L’orgoglio di Pedro

  

Da "La Repubblica" del 13.05.04 di NATALIA ASPESI
Preti e gay: tutto su Pedro
Un´opera piena di passione omosessuale. Accoglienza tiepida per "La mala educacion" di Almodovar che ha aperto il festival. Il regista nega che sia un lavoro anticlericale "Sarebbe stato noioso parlare del mio odio"

Il regista-protagonista continuerà a far cinema con "passione", una parola a tutto schermo. Nel film, privo di emozioni, sono le scene dell´infanzia a toccare il cuore. La vita di collegio vista dal regista come "trasmissione del peccato"

Gael Garcia Bernal

Gael Garcia Bernal

CANNES – La mala educacion che, fuori concorso, ha inaugurato ieri il Festival, è un film di Pedro Almodovar, quindi: travestiti, preti pedofili e assassini, bimbi innamorati e uomini maturi persi di passione, tutti gay, niente donne tranne una tenera mamma. Da "Tutto su mia madre" a forse, "Tutto su di noi", da "Parla con lei" a, probabilmente, "Parla con me". Non autobiografico, come ci tiene a ripetere il regista, nel senso che pur avendo studiato dai salesiani, lui non fece incapricciare nessun professore in tonaca: ma certo carico come nessun altro dei suoi film, di omofilia: bei sederi nudi virili, quel tipo di mutanda di cotone molliccio che pare sia molto appetibile tra intenditori maschi, sguardi intensi sempre rivolti alla protuberanza inguinale, sodomie esuberanti, fellatio volonterose ma scoraggianti causa caduta nel sonno del partner, amanti in canottiera che si videoriprendono delirando di desiderio. Questo tra adulti. E tra i piccini affidati ai preti: sguardi di innocente risveglio sessuale, toccamenti al cinema, incontro notturno nelle latrine del collegio, il tormentato ma imperioso padre Manolo che li sorprende e caccia Enrique per tenersi Ignacio, sia come chierichetto dai begli occhi neri sia come strumento muto e indifferente del suo piacere: e che da adulto ricorderà soprattutto il fastidio di tutti quei bottoncini della veste che gli penetravano la fragile schiena.

Nessuno shock in Spagna dove il film è uscito poco dopo la spaventosa tragedia dell´11 marzo e in concomitanza con la fragorosa vittoria di Zapatero, in giro per il mondo non si sa: però la Chiesa non dovrebbe protestare, visto che nel ramo pedofilia ha sue vistose grane soprattutto negli Stati Uniti, in più sono talmente tanti gli orrori che ci vengono propinati in questi ultimi tempi che padre Manolo intento a slacciarsi la tonaca e padre Josè che uccide con un colpo di karaté non suscitano scandalo. E Dio, dice Manolo dopo il delitto: "Dio è dalla nostra parte", gli risponde serafico l´assassino. Risate del pubblico. Il regista dice che il suo film non è anticlericale, perché, pur odiando i preti, «sarebbe stato inelegante e anche noioso fare un film su questo odio». Però più delle scene di pedofilia pretesca, sono quelle della vita di collegio apparentemente innocente, a parlare di quell´educazione religiosa da lui definita mostruosa, fatta di castighi, di peccato, di ipocrisia, di sopraffazione, di ignoranza e terrore, di quella che lui chiama «la trasmissione del peccato».

1980, Franco è morto da cinque anni, la Spagna è in piena movida: il giovane regista Enrique (Fele Martìnez) non trova una storia per il suo nuovo film, quando si presenta da lui un attore in cerca di lavoro (Gael Garcìa Bernal) che dice di essere il suo ex-compagno di collegio Ignacio. Ha scritto un racconto, "La visita", che potrebbe diventare un film. Da questo momento non è più chiaro, e non lo deve essere, se quel che vediamo è realtà, memoria, menzogna o film nel film, nel confondersi continuo di tre momenti, il 1980, il 1977, il 1964: dalla movida, indietro al momento della sfrenatezza, dell´edonismo, della libertà dopo la fine della dittatura, e ancora prima negli anni oscuri della massima repressione politica e sociale. Enrique e il bel ragazzo che dice di essere Ignacio ma vuole farsi chiamare Angel, diventano gelidi amanti, e Angel ottiene nel nuovo film il ruolo di Zahara, il travestito che pare la più fatale delle donne e ha ricattato padre Manolo (Daniel Ginénez Cacho) ricordandogli il suo crudele peccato di tanti anni prima.

