come si potrà ancora camminare e vivere e sorridere e lottare e amare?


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