Brianza «velenosa» per i gay

  

“Se nessuno esce dai ranghi, in Brianza, il clima di omertà sulla condizione degli omosessuali non cambierà mai. Ecco, io credo di essere uscito dai ranghi e di essermi esposto in prima persona per cercare di modificare, almeno in parte, la percezione degli omosessuali che si ha nei piccoli paesi nell’hinterland monzese”.

Queste le parole di Massimo Redaelli, il 36enne concorezzese che si è unito appena 10 giorni fa in partnership col suo compagno Nick a Brighton.

“Ricordo che quando mia madre, vedendomi col mio ex ragazzo, mi chiese se fossi gay, io risposi di sì. E da quel giorno la mia vita diventò sempre più difficile. I miei amici, quelli che conoscevo tramite la mia adolescenza in un oratorio della Brianza, si dileguarono tutti, eccetto uno. Ora i rapporti con la mia famiglia sono almeno in parte recuperati e ho ristabilito i contatti anche con qualche amico del liceo Zucchi di Monza — spiega Massimo — Questo è successo in Italia. A Concorezzo. In Inghilterra, invece, è cosa comune vedere coppie passeggiare mano nella mano per strada, o andare a scuola ad accompagnare i figli. Nel Regno Unito sono sei milioni le persone omosessuali dichiarate, il dieci per cento della popolazione complessiva, e posso dire che vivono, anzi, che viviamo in totale armonia con il resto della popolazione eterosessuale, senza essere emarginati.

Credo che l’Italia dovrà adeguarsi: il resto dell’Europa sta facendo passi avanti verso il riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Spero che anche in Italia si sentirà dire la stessa frase che ha pronunciato l’officiante Debby Rainolds durante la cerimonia che ha unito me e Nick il 29 dicembre: «Era ora che anche le unioni omosessuali fossero riconosciute!».


PER L’ARCIGAY L’EUROPA ESISTE SOLO SULLA CARTA

Massimo Redaelli, omosessuale concorezzese residente nel Regno Unito, è legalmente unito in partnership col fidanzato di sempre Nick. Ma come hanno accolto la notizia della sua unione in partnership in Inghilterra, gli omosessuali italiani? L’abbiamo chiesto al responsabile comunicazione dell’Arcigay italiano Luigi Valeri, omosessuale come Massimo, ma residente in Italia.
“Credo che il ragazzo brianzolo che si è unito a Brighton sia stato davvero fortunato ad aver visto riconosciuta la sua unione. Ma la fortuna che ha avuto presenta anche un rovescio della medaglia, purtroppo: in Inghilterra, Massimo risulta agli atti legalmente unito in partnership col suo compagno Nick, ma se dovesse, per qualsiasi ragione in un futuro, trasferirsi in Italia questa sua unione non verrebbe riconosciuta dallo Stato italiano — continua il responsabile della comunicazione dell’Arcigay Valeri – l’unione in partnership di Massimo e Nick ha infatti un vincolo: è valida solo all’interno degli stati europei che la riconoscono. Non in Italia. E questo, secondo me, è una discriminazione grave nei confronti della coppia in questione e di tutte le coppie omosessuali unite in partnership: non hanno la libertà di scegliere dove vivere, neanche all’interno dell’Unione europea!”.


QUESTIONE DI PACS

Se in Inghilterra, in Spagna, in Francia, in Olanda e in Svizzera gli omosessuali hanno ottenuto la possibilità di veder riconosciuta dallo stato la propria unione, in Italia le associazioni stanno lavorando e “combattendo” per questo. Una guerra pacifica, fatta di bandiere, sguardi di speranza e richieste civili. Si troveranno sabato 14 gennaio in piazza Farnese a Roma per la manifestazione “Tutti in Pacs”.

Le associazioni di gay, lesbiche, ma anche comuni cittadini eterosessuali si sono dati appuntamento nella Capitale per chiedere allo Stato italiano il diritto per le coppie gay di portare avanti in modo autonomo il proprio progetto di vita e per chieder una legge sul Pacs che, a partire dall’articolo 2 della Costituzione, dia riconoscimento giuridico alle coppie che lo vogliono, dello stesso sesso o di sesso diverso.


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