Armi di omofobia di massa

  

Le immagini dei prigionieri iracheni erano per me così intollerabili che mi ci sono voluti giorni per fare i conti col disagio che mi facevano provare. Andava ben oltre la consapevolezza che i soldati americani stavano brutalizzando i prigionieri. C’era qualcosa di piu’ personale nella vergogna che provavo come uomo omosessuale davanti a quelle foto.

Stop the war!

Stop the war!

Il mondo e’ stato colpito da queste immagini non solo per la loro brutalita’ ma anche a causa della loro natura sessuale. Certo l’omofobia nell’esercito americano non e’ nulla di nuovo, ma l’utilizzo del sesso omosessuale all’interno della tattica militare oggi raggiunge un livello nuovo, di perversa ingegnosità.

Di fronte all’uso della loro sessualita’ come estremo strumento di degrado, gli uomini gay ora hanno un altro motivo per combattere la rielezione di George Bush. Dovremmo essere in prima linea nelle proteste contro questi crimini di guerra poiche’ ne pagheremo il prezzo: la nostra sessualita’ ne esce ulteriormente avvilita e stigmatizzata.

È sbagliato applicare parole e definizioni occidentali come "gay" agli atti rappresentati nelle immagini che vengono dall’Iraq e provare a conciliare questo concetto con la vita degli uomini che vivono nelle culture islamiche. La parola "gay implica un’identita’ e una cultura che vanno ben oltre la semplice descrizione di atti sessuali, è difficile per un uomo gay dell’occidente valutare il livello di umiliazione subito dai prigionieri.

Le tattiche americane di umiliazione di questi uomini, forzati a mostrare i loro corpi nudi e violentati con atti – reali o simulati – di rapporti anali non si capiscono se non avendo chiaro il difficile rapporto che l’Islam ha con l’omosessualita’. Il sesso fra uomini e’ certo presente nella societa’ islamica, ma la vergogna va messa in relazione a quello che noi chiamiamo "identita’ gay" piuttosto che nei puri e semplici atti omosessuali.

Finche’ non s’arriva ad accettare il ruolo "passivo" femminile, non c’e’ vera vergogna e si resta all’interno di gerarchie di potere e comportamenti generalmente accettati. La vergogna arriva solo con un’aperta identita’ gay, che e’ infatti attivamente punita. E gli ultimi rapporti indicano che i prigionieri non sono stati solo fisicamente abusati ma anche accusati di essere omosessuali, che nella cultura islamica e’ una forma di degradazione ben piu’ grande.

Il rifiuto islamico dell’omosessualita’ e’ conoscenza comune ed e’ dunque difficile credere che l’umiliazione sessuale non sia stata discussa esplicitamente come strumento per ottenere cooperazione dai prigionieri. Le dichiarazioni del Generale Janis Karpinski, supervisore della polizia militare durante il periodo dell’abuso, indicano che queste azioni facevano parte di una strategia studiata con attenzione e i soldati responsabili sono stati elogiati per i loro sforzi per il "rammollimento" dei prigionieri.

Gia’ in Afghanistan, i militari americani hanno avuto ampia occasione per esaminare la complessita’ del comportameanto omosessuale in un paese islamico. Paradossalmente, i rapporti sessuali fra uomini piu’ anziani e adolescenti sono accettati della società afgana, in un’elaborata forma di prostituzione. Un uomo più anziano, solitamente sposato e con bambini, puo’ sedurre un ragazzo piu’ povero con offerte di regali e soldi: un’esca davvero potente. La condanna del comportamento "gay" e’ evitato: l’età del ragazzo lo disumanizza, più o meno allo stesso modo delle donne, relegate alla condizione di oggetti.

L’umiliazione dei prigionieri iracheni a Abu Gharib suggerisce dunque che sorprendentemente i militari degli Stati Uniti abbiano carpito qualche elemento di cultura islamica. Purtroppo, hanno usato questa conoscenza per sviluppare comportamenti che hanno degradato, insieme alle vittime, l’intero mondo occidentale.