Sono le scene dell´infanzia quelle che in un film volutamente privo di emozioni, toccano il cuore; con quei preti che nei loro svolazzanti gonnelloni giocano al calcio con i ragazzini in un´atmosfera ambigua, e padre Manolo innamorato che suona la chitarra in riva al fiume, mentre il piccolo Ignacio canta con vocetta angelica (come Almodovar bambino) "Moon River", oppure "Torna a Surriento" per il compleanno del tormentato pedofilo: poi i tuffi felici dei ragazzini filmati al rallentatore, e il momento in cui, servendo Messa, il bambino violato capisce non di aver perso la fede, ma di non averla mai avuta, di essersi liberato per sempre dal senso del peccato. Come in un labirinto, in un gioco di specchi, un attore ha più ruoli e un solo ruolo è interpretato da più attori: il finto Ignacio è in realtà Juan, fratello del vero, nella vita travestito come Zahara nel film, il carnefice padre Manolo, spretato e sposato, diventa con un attore diverso un Messieur Berenguer vittima della sua passione per Juan. Bruscamente il film è diventato un melodramma nero, come un certo cinema americano anni ?50, molto amato da Almodovar, ma anche come i primi Buñuel. L´angelo vendicatore è anche l´angelo del male e come finirà? Miseramente, a fare l´attore nelle soap-opera televisive. Mentre il regista Enrique-Almodovar continerà a fare cinema «con la stessa passione»: e su quest´ultima parola, «passione», che occupa tutto lo schermo, si chiude La mala educacion. Che alla proiezione per la stampa è stato accolto in silenzio, senza applausi né fischi, come lo stesso Almodovar all´incontro con i giornalisti.

Da "Corriere della Sera" del 13.05.04 di Tullio Kezich
Gran giocoliere senza rancori

La Mala Educacion

La Mala Educacion

Chi comanda al Festival? La risposta è inequivocabile, sulla Croisette comandano i signori del mercato. Agli organizzatori si concede, al limite, di giostrarsi come gli pare le pellicole che interessano le esigue tribù dei cinefili, ma commercialmente non incidono né disturbano. Quando però si entra in zona eventi, leggi serate di gala, le regole le stabiliscono i veri padroni della pellicola. Come la Pathé, che ieri ha ottenuto d’inaugurare la rassegna alle 19.30, fra squilli di trombe e clamori di mass-media, con La mala educación ; e non ha avuto nemmeno la delicatezza di rimandare l’uscita pubblica di ventiquattr’ore. Infatti, anche se tutti fanno finta di niente, il film di Pedro Almodóvar si poteva vedere, pagando il biglietto, fin dalle 13.55 nella multisala Olympia di rue d’Antibes e in tutta la Francia. Questo tanto per toccare con mano di che compromessi grondi la conclamata «grandeur». Oggi il gioco si ripete con Troy a vantaggio della Warner Bros.: e c’è quasi da invidiare chi, non avendo trovato posto al Palais, andrà a godersi il «kolossal» all’Olympia senza bisogno di mettersi la cravatta.
Il discorso non tocca, ovviamente, la qualità dei film; ed è anzi un fatto positivo che un autore come Almodóvar, fra i più anticonformisti, trovi ormai credito in quelle alte sfere dove il successo può anche essere una decisione di vertice. La mala educación è un film incantevole che partendo da uno spunto autobiografico, i dolori del giovane Pedro nei collegi dei preti anni ’60, attinge a una sfrenata fantasia romanzesca. Evocando le malefatte di un sacerdote pedofilo a danno di una coppia di ragazzini innamorati, di cui uno diventerà un regista e l’altro uno sciagurato transessuale, l’autore non si abbandona al risentimento. Spazia tra passato e presente divertendosi a sottolineare come la vita si trasforma in melò e viceversa, propone inganni molteplici, scambi di persona, ritorni di personaggi spariti e sparizione di altri. Sul piano della narrazione Almodóvar sfoggia un’abilità da giocoliere, a volte sfidando la logica e la credibilità, ma ci mette un tocco ironico e perfino ilare che impreziosisce l’assunto tragico; e anche un palpito assolutorio che coinvolge i personaggi più negativi. Non esistono cattivi, solo esseri umani travolti dalla passione, la parola chiave della poetica di Pedro che non a caso risuona a suggello del film. I torbidi ricordi sono riscattati dalla tolleranza che viene con la maturità, le scene di violenta attrazione omosessuale (qui le donne contano poco) sono presentate con garbata naturalezza. Fra gli interpreti, tutti perfetti, spicca Gael García Bernal in una triplice incarnazione toccante e virtuosistica.

