Gay nel mondo arabo

  

UDIENZA DOPO UDIENZA, gli uomini dovevano restare ammassati in piedi dietro le sbarre delle gabbie, lanciando sguardi furtivi attraverso le maschere fatte con fazzoletti o con indumenti intimi stracciati. Nel’aria umida del tribunale queste maschere, unite alle uniformi bianche da detenuti, gli davano u’aria di spettri imprigionati. Erano stati arrestati a decine nel maggio del 2001 al Cairo: alcuni nel corso di una retata nella discoteca Queen Boat, altri per strada.

Erano accusati di condotta omosessuale (fallir o "depravazione", secondo il termine usato dalla legge egiziana) e di aver fondato un culto blasfemo. La stampa si è accanita contro di loro per mesi: li accusava di essere degli adoratori di Satana e di lavorare per le potenze straniere. Gli accusati non si mascheravano solo per proteggersi, ma anche in segno di sfida: era un modo per impedire ai fotografi che invadevano i tribunale di pubblicare le loro foto sulle prime pagine dei giornali e allo stesso tempo per protestare contro la volontà del governo di umiliarli pubblicamente per lanciare un messaggio alla società. Uno di loro mi ha raccontato che prima di ogni udienza le guardie perquisivano le celle per confiscare ogni minimo pezzetto di tessuto che potesse servirgli per nascondere la faccia. Grazie alle immagini di quegli uomini mascherati, il processo del Queen Boat è diventato probabilmente la più celebre vicenda giudiziaria che riguarda ‘omosessualità dopo il caso Oscar Wilde.

Queste immagini sono state recepite in modi diversi. Per il pubblico egiziano, simboleggiavano una pratica vergognosa che non osava mostrare il suo volto. Per molti occidentali, invece, ‘anonimato di quegli uomini in gabbia era il segno del’ingiustizia. Ma le immagini hanno forse contribuito a riproporre vecchi stereotipi? ‘era qualcosa di lascivo nella fascinazione che esercitavano quegli uomini volontariamente velati, come se tanto il loro comportamento quanto le sevizie che gli venivano inflitte li avessero femminilizzati, rimandando a una visione arcaica del’oriente come luogo di misteri invisibili dove il desiderio è represso ma onnipresente.

La difesa della cultura autentica

Il processo del Queen Boat è un evento storico: ha reso visibile lo spettro del’omosessualità in Egitto e nella regione, e al tempo stesso ha costretto gli omosessuali a nascondersi ancora di più. Il governo egiziano lo ha salutato come la difesa della cultura "autentica" U’autenticità che, a suo parere, si pone al di là dei diritti umani. Eppure la libertà di scelta in materia sessuale non è legata ad alcuna tradizione culturale. E’ chiaro che nel mondo di oggi la sessualità è diventata un campo di battaglia dove i difensori dei diritti affrontano i paladini delle tradizioni culturali.

Lavoro per Human rights watch. Gli arresti al Cairo hanno occupato buona parte della mia vita da tre anni a questa parte. Ho assistito al’ultima udienza del processo del Queen Boat, nel novembre 2003, e ho visto fin dove si spingeva lo strano desiderio delle autorità di rendere pubblica ‘ingiustizia: in tribunale erano ammessi solo alcuni giornalisti, egiziani o stranieri, mentre gli avvocati e le famiglie urlavano e battevano alla porta dal’esterno. Ho scoperto che a partire dal’inizio del 2001 centinaia di uomini erano stati arrestati per comportamento omosessuale. La polizia fa irruzione nelle case dei cittadini, mette i loro telefoni sotto controllo e utilizza i suoi innumerevoli informatori per individuare le persone colpevoli di atti omosessuali. Una volta arrestati, i sospetti vengono torturati. In tre casi, dove si era stabilito che la vittima di un assassinio aveva avuto rapporti omosessuali, centinaia di gay sono stati arrestati e torturati, per strappargli confessioni e anche per sadiche rappresaglie. Uno di questi uomini mi ha raccontato: Eravamo trecento o più. Ho visto torture incredibili. I lineamenti di un ragazzo, si chiamava Shadi, si distinguevano a malapena: aveva gli occhi gonfi, il volto sembrava un pallone da calcio per tutte le percosse che aveva ricevuto. Abbiamo visto un altro gay al quale avevano slogato una spalla. Gli avevano legato le mani dietro la schiena e ‘avevano appeso al telaio della porta. Poi gli avevano legato una bombola di gas alle gambe. Dopo, nella cella, lo avevano ammanettato a un anello conficcato per terra. Gli impedivano di andare al gabinetto. Lo hanno lasciato così per quattro giorni". U’altra vittima mi ha fatto vedere le bruciature di sigaretta che aveva sul corpo. "Al posto di polizia ci torturavano ogni tre giorni. Scariche elettriche per quindici minuti. Prendevano un cavo telefonico e lo avvolgevano intorno alle dita delle mani e dei piedi, intorno a un orecchio, al pene. Il cavo era collegato a una specie di telefono: facendo girare una manovella si producevano scosse elettriche. ‘erano alcuni detenuti che erano considerati la feccia della prigione: erano picchiati e insultati. Noi eravamo trattati come gli schiavi di quei prigionieri: eravamo gli ultimi degli ultimi".