E’ sconcertante vedere le donne, che hanno lottato duramente per essere accettate nei ranghi militari, tra i principali partecipanti a questi atti di tortura. Uno degli effetti piu’ sconvolgenti delle immagini e’ l’attiva, addirittura divertita, partecipazione delle donne. Il soldato-donna che espone per una foto il "pollice alto" davanti al corpo sottomesso di un uomo o si mette in posa per foto "turistiche" dietro mucchi di uomini che sembrano morti aggiunge una nota supplementare di orrore agli occhi gay (il mucchio dei corpi immediatamente innesca associazioni con l’Olocausto, in cui gli uomini gay sono stati eliminati con gli ebrei ed altri indesiderabili) .

Fino ad oggi e’ sembrato che le donne sentissero la loro posizione nella società come simile o legata a quella dei gay, il che e’ anche ragione per cui tra uomini gay e donne eterosessuali si formano spesso potenti legami di amicizia.

L’idea che soldati donne siano state capaci come gli uomini di tali atrocita’ ci disorienta perche’ ci forza – come uomini gay – a riconoscere le donne come minaccia. Sarebbe in altre parole più facile per me – forse – accettare le immagini se non rappresentassero anche le donne in un nuovo, spiacevole, indesiderabile ruolo.

Queste donne possono senz’altro essere state "sotto pressione" in ambienti dove la violenza eterosessuale dei soldati maschi e’ segnalata regolarmente. Le azioni intraprese dai soldati femmina hanno probabilmente elevato la loro condizione agli occhi delle loro controparti maschili e hanno dato alle donne il piacere di avere finalmente qualcuno di meno potente da rendere vittima, in modi che esse stesse potevano ben aver gia’ sperimentato.

L’analisi delle immagini di tortura da parte dei mass-media è stata enfatica, giornalisti o commentatori sono stati forzati ad osservazioni sulla sessualita’ che avrebbero preferito evitare. Infatti quasi ogni giornale ha dato importanza alle minacce con cavi elettrici piuttosto che alle torture sessuali. E quando giornalisti o commentatori sono stati costretti a discutere "il sesso", e’ stato piu’ facile parlare di "sesso simulato" che descrivere violenze anali con manici di scopa o prigionieri su cui si e’ urinato sopra.

Ci si domanda, man mano che le informazioni entrano in nostro possesso, se sentiremo anche di violenze sessuali con interazione esplicita e fisica fra prigionieri e torturatori. Ma anche negli atti simulati, le foto contengono un tasso di tensione sessuale che invita a tali collegamenti.

L’uso militare del sesso gay come arma di tortura aggiunge alla sottomissione delle vittime anche l’umiliazione riservata agli uomini gay nell’occidente. Vedere l’identità sessuale usata contro la persona come forma estrema di tortura ha dato in tutto il mondo un senso di assoluto oltraggio, con un’esperienza mortificante per quelli di noi pensavavano di vivere nell’occidente "illuminato".

Per gli uomini gay e donne lesbiche nascosti che servono nell’esercito, cio’ deve evocare terrore assoluto. Davanti all’uso del terrore sessuale come strumento di guerra la falsa apertura dei militari, secondo la regola del "non ti chiedero’ ma tu non dire" (Don’t ask, don’t tell), o le dichiarazioni in malafede di Bush circa il "conservatorismo compassionevole" da utilizzare verso gli omosessuali si sono rivelate bugie.

Gli uomini gay hanno la loro complicita’ con questa situazione. Finche’ permettiamo che la nostra cultura si trasformi e si desessualizzi sempre di piu’, a favore di ruoli da sposi felici o da architetti/stilisti (monogami) buoni per la televisione, come uomini gay abbiamo permesso alla società di chiudere in ripostiglio la nostra sessualita’: una cosa segreta, vergognosa, un tabu’ di cui non parlare mai ne’ tra noi ne’ con gli altri.

Naturalmente, la gestione Bush ha condannato gli atti di tortura adesso che sono divenuti pubblici. Tuttavia noi, come Americani, dobbiamo fare i conti con la società che ha nutrito e preparato tali atrocita’. La societa’ civile americana e’ da decenni abituata a dare risposta ai problemi soltanto quando raggiungono una fase di crisi o diventano scandalo. Questi atti indicano che dobbiamo cominciare a chiederci se non sia proprio la natura puritana della cultura americana a stimolare un utilizzo della sessualita’ che tutti giudichiamo disgustoso.

E mentre l’amministrazione Bush oltraggia sempre piu’ il mondo arabo, speriamo anche risvegli anche un po’ di collera gay, qui negli Stati Uniti.

(Traduzione di Paolo Rumi)


  •