Per una città delle diversità

  

Discriminazione: «Distinzione operata nel corso di un giudizio o di una classificazione» (Devoto Oli). Sulla base di questa definizione, tutti abbiamo sperimentato la «discriminazione» su di noi. Quante volte ci siamo sentiti giudicati sulla base di semplici, presunte appartenenze ad una categoria culturalmente costruita? Senza che guardassero invece alla nostra personalità.

Per vivere in società abbiamo bisogno di modelli, di ruoli. Ogniqualvolta incontriamo una persona, questa scompare dietro il ruolo che la società le ha imposto. Siamo portati automaticamente a giudicare questa persona in base alla conformità o non conformità del suo comportamento, ossia del comportamento che la nostra civiltà, la nostra cultura, ci dice sia adeguato per quel soggetto in quella situazione. I ruoli sono una costruzione sociale, vengono appresi durante il processo di socializzazione fin dall´infanzia e ci dicono quali sono i modelli di comportamento adeguati per ogni situazione.

Già con il minimo delle informazioni, cioè osservando una persona senza conoscerla, essa viene classificata nel genere femminile o nel genere maschile. Con questo sistema binario e rigido (e gerarchico), sappiamo che chi appartiene al genere femminile deve comportarsi in questo modo e chi appartiene al genere maschile deve comportarsi in talaltro modo, ruoli profondamente diversi da società a società, da cultura a cultura. Per la cultura occidentale tra i comportamenti caratterizzanti i due sessi c´è l´eterosessualità, cioè l´attrazione fisica ed emotiva degli appartenenti al genere maschile per le appartenenti al genere femminile e viceversa, la dominazione dell´eterosessismo come norma e punto di origine. Gay e lesbiche escono da questi ruoli prefissati.

Qui nascono gli stereotipi e poi i pregiudizi. Stereotipi relativi alla non conformità con il ruolo di genere, per cui i gay avrebbero comportamenti e atteggiamenti tipici del sesso femminile e le lesbiche il contrario. Stereotipi relativi al ruolo sociale, per cui gay e lesbiche sarebbero «devianti», persone sole, anticonformiste, trasgressive, predisposte per certe professioni, stereotipi rispetto alle relazioni e al comportamento sessuale, stereotipi rispetto alle cause dell´omosessualità, con invenzioni particolarmente fantasiose che coinvolgono anche i genitori.

Dagli stereotipi ai pregiudizi, la via verso la discriminazione è segnata. L´essere classificato in una categoria fortemente penalizzata, soggetta nella migliore delle ipotesi a violenza verbale ed emotiva di cui gay e lesbiche soffrono, spesso senza rendersene conto, pone gay e lesbiche nella condizione di decidere se restare non visibili e sottrarsi a relazioni di amicizia o confidenza oppure «rinforzare le spalle» e uscire allo scoperto. Per restare invisibili debbono mettere in pratica delle strategie per adeguarsi alle aspettative della maggioranza eterosessuale, che in ogni situazione esplicita questa sua caratteristica (oltre che essere implicita nel ruolo di genere), e non è spesso sufficiente essere riservati, invocare la propria privacy, a volte si è costretti a raccontare bugie. Questo incide sulla propria autostima e fa sentire l´individuo ancora più sbagliato. Uscire allo scoperto, nominarsi è l´unico sistema per differenziarsi, per esprimere la propria personalità, per essere se stessi.

Non si tratta di essere tolleranti, di essere «politically correct» o di sentirsi «buoni e comprensivi». Si tratta di andare al nocciolo della questione: tutte le volte che traduciamo le persone in ruoli, stereotipi, pregiudizi, invece che guardare ai bisogni e alle esigenze delle persone, ci comportiamo da ignoranti e da ciechi mentali, intenti a mantenere la nostra posizione di privilegio di maschio bianco ed eterosessuale, depositario dell´unica cultura o civiltà giusta. Vogliamo invece costruire una società inclusiva, libera e curiosa di capire? Sviluppare una cultura delle differenze e delle pluralità, contro una cultura dell´oppressione e di un solo ordine naturale? (La natura è naturale o è anch´essa una costruzione culturale?).

Forse dobbiamo proprio cancellare tutte le nostre costruzioni mentali e ripartire dalla persona. La diversità è tra noi. Vogliamo continuare a combattere tra categorie? Forse vale la pena di provare a parlarsi con il cuore guardandosi negli occhi. Il silenzio non è innocente! Parliamo.

MICHELE RONER
Arcigay Trentino


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