Motivi meschini

Il caso del Queen Boat ha segnato ‘inizio della repressione. Lo scopo dichiarato era quello di difendere una cultura in pericolo, ma i veri motivi erano molto più meschini. Il principale accusato viene da una famiglia che appartiene a un potente clan politico. Secondo persone a lui vicine, nei mesi precedenti ‘arresto alcuni componenti della sua famiglia avevano fatto circolare delle voci sulla vita sessuale di un parente del presidente (Gamal, figlio di Hosni Mubarak). Per vendetta, i servizi di sicurezza hanno montato un dossier contro di lui, accusandolo non solo di essere omosessuale ma anche blasfemo, adoratore di un "culto" al quale partecipavano anche operai e lustrascarpe. Il loro scopo era umiliarlo e intimidire chi metteva in giro queste voci. La "guerra culturale" è quindi cominciata come una bassa vendetta politica, ma con il tempo si è trasformata in un vero conflitto.

I mezzi ‘informazione si sono lanciati freneticamente sul caso e hanno diffuso ‘idea che la "perversione sessuale" alleata in una cospirazione con le potenze straniere – non era più una questione privata ma una minaccia per la nazione. La paranoia del’invasione culturale si è concentrata sulla porosità della società del’informazione: la polizia ha cominciato a setacciare internet per dare la caccia ai gay che mettevano illegalmente degli annunci in rete. Sostenendo che alcuni atti non rientravano nei diritti umani, si sono puramente e semplicemente radiati alcuni uomini dal’umanità. La difesa della "cultura" è sfociata nella tortura e nella brutalità.

Tradizione contro diritti

Dopo gli avvenimenti del Queen Boat, alcuni intellettuali progressisti nei paesi occidentali hanno cercato di dimostrare che esiste un conflitto tra la "tradizione", ritenuta un fattore di coesione, e i "diritti", considerati pericolosi per ‘autenticità culturale. Joseph Massad, un docente della Columbia university, è stato al’origine di una vivace polemica. La rivendicazione dei diritti, secondo lui, richiede che le persone assumano delle identità ben definite per rendere visibile la loro condizione di vittime. Quelli che in occidente si battono per la causa dei gay e la difesa dei diritti umani incoraggiano i loro subalterni del mondo arabo – intellettualmente e sessualmente colonizzati – a definirsi "omosessuali". Promuovono ‘identità gay e la politica a favore degli omosessuali in paesi dove queste nozioni non sono radicate, e presentano come universale la distinzione occidentale tra omosessualità ed eterosessualità. Questa tesi riecheggia quanto scrive la stampa egiziana, che denuncia una quinta colonna composta da "cairoti occidentalizzati, appartenenti alla borghesia, che si definiscono gay e frequentano i turisti europei e americani" . E’ opportuno ricordare come è nata la normativa egiziana che punisce gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini. Il testo, che secondo il governo difende i valori più profondi della società egiziana, ha origine in una legge contro la prostituzione adottata nel 1951. Una misura nata dal fervore anticolonialista per il ripristino del’Integrità nazionale. Tanto i Fratelli musulmani che i nazionalisti laici volevano mettere fine alla vergogna costituita dalle case di appuntamento dei britannici, dove donne egiziane si prostituivano per la casta militare che dirigeva il paese. Tuttavia, questa volontà di legiferare contro alcune pratiche sessuali non è stata solo il frutto di u’indignazione autoctona. Si è ispirata anche a modelli europei e americani.

Comunque sia, una cosa è certa: la legge che stigmatizza i gay e rende possibile arrestarli e torturarli non può essere considerata il prodotto di una tradizione egiziana. L’essenziale di questo dispositivo è infatti ricalcato sul codice napoleonico. In Egitto sono molti gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini e che non si definirebbero "gay" oppure ‘omosessuali", perché si tratta di parole che derivano da altre lingue e sono legate ad altre tradizioni. Molti di loro considerano il loro ruolo sessuale – partner attivo o passivo, barghal o kodyana, nel gergo locale – una coordinata importante per capire i loro desideri. Ma questi ruoli non hanno niente di assoluto. Diversi uomini che mi hanno detto di essere passivi erano sposati, per esempio, e svolgevano un ruolo diverso su un altro piano della loro esistenza.

Detto questo, ci sono anche altri uomini che si definiscono "gay", e non si tratta solo di ricchi cairoti occidentalizzati. A Tanta, una città di provincia, ho sentito la parola "gay" (in inglese) utilizzata da commessi o panettieri per parlare di sé. ‘uso di questo termine dipende sicuramente dal’assenza di un vocabolo non dispregiativo nel’arabo parlato. Tuttavia indica pure lo sviluppo di u’identità collettiva nazionale fondata non soltanto sul ruolo sessuale, ma anche sul’oggetto del desiderio.

IN RETE

> MONDO ARABO www.gayarab.org Uno dei primi siti gay arabi. Offre la possibilità di chattare www.gaymiddiecast.com Ricco ‘informazioni: leggi, rapporti di Amnesty international e notizie sul vari paesi

> EGITTO www.gayegypt.com Molto documentato, con rassegne stampa e Informazioni utili

> LESBICHE www.binteinas.org Bintelnas significa «ragazza di buona famiglia". Finanziato dal Queer cultural center di San Francisco, il sito si rivolge alle lesbiche arabe

> ISLAM www.al-fatiha.net Lo Fatiha è la prima sura dei Corano. Obiettivo di questo sito è conciliare fede religiosa e scelte sessuali

> STATI UNITI www.gias.org/ahbab Creato dal’associazione americano Gay and lesbian arabic society, offre notizie, articoli e annunci personali

> FRANCIA www.keima.org Kelma vuoi dire «parola ". Questo sito vuole proprio dare la parola agli omosessuali di origine magrebina


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