La dura vita dei gay tra DS e Margherita

  
Andrea Benedino, portavoce nazionale GayLeft, è anche consigliere nazionale Arcigay

 

Sono ormai passati più di quattro mesi da quando Gayleft, la Consulta nazionale lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (lgbt) dei Ds, ha posto ufficialmente ai Democratici di Sinistra la questione della cittadinanza politica dei gay e delle lesbiche nel partito attraverso una valorizzazione dei suoi quadri politici negli organismi nazionali dei Ds, soprattutto in vista del percorso che potrebbe portare entro pochi mesi alla nascita del partito democratico. Non si tratta di una questione di poco conto, in quanto la scomodità del tema dei diritti delle persone omosessuali e transessuali va di pari passo con le discriminazioni quotidiane dirette e indirette che i dirigenti e gli attivisti lgbt dentro ai Ds devono subire per la loro scelta di essere visibili nelle loro battaglie. E la mancanza fino ad ora nel gruppo dirigente del partito nazionale di qualsiasi ipotesi di valorizzazione dei quadri politici espressione di questo movimento rischia di rappresentare un segnale chiaro del’intenzione di nascondere la "questione lgbt" sotto al tappeto, come la polvere che si vuole nascondere in casa nei momenti delle pulizie frettolose.

Il paradosso di questi giorni è che persino per rivendicare una responsabilità rispetto al tema dei "diritti civili" ci si deve quasi giustificare per il fatto di essersi occupati per lungo tempo nella vita dei diritti degli omosessuali, il che rischia di essere un pò un controsenso.

Evidentemente hanno ragione quelli che definiscono i diritti degli omosessuali come dei diritti scomodi, dei "diritti difficili" per citare una definizione che utilizzò anni fa Piero Fassino a un congresso nazionale del’Arcigay. E se la situazione nazionale non lascia molto da sperare, quella che si vive a livello locale rischia di non essere da meno. Non ‘è comune in questo Paese in cui la scelta di investire politicamente su quadri politici che arrivano dal nostro movimento non venga vissuta dal partito come una "scelta difficile", che crea problemi coi nostri alleati, che rischia di compromettere gli equilibri delle alleanze. E nelle rare occasioni in cui si è scelto di dare spazio a noi, solitamente questo ha comportato il sacrificio di una rappresentanza femminile, riproponendo di fatto quel meccanismo infernale, di cui speravamo si fosse persa ogni traccia, della "guerra tra poveri" tra gay e donne per spartirsi piccole riserve indiane di rappresentanza sociale.

Una guerra che abbiamo tentato di arginare e di superare negli ultimi anni proponendo alle donne del partito un "patto" tra di noi, che ha comportato per esempio ‘elezione di due portavoce nazionali, di cui un uomo e una donna (unico caso negli organismi dirigenti dei Ds), ma che alla prova dei fatti ha stentato a decollare. Milano e Roma, le due città metropolitane in cui risiedono le più numerose comunità omosessuali del nostro Paese sono da anni prive di una rappresentanza politica nei consigli comunali perché i Ds hanno scelto di non voler fare nessun investimento in tal senso, evidentemente ritenendo che queste comunità non meritassero una rappresentanza nelle istituzioni.

Nelle federazioni provinciali minori, tranne rare eccezioni, i Ds non sono un "partito friendly", un partito cioè in cui un gay o una lesbica possano dichiarare pubblicamente il loro orientamento sessuale senza correre il rischio del’emarginazione politica; e se anche vengono accettati, non correranno quasi mai il rischio di essere chiamati a ruoli di responsabilità dentro il partito o nelle istituzioni.

Persino nella Sinistra giovanile ‘è ormai una paura diffusa tra i dirigenti omosessuali a dichiararsi tali per il timore che questo possa essere usato contro di loro come u’arma nella battaglia interna. Ciò è peraltro comprensibile se si pensa che numerosissimi esponenti politici nostri alleati, persino di quelle forze che con i Ds dovrebbero contribuire alla costruzione del partito democratico, teorizzano ormai apertamente che gli omosessuali debbano essere per lo Stato italiano cittadini di serie B, con meno diritti ma uguali doveri. Le questioni che poniamo sono quindi eminentemente politiche e non personali.

Ci chiediamo quale ruolo intendano svolgere i Democratici di sinistra per invertire una situazione che ormai è di estrema criticità, quali iniziative intendano assumere, quali risposte intendano dare a quei militanti e dirigenti omosessuali che non vogliono doversi nascondere persino nel partito in cui hanno scelto di militare.

In questo senso siamo molto preoccupati e intendiamo lanciare un segnale ‘allarme. Abbiamo ormai la diffusa sensazione che il partito democratico lo si voglia costruire non sul modello di quelle forze riformiste e democratiche internazionali come i partiti che in Europa aderiscono al Pse o come negli Usa il partito democratico americano (che – detto per inciso – ha votato al’unanimità nel proprio Statuto gli "inclusion programs", ovvero le quote di rappresentanza per le minoranze, compresa quella omosessuale), ma sul modello di un rinnovato compromesso storico tra ex comunisti e post-democristiani che vede posare le fondamenta del nuovo partito sui cadaveri delle rivendicazioni sociali di un movimento come il nostro. Le settimane che ci aspettano ci vedranno sommersi da seminari, dibattiti e convegni sulla questione cattolica rispetto al partito democratico: ne discuteranno ad Assisi i cristiano sociali, a Chianciano i popolari, a Roma i "Teo-Dem" di Bobba e della Binetti. Sulla questione laica invece solo il silenzio. Sulla questione omosessuale men che meno.

Non è un caso che da febbraio a oggi, da quando cioè fu varato il programma del’Unione che conteneva ‘ambiguo e deludente compromesso sulle unioni civili, ‘iniziativa politica dei Ds su questo tema sia praticamente scomparsa nel silenzio tombale dei suoi dirigenti nazionali e la parola Pacs sia diventata per i dirigenti nazionali diessini quasi impronunciabile, nonostante non ci sia stato ancora spiegato in quale punto tale proposta sia contraddittoria col programma del’Unione. Noi per parte nostra continuiamo ad essere qui, al servizio di questo partito, almeno fino a quando ci saranno le condizioni minime per poter portare avanti i nostri ideali. Almeno fino a quando ancora un poco ci crederemo. Delle risposte però le esigiamo. Esigiamo di sapere quale ruolo ci verrà chiesto di svolgere nei prossimi mesi. Esigiamo di sapere in che modo si pensa di riuscire ad attuare quanto ci siamo impegnati a fare col programma che abbiamo presentato agli elettori. Esigiamo di conoscere quanto il nostro partito, i Democratici di sinistra, avverta ‘urgenza di stare al nostro fianco e di non lasciarci soli.

Andrea Benedino
Portavoce nazionale Gayleft, respondabile Organizzazione Ds Piemonte


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