Famiglie al plurale

  

Anche questa volta Rosy Bindi è riuscita a stupire per la sua autonomia di pensiero. Il Ministero per la Famiglia che le è stato affidato sapeva tanto già dal nome, “famiglia” e non “famiglie” al plurale, di un’operazione propagandistica pensata per strizzare l’occhio alla Cei. Invece la Ministra toscana, con la schiettezza che le è propria, ha saputo indicare da subito un quadro laico e plurale entro il quale intenderà muoversi. Intervistata dal Corriere della Sera, ha chiarito con parole semplici la sua concezione di un corretto rapporto fra i cattolici impegnati in politica e i dettami del Vaticano. “Si tratta — ha detto — di trovare una sintesi fra i miei valori e il rispetto per il pluralismo e l’evoluzione della società, le idee e le inclinazioni diverse”. È una concezione non nuova, che sta nel solco tracciato da Sturzo e De Gasperi, ma che è stata seriamente messa in discussione dal pressing del Vaticano sui politici cattolici affinché non legiferino sulle coppie di fatto,a partire da quelle omosessuali, considerate “nocive per il retto sviluppo della società umana”.

Una legge sulle Unioni civili, ha aggiunto Rosy Bindi con evidente buon senso, non può limitarsi a prevedere accordi privati fra due persone, ma deve necessariamente prevedere un riconoscimento pubblico di quei diritti. Persino il cardinale Francesco Pompedda, da giurista qual è, ha ribadito che la tutela delle coppie di fatto non può avvenire che tramite una legge organica che preveda un riconoscimento pubblico dei loro diritti. Pompedda vorrebbe limitare questi diritti alle sole coppie eterosessuali, secondo le posizioni discriminatorie del Vaticano verso gay e lesbiche. A queste posizioni, espresse in questi giorni dallo stesso Benedetto XVI con cadenza quasi quotidiana, il governo spagnolo ha risposto di non poter consentire che una persona soffra di una riduzione dei propri diritti a causa del suo orientamento sessuale. Una posizione ribadita anche dalla neo Ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini.

Entra così nel vivo della nuova legislatura il tema di una legge che dia riconoscimento giuridico ai milioni di coppie non sposate, dello stesso sesso o di sesso diverso, con o senza figli, che rappresentano una rete forte e diffusa di relazioni e di coesione sociale. Una pluralità di forme familiari schiacciata da una rappresentazione ideologica della famiglia come entità astratta, artificiosamente distinta dalla realtà e dai bisogni concreti dei suoi componenti. Non così Romano Prodi che di fronte al Senato ha dichiarato: “Noi sosteniamo il diritto di ogni persona a costruire il proprio percorso di vita e il ruolo delle famiglie come il luogo di esercizio della solidarietà intergenerazionale, della cura e degli affetti.”

Anche a sinistra, tuttavia, spesso si ripropone l’idea, giuridicamente scorretta, che l’art. 29 della nostra Costituzione cristallizzi nell’espressione “società naturale” una concezione della famiglia eterna ed immutabile. I maggiori giuristi italiani, da Pietro Barcellona a Francesco Galgano, hanno già spiegato che il termine’natural’ si riferisce ad un sistema di regole che cambia nel tempo col mutare della società. Non a caso è stato possibile trasformare radicalmente, nel rispetto della Costituzione, il modello della famiglia tradizionale con ‘introduzione del divorzio nel 1970 e ‘abolizione del potere del marito sulla moglie nel 1975.
Oggi la famiglia è anche quella gay e lesbica, luogo di affetti e, sempre più spesso, di responsabilità genitoriali condivise. Il percorso verso il riconoscimento giuridico del pluralismo delle relazioni familiari dovrà affrontare il tema della piena equiparazione fra i diritti delle coppie dello stesso sesso e quelle eterosessuali unite in matrimonio, come richiesto a più riprese dal Parlamento Europeo.


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