Blair apre alle unioni gay

  
Matrimonio gay

Aveva destato particolare scalpore ed un certo divertimento che fosse proprio la Regina Elisabetta, nel suo discorso della Corona del novembre 2003, ad annunciare ai sudditi del Regno Unito l’intenzione del governo di Londra di dare alle coppie gay e lesbiche il pubblico riconoscimento delle loro relazioni d’amore.

Il Civil Partnership Act, approvato nel 2004, è entrato in vigore il 5 dicembre 2005. Fra i primi matrimoni annunciati per il 21 dicembre (solo da quella data sarà possibile l’effettiva celebrazioni delle nuove unioni) il più atteso è quello vip fra Elton John e il compagno David Furnish. Ma sono alcune migliaia le coppie già prenotate. Fra queste, un’altra coppia celebre: l’eurodeputato Michael Cashman, presidente dell’intergruppo gay e lesbico del Parlamento Europeo, alle cui nozze è atteso lo stesso Tony Blair.

Non si chiamerà matrimonio, quello britannico, anche se la differenza è quasi solo nominalistica. Il parlamento inglese, infatti, ha preferito non seguire la strada già tracciata da Olanda, Spagna, Belgio, Canada e Massachusetts, che hanno semplicemente aperto a gay e lesbiche l’istituto del matrimonio. Blair, che non è proprio Zapatero, ha preferito dare vita ad un nuovo istituto, quello delle unioni civili, che comunque equipara i diritti delle coppie omosessuali a quelli delle coppie sposate: una strada seguita in forme diverse da altri undici paesi dell’Unione Europea.

La prima è stata la Danimarca che nel 1989 diede vita alle “partnership registrate”, anticipando la stessa Risoluzione del parlamento europeo dell’8 febbraio del 1994, che chiedeva agli Stati di porre fine “agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni” ed a “qualsiasi limitazione del diritto degli omosessuali di essere genitori ovvero di adottare o avere in affidamento dei bambini”. Da allora, la pioggia di risoluzioni e raccomandazioni europee su questo tema è stata accompagnata dall’adozione di leggi sulle unioni civili in quasi tutti i paesi dell’Unione: Danimarca, Norvegia, Svezia, Lussemburgo, Finlandia, Ungheria, Francia, Germania, Islanda, Portogallo, Slovenia, Svizzera ed, infine, la Gran Bretagna.

Se i nuovi membri dell’Unione si stanno attrezzando per superare il ritardo (Croazia, Repubblica Ceca e la stessa Polonia, oggi piegata da un governo reazionario, hanno in discussione proposte analoghe) dei paesi dell’Europa a 15 solo Italia, Grecia, Austria e Irlanda — non a caso paesi a forte influenza delle chiese cattolica e ortodossa – sono rimasti al palo.

La proposta avanzata dal movimento lgbt (lesbico, gay, bisessuale e transessuale) in Italia è ispirata al modello francese del Pacs (Patto Civile di Solidarietà), un nuovo istituto, che dia riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali (ma anche a quelle eterosessuali) in modo diverso e distinto dal matrimonio e che (a differenza di quanto accade in Danimarca, Olanda, Svezia, Spagna,Gran Bretagna, Germania, Repubblica Sudafricana e diversi stati di Usa e Canada) non affronta il tema delle adozioni. Questo non per rinuncia all’obiettivo fondamentale della piena attuazione della citata risoluzione europea del ‘94 – la piena parità di diritti di fronte alla legge – ma per dare un contributo responsabile alla faticosa ricerca della mediazione possibile.

Tuttavia, se è vero che nella proposta del movimento omosessuale italiano “c’è molta saggezza politica”, come ha riconosciuto un inedito Massimo D’Alema alla recente conferenza programmatica dei Ds, non sempre si è risposto con altrettanta saggezza. Così la possibilità che l’Italia superi la sua anomalia in Europa rimane ancora legata all’esito delle fasi finali di contrattazione del programma fra i partiti del centrosinistra. In verità il capitolo “Nuovi Diritti” della bozza programmatica dell’Unione contiene un riferimento all’approvazione di una legge sulle Unioni Civili. Ma Francesco Rutelli ha già fatto sapere che la sua intenzione è quella suggerita da don Camillo Ruini, nuovo re d’Italia meno illuminato della collega britannica: un contratto privatistico che, senza alcun riconoscimento dello status di coppia, possa dare soluzione ad alcune delle tante ingiustizie denunciate da gay e lesbiche, magari il subentro nel contratto d’affitto a la visita al partner morente in ospedale. Una riduzione ad atto notarile di un progetto di vita in comune. Un’offesa a vent’anni di lotte per il riconoscimento della dignità dell’identità di gay e lesbiche e dei loro amori. Speriamo che Natale porti consiglio.

Nel dubbio, Arcigay, Arcilesbica e tante altre organizzazioni, non solo lgbt, hanno lanciato una grande festa delle libertà civili, “Tutti in Pacs”, che avrà luogo il 14 gennaio a Piazza Farnese e Roma. Chi sente troppo odore d’incenso nella propria camera da letto si segni quella data in agenda.

Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay


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