La Cuba di Reynaldo Gonzales non è più quella di Reynaldo Arenas

  

Caro amico cubano,
voglio rispondere subito alla tua lettera perché mi dai l’occasione di approfondire alcuni punti della questione.

Abbiamo avuto modo di renderci conto direttamente di quanto sia presente l’omofobia nella società cubana, di quanto sia sofferta la mancanza di associazioni libere, di come permangano atteggiamenti machisti nella polizia. Di questo ho dato conto nelle righe di sintesi su questo nostro viaggio a Cuba, che non vuole certo descrivere una situazione idilliaca ma fornire un contributo di comprensione a un’opinione pubblica poco informata ( e mi riferisco alla comunità glbt internazionale, al cui interno circola su Cuba ogni notizia e il suo contrario).

Voglio fare un’altra premessa, tanto per essere chiari. Non pretendo certo di essere diventato un fine conoscitore della realtà cubana in otto giorni, ma posso affermare con certezza di avere avuto una gamma di contatti, di conoscenze, di incontri – alcuni formali e ufficiali , altri in momenti riservati o nelle notti dell’Avana – tali da poter affermare quel che dico senza timore di essere stato vittima di una specie di Truman Show in salsa cubana, come tu pensi.

Il libro di Reynaldo Arenas descrive la realtà drammaticamente reale della persecuzione antiomosessuale a Cuba. Dal 1965 al 1966 gli omosessuali, insieme agli hippy e altri “asociali” vennero spediti nelle cosiddette “UMAP”, le unità militari di supporto alla produzione, e costretti ai lavori forzati perché considerati “controrivoluzionari”, col sostanziale consenso della società cubana : la retorica socialista trovava terreno facile nel diffuso machismo sociale.

Nel 1971 il primo Congresso sull’educazione e la cultura sancì che "le manifestazioni di omosessualità non possono essere tollerate", con la conseguenza dell’espulsione da scuole e università di studenti e docenti gay. Nel 1978 ai medici omosessuali venne impedito l’esercizio della professione e lo Statuto dei lavoratori stabilì il licenziamento dei lavoratori gay. Il codice penale stabiliva pene severe per chi si producesse in avances omosessuali.

Oggi non è più così. La Cuba di Reynaldo Gonzales non è la Cuba di Reynaldo Arenas. Non esiste nel codice penale una norma che impedisca alcun tipo di relazione o comportamento sessuale fra maggiorenni consenzienti, se non nel caso della prostituzione, che a Cuba è illegale in ogni sua forma. Esiste, certo, una fortissima omofobia, ma, a differenza di quanto è accaduto per oltre vent’anni, oggi non può considerarsi “istituzionalizzata”. E non dico questo per difesa d’ufficio, ma perché chi, come noi, ha a cuore il cambiamento sa che chi vuol cambiare qualcosa deve considerarla nei suoi giusti contorni.

Una cosa che mi ha sorpreso ( molte cose mi hanno sorpreso , proprio perché non partivo da nessun pregiudizio positivo) è che quelle vicende non sono negate o minimizzate, ma , anche nelle sedi più ufficiali in cui siamo stati ricevuti, sono state ricordate e nettamente condannate come gravi errori del passato.

Lo ha fatto il ministro Prieto, e questo è già un fatto politico. Lo ha fatto Anton Arrufat, uno degli scrittori cubani più prestigiosi, premio nazionale di letteratura nel 2002, gay dichiarato, che nell’incontro all’UNEAC, l’associazione degli scrittori e artisti cubani, ha ricordato passaggio per passaggio e senza sconti quei momenti , di fronte ad una platea qualificata.

Io capisco bene il tuo timore a firmarti, perché stai parlando male del governo cubano, e questo a Cuba ti creerebbe dei problemi. E’ un fatto, molto brutto e preoccupante, che riguarda la generale impossibilità di un dibattito politico plurale a Cuba.

Ma di persone che a Cuba si dicono e si firmano gay io ne ho conosciute tante, e non mi è parso che fosse questo, il “dirsi” gay un problema con le autorità. Lo è nella società, certo, ma lo è anche qui da noi.

Posso citarti per nome e cognome tanti intellettuali apertamente omosessuali, oltre a Gonzales, Simon, Barnet, Perez, che ho già citato nel mio intervento precedente. Posso citarti Rogelio Coronel, preside di Letteratura all’Università dell’Avana, Helmo Hernandez, direttore della Fondazione Ludwig, Mita Yanez, Wilfredo Munoz, Pedro Perez Rivero, Renè Valdes Torres, Norje Espinosa, Humberto Guerra, Roberto Surbano, Ramon Silverio e tanti altri: li abbiamo conosciuti uno ad uno, abbiamo visto i loro libri, le loro poesie, i loro quadri e sappiamo che non hanno nessuna paura a dirsi gay.

