La questione omosessuale entra nella sinistra

  

Quando si trattò di cacciare dal Pci Pietro Tresso, nome di battaglia Blasco, si fece circolare la voce che fosse omosessuale. Altri comunisti come Cino Moscatelli, non esattamente un efebo, protestarono furibondi con Togliatti: «Com’è possibile, Blasco e io siamo andati a donne insieme fino all’altro giorno!». Togliatti rispose scrollando le spalle con il calore di uno stalinista torinese. Quando mille anni dopo si è trattato di decidere i candidati della Grande alleanza democratica per le Regionali, nessuno della nomenklatura l’ha detto, ma tutti l’hanno pensato: un comunista gay non può vincere, tanto meno in Puglia. Non per questo Nichi Vendola si è rassegnato. E ha individuato il suo persecutore in un conterraneo, un ex compagno del Pci ed ex direttore dell’Unità : «L’on. Giuseppe Caldarola mi ha dedicato articoli e interviste a ritmo incessante – scrive ieri Vendola in una lettera a Liberazione -, da ultimo invitandomi brutalmente a non atteggiarmi a "icona" e a vittima di una persecuzione anti-gay del suo partito. Cosa non fa la malafede!».

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E così la questione omosessuale, dibattuta a destra per mesi con la consueta eleganza («Culattoni!», ha messo per iscritto Tremaglia il ministro di Salò), entra nella casa già abbastanza litigiosa della sinistra. Dove viene coniugata in forma sottile, o se si preferisce subdola. Vendola non dice d’esser discriminato in quanto gay, anzi lo esclude; accusa i Ds di accusarlo di accusarli in quanto anti-gay. Un garbuglio di retropensieri, allusioni, timori, complicati dalle comuni origini familiari («Conosco e stimo Vendola dai tempi della Federazione giovanile comunista» ha detto D’Alema per smentire il veto sul suo nome) e dalla maledetta necessità di battere la destra proprio in Puglia, regione decisiva con Lazio e Piemonte per stabilire il vero vincitore delle Regionali 2005.

Un tempo le cose erano molto più semplici. «Anche per i comunisti l’omosessualità era indegnità morale» scrive Filippo Ceccarelli ne Il letto e il potere . Nell’ottobre del 1949 Pier Paolo Pasolini viene radiato dal partito. L’Unità prende «spunto dal grave provvedimento per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decadenti poeti e letterati che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà accolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese». Così Togliatti liquida appunto Gide: «Pederasta». Qualche voce circolò anche sul conto di Pietro Secchia, riferita all’ambasciata italiana in Francia che annotò: «Affettuoso frequentatore di gagliardi marinai nei vespasiani di Parigi». Quando l’accusa divenne pubblica, Secchia furibondo minacciò querele. A sopire e troncare intervenne ancora Togliatti.

Oggi invece è tutta una polemica. In cui Vendola è entrato con garbo quasi lirico, attraverso una lettera scritta molto bene (Vendola è anche poeta e ha pubblicato una raccolta di versi ispirati dal G8), in cui racconta di una vita «vissuta accompagnandomi a quanti giacevano sotto la piramide sociale, schiacciati dal granito del potere». Ai Ds il candidato sempre più virtuale rimprovera di averlo ostacolato «con furbizia e ostinazione»; e a chi parla di icona gay risponde che «ognuno di noi è icona di qualcosa. Lo dico a Caldarola che crede che le icone siano solo quelle appese nelle chiese». Come a dire: chi l’ha detto che un gay, per giunta comunista, non possa simboleggiare la rivolta contro l’antico regime e vincere anche nel profondo Sud, anche contro un avversario come Fitto che conta sull’arma più forte nell’agone italiano, un cognome (localmente) illustre?

Vendola non è certo l’unico omosessuale dichiarato del Palazzo. (Non tutti solidarizzano tra loro: «Voglio circondarmi di donne e fingermi etero, mi vergogno di essere come Cecchi Paone» disse nella campagna elettorale per le Europee Gianni Vattimo). Quando nell’estate del 2000, alla vigilia del Gay Pride, Pecoraro Scanio uscì allo scoperto, Vendola prese le distanze: «Il mio outing dura da 22 anni – raccontò -. Io ho dichiarato la mia diversità nel 1978, in un piccolo paese del Sud e dentro il Pci». La notizia non fu presa bene: Vendola era una promessa della Fgci; Berlinguer restò allibito, Pajetta non voleva crederci. «Outing non è pettegolezzo, è carne, fatica, sangue, dolore, emarginazione, offese, violenza. Solo da poco ho avuto il coraggio di portare mia madre a casa e presentarle a cena il mio fidanzato. Sono stato bisessuale e avevo fidanzate bellissime, sono stato sul punto di sposarmi due volte. Quando Gasparri di An è venuto a fare campagna elettorale nel ’94 e ha cercato di stroncarmi accusandomi di andare con i ragazzini, peraltro pagati per dirlo, è andato via con le pive nel sacco. Ho ricevuto migliaia di lettere di ragazzi che mi dicevano grazie per avergli dato un po’ di coraggio». Vendola si dice credente e fiducioso nella misericordia di Dio, «che non è un tribunale islamico». E ha invitato i colleghi parlamentari a venire allo scoperto: «Quelli di An che vanno con i travestiti, o i gay degli altri partiti, perché non parlano? La Camera ne è piena. Hanno paura di non essere rieletti?». Ora Vendola ha la risposta: sì, e forse non solo quelli di An.


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