Poesia e Bellezza

  
Dario Bellezza

Dario Bellezza

È in sé un atto mesto e mortificante quello di celebrare una ricorrenza con l’intento mai dichiarato eppure sempre evidente di riaffermare con un voluttuoso impegno della memoria ciò che il tempo minaccia di cancellare. Chiariamo, allora, sin dalle prime battute di questo nostro breve testo che qui non si vuole celebrare alcunché, anche se lo spunto delle parole che seguono è suggerito proprio da una ricorrenza. Una di quelle ricorrenze che servono giusto per fare pubblica ammenda e per ricordare che poco più di dieci anni fa moriva Dario Bellezza, poeta scomodo, non sempre facile, duro, crudo e amabile nel suo ruvido modo di concepire e praticare la poesia. Spigoloso ed esplicito nel verso, così come deve essere stato nella vita reale. Quella che travasò a piene mani nelle proprie liriche, costruendo un modello di poesia di cui, per primo, Pier Paolo Pasolini comprese l’audacia e la gradevole novità.

Oggi Dario Bellezza costituisce un caso. Del poeta celebratissimo che l’aids si portò via nel marzo del ’96 pochi si ricordano. Nelle antologie che contano il nome e le poesie di Bellezza non figurano quanto sicuramente dovrebbero. Nei testi scolastici è più facile trovare il profilo biografico e brani di opere di autori “cannibali” (con tutto il rispetto che a questi si deve) piuttosto che i versi del poeta romano nel quale Pasolini indicò il maggior talento della nuova generazione. Sembra essersene dimenticato anche il mercato dell’editoria, che pure soppesa bene il valore di certi anniversari. I dieci anni della morte non sono serviti per propiziare la ristampa dei titoli di Bellezza: da Invettive e licenze, raccolta di poesie che nel ’71 lo fece scoprire al pubblico, a Proclama sul fascino, pubblicato pochi mesi dopo la morte. Uno dei pochi libri in circolazione (Il male di Dario Bellezza, di Maurizio Gregorini) è la riedizione di una biografia incentrata sugli ultimi giorni di vita del poeta. Un’opera interessante, ma discutibile, perché parlare della morte è sempre una questione di stile, e non c’è niente al mondo che non ci appartenga come la morte degli altri, visto che già essere titolari della propria è un’impresa non da poco.

Nel suo libro, di cui non si possono tacere però i meriti, Gregorini aggiorna la sezione dedicata alle interviste di chi ha conosciuto e frequentato a lungo Bellezza. Vi si legge del rapporto intenso e viscerale con Elsa Morante, dell’intimità poetica che continuava a legarlo a Pasolini (la cui morte reclamava ancora giustizia), dell’amicizia che provava per Alberto Moravia e dell’attualità che le sue opere potrebbero rivendicare se solo fossero più conosciute. Soprattutto se rivolte ai giovani e introdotte nelle scuole (là dove, tuttavia, la poesia non nasce, ma va spesso a morire) con un approccio non scontato. Gregorini chiede anche (e lo fa girando la domanda a Barbara Alberti) perché oggi l’opera di Bellezza sia così poco conosciuta e apprezzata. Nella risposta, che è tutta da elaborare, si riassumerebbero le ragioni per le quali di Bellezza oggi si dovrebbe sentire la mancanza. Se di Dario Bellezza il mondo non vuol più sapere è perché forse crede superato il tempo della poesia.

«I poeti animali parlanti – si legge in Proclama sul fascino – sciagurano in bellezza versi / profumati – nessuno li legge, / nessuno li ascolta. Gridano / nel deserto la loro legge di gravità». I poeti parlano, declamano il mondo e pretendono un’eco che si fa sorda ai loro richiami.

[tratto da "Plico", N. 10]


  •