Tu lo hai detto bene: l’omosessuale a Cuba è discriminato innanzitutto nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella società. Questo accade, purtroppo, a Cuba come in alcune zone o fasce sociali del sud Europa, come in Giamaica o a Santo Domingo. E’ anche per questo che anch’io, come te, me ne sono andato dalla Sicilia dov’ero nato e cresciuto. Non voglio certo minimizzare il dato negativo che porta in sé l’omofobia sociale, ma è un tema diverso rispetto a quello della persecuzione da parte dello Stato. Di questo abbiamo parlato fino a ieri in Europa e su questo io sento il bisogno di fare chiarezza. Oggi lo Stato ha deciso di compiere delle azioni positive sul tema dell’omosessualità. Lo sta facendo con dei tempi esasperatamente lenti, con un atteggiamento statalista poco efficace, con modalità e forme contraddittorie (Fragole e cioccolata, il film—cult del 94 che, a detta di tutti, ha cambiato la percezione dell’omosessualità a Cuba, è stato visto da milioni di cubani al cinema , ma non è mai passato in televisione) ma questa è la direzione presa.

Naturalmente siamo stati in diversi luoghi di incontro gay . Siamo stati — da soli e di notte – in tutti i luoghi che tu citi: alla Rampa, al Malecon, al cinema Yara, al Coppelia, al Campidoglio, alla “fiesta” semiclandestina. Abbiamo parlato liberamente con tanti giovani gay. Alcuni di loro sono visibili. Vanno di notte a fare prevenzione ( una sera li abbiamo accompagnati), si vivono come un gruppo gay, anche se sono consapevoli di non poter agire come vorrebbero, di non poter sfilare con le bandiere arcobaleno, essere fino in fondo comunità, movimento che lotta direttamente per i propri diritti perché è questo che ti dà valore e accresce la tua autostima, e non il servizio di prevenzione o l’articolo sull’omosessualità gentilmente offerti dallo Stato. Si chiamano Alain , Fidel, Francisco, Michel, Olivia che prima era Arturo ma ora per lo Stato cubano è, a tutti gli effetti, una donna.

Non lamentano una “persecuzione”, lamentano, oltre alla ristrettezza economica, un’altra cosa, che è quella su cui anche noi abbiamo voluto puntare l’attenzione: la mancanza della libertà di costituire un’associazione, un gruppo, un centro in cui confrontarsi ed agire in modo organizzato fuori dagli angusti spazi oggi prodotti dall’iniziativa statale ( come i gruppi gay anti aids) e in modo più produttivo delle lunghe serate sulla rampa a chiacchierare .

Ci hanno raccontato – e l’abbiamo visto da noi – che dopo una certa ora quei posti, pieni di centinaia di gay, lesbiche, trans che chiacchierano sereni, a un certo punto, dopo l’una, si svuotano, su pressione della polizia: il governo non ama gli assembramenti notturni. Anche questo è un problema, grande, di libertà. Un atteggiamento illiberale. Credo sbaglieremmo a inquadrarlo come atteggiamento “omofobico”. Omofobico può essere, ed è tante volte, l’atteggiamento della polizia. Tante volte, non sempre. La mia esperienza, per esempio, è di vedere ogni sera quattro cinque poliziotti davanti al cinema Yara, o alla folla gay al Malecon. Stanno lì, fermi , a controllare la situazione.. E ‘ un controllo politico, che a me ha ricordato le camionette della polizia in piazza durante i miei anni settanta, quando gli studenti assembrati insieme dovevano essere tenuti d’occhio perché non si sentissero troppo liberi di fare quel che gli pareva. La gente non è intimorita per questo. Infastidita, certo, ma non si sposta, non si sente minacciata, continua la sua serata finché non si deve sgomberare.

Caro amico, quello che ci preme è aiutarvi nel modo migliore. Abbiamo chiesto a tanti qual è il modo migliore e tutti, nessuno escluso, ci hanno detto di evitare di lanciare denunce feroci per poi sparire nel nulla ma di aiutarli a costruire le condizioni per una modificazione delle cose. Questo nostro contributo di conoscenza e discussione è un primo passo verso quell’obiettivo.


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