Giù le mani da Tondelli

  

È frequente, per gli scrittori italiani, che alla morte segua un periodo variabile di tempo in cui si venga molto dimenticati e negletti. Pensate a due grandi come Natalia Ginzburg o Alberto Moravia. Sembrano scomparsi cento anni fa.

Pier Vittorio Tondelli

Pier Vittorio Tondelli

Non è accaduto lo stesso al mio vecchio e sfortunato amico Pier Vittorio Tondelli. Scomparso prematuramente nel 1991, Tondelli non solo ha continuato a essere un autore di riferimento per le giovani generazioni ma è stato e continua a essere sottoposto a riletture critiche, magari discutibili e talvolta parecchio ideologiche, ma sempre utili o, come dicono i professori, feconde.

Purtroppo, insieme alle cose utili e feconde, l’opera di Tondelli trascina con sé – per un motivo forse anche un po’ fatale – una certa paccottiglia. Avrete letto di recente su qualche settimanale servizi e articoli su di un libro che annuncerebbe al mondo dei fedeli lettori tondelliani una cocente novità: lo scrittore di Altri libertini e Camere separate, autore di delicate e insieme corrusche storie d’amore omosessuale, non era nella vita un gay. Con tanti saluti a chi lo ha conosciuto e amato anche per la sua tenera, intelligente e alla fine dolorosa omosessualità.

Ma andiamo con ordine. Intanto, di che libro si tratta? Il titolo è Federica in Cina. Ne è autore Massimo Canalini, proprietario di una piccola casa editrice di Ancona (si chiamava prima Il lavoro editoriale e poi Transeuropa) con cui Tondelli ha collaborato appassionatamente per alcuni anni, curando il progetto sulle scritture giovanili intitolato «Under 25», grazie al quale hanno esordito alla letteratura autori come Andrea Canobbio e Silvia Ballestra, insieme ad altri. Ho letto questo testo alcuni mesi fa, prima che arrivasse in libreria – se vi è arrivato: Canalini anni addietro era simpaticamente noto per annunciare libri che non venivano mai pubblicati. Sul volume non avrei speso una parola, se non fosse ora assurto alle cronache. E il motivo è semplice: prima di tutto, Federica in Cina è uno scartafaccio lungo e sconclusionato che racconta perlopiù l’ossessione direi maniacale che l’opera del povero Tondelli ha nel tempo scatenato nella mente di Canalini. Si potrebbe notare che molta letteratura nasce appunto da un’ossessione, da una mania, da un avvitarsi dell’autore intorno al proprio oggetto. Vero. Ma qui non siamo in presenza di un romanzo, cioè di un’opera della fantasia. Siamo in presenza di una presunta rilettura critica e psicologica di uno scrittore, sulla base del ritrovamento di una manciata di lettere adolescenziali.

E qui arrivo al secondo motivo per cui non avrei scritto di questo libro. Le lettere di cui si sproloquia nel testo sono lettere di un adolescente a una compagna di scuola. L’adolescente è gay ma ne è terrorizzato perché vive in un piccolo mondo di provincia che lo intimorisce. La ragazza a cui si rivolge è la ragazza che molti di noi hanno conosciuto negli anni beati e orrendi dell’adolescenza: affettuosa, complice, sensibile, materna. E destinata, prima o poi, a sentirsi confessare la nuda verità: ti voglio bene, ti adoro, saresti la mia donna ideale ma purtroppo c’è un problema: mi piacciono i ragazzi. Si aggiunga che, rintracciata oggidì la ragazza di allora, una quarantenne con una bella faccia aperta e generosa (come poteva, il vecchio Pier, non innamorarsene?), lei medesima dice e ripete, tanto all’autore del libro quanto ai giornalisti, la pura e onesta verità: Vicky (gli amici d’infanzia chiamavano Tondelli così, n.d.r.) era gay, il libro di Canalini non rivela niente di nuovo sul suo conto.

Ora voi pensate che queste quiete dichiarazioni abbiano spostato di una virgola l’ossessione di Canalini o i titoli dei giornali? Macché. Un signore di Ancona, che ha conosciuto Tondelli per sua esplicita ammissione in maniera piuttosto superficiale e per esclusive ragioni di lavoro, sulla base di una traccia che non è labile ma soltanto inesistente, decide che Tondelli non era omosessuale, da ciò inferendone un inutile seppur non del tutto insensato paragone con l’opera di René Girard, denunciato dai famigliari dello scrittore e smentito dalle sue stesse fonti, riceve comunque audience dai giornali nazionali.

C’è di che rabbrividire prima di tutto sullo stato di salute dei nostri media. Ma c’è di che rabbrividire anche sulla terribile mentalità e cultura che l’intera vicenda tradisce. Poniamo infatti che Tondelli – al di là dell’età in cui scrive – abbia profondamente amato, e per sempre, la giovane Federica: che cosa c’entra questo col suo essere o non essere omosessuale? Si vuole dire che chi è omosessuale non possa, magari geneticamente, innamorarsi di una persona del sesso opposto, desiderandola anche come corpo fisico? Ma dico: è vero che in Italia i cosiddetti «gender studies» non sono mai fioriti nelle università, ma un’ipotesi del genere, in un qualsiasi Paese occidentale, avrebbe messo il suo autore nella condizione non solo di non esser preso sul serio ma di essere deriso o magari compatito. E anche senza scomodare le accademie, guardando alla semplice esistenza di noi tutti, nessuno ha mai sentito parlare di periodi di latenza e incertezza sessuali, nella fase appunto adolescenziale?

L’Italia è diventata così stupida e volgare da non riuscire più a usare neanche il buonsenso, oltre che le due o tre cognizioni di psicoanalisi digerite quotidianamente da chiunque?

Povero Tondelli. Poveri tutti noi.


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