Da "Il Mattino" del 13.05.04 di VALERIO CAPRARA
Melodramma dell’orgoglio omosessuale

Pedro Almodòvar

Pedro Almodòvar

Cannes. Tralasciando finalmente sussurri e grida della promozione, perché «La mala educaciòn» ci lascia perplessi e non ci sembra all’altezza dei classici di Almodovar? Assodato che non vuole essere – come sognavano i soliti cacciatori di scandali – un banale pamphlet anti-clericale, può darsi che il film d’apertura della 57esima kermesse sconti l’urgenza di riprendere tutti, ma proprio tutti i temi di un’inimitabile poetica: commedia postmoderna, melodramma popolare, incontro/scontro tra fantasia e realtà, esorcismo autobiografico, tormenti di una diversità non riconciliata. Per la prima volta da quando la sua stella ha iniziato a brillare nel firmamento degli autori, don Pedro concepisce ed elabora, infatti, un racconto dove le donne e il sentimento (ambiguo) della femminilità sono totalmente assenti, mentre dilaga e si specchia su se stesso l’orgoglio e pregiudizio gay, un’autocoscienza dell’identità omo/transessuale che finisce col prevaricare la fluidità dello stile e il piacere della trasgressione. Siccome quest’orizzonte, per forza di cose, appare limitato e settoriale, le giravolte di spazio e tempo sono spesso costrette a girare a vuoto e i momenti di pura classe visionaria si alternano ai punti e a capo, alle sottolineature, alle «cancellature» che in qualche modo bloccano la struttura e depauperano le emozioni.
S’inizia a Madrid nel 1980, quando il regista sulla cresta dell’onda Enrique Goded riceve la visita di un aspirante attore e scopre che si tratta dell’amico più caro degli anni del collegio religioso. Ignacio lo ha rintracciato per consegnargli un copione che rievoca con ricchezza di particolari e adeguato strazio drammaturgico le esperienze vissute all’ombra della tonaca di Padre Manolo: fu proprio il carismatico insegnante e direttore a invaghirsi di lui e a farne l’oggetto di focose e profane voglie pedofile, stroncando nel contempo l’intima e «innocente» relazione con Enrique. La prima parte de «La mala educaciòn» è la più prevedibile, ma anche la più felice: quando la memoria ferita dell’improvvisato sceneggiatore materializza (grazie al taglio carico e sensuale di Almodovar) le atmosfere morbose dell’istituto, la mistica brama del molestatore, la complicità tra bambini e la loro scoperta del cinema trash incendiata dal culto per Sara Montiel, la Mae West spagnola. Per di più inventandosi l’appendice dell’incontro tra i due ormai adulti, con Ignacio cantante travestito d’infima categoria che seduce inconsapevolmente Enrique, diventato un frustrato padre di famiglia provinciale.

Dal momento in cui il regista decide di fare il film, la tensione scema e le sfilacciature non riescono più a essere rammendate dalla martellante colonna sonora di Alberto Iglesias, dalla sgargiante fotografia di José Luis Alcaine, dai movimenti di macchina che accompagnano l’ossessiva duplicazione o triplicazione dei personaggi e dei rispettivi ruoli. Anche il piccolo campionario a luci rosse – fellatio e sodomie tra uomini, tuffi goduriosi in piscina, biancheria intima come feticcio, autofocus voyeuristici – non va al di là del gioco di simulazione tra arte e vita, un’uscita troppo stretta per le grandi potenzialità del sarcasmo dissacrante di Almodovar. La tragicommedia dell’impossibilità di essere normali non poteva, certo, limitarsi a bacchettare le note abitudini di certi religiosi (in fin dei conti ridotte a casi particolari, ampiamente sorpassati dalla sbracata movida dei laici); ma, più che le scene madri dei bravi protagonisti Gael Garcia Bernal, Fele Martinez e Francisco Boira, del film colpiscono gli scorci come il travestito che gorgheggia «Quizàs» nelle penombre del night, il «Cuore matto» di Little Tony che scudiscia la tensione notturna degli amanti, l’accanita partita di calcio con i preti che corrono reggendosi la tonaca alta sulle scarpe, il canto da usignolo del collegiale che dedica a Padre Manolo una versione ispanica di «Torna a Surriento» sullo sfondo dei mistici mosaici delle vetrate.


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