I DS e le “opzioni sessuali”

  
Marina Sereni, DS

Marina Sereni, DS

Opzione sessuale. Queste due parole apparentemente così insignificanti costituiscono un piccolo scandalo e un grave segnale di arretratezza del mio partito, i DS, sul fronte della battaglia per il riconoscimento dei diritti civili nel nostro paese. Spiego perché. Questa è l’espressione usata da una dirigente nazionale del partito, Marina Sereni, in occasione dell’assemblea annuale della consulta gay dei DS, Gayleft.

È gravissimo per due motivi: primo perché in nessun paese civile nessuno usa più questo termine da decenni (gay non si diventa per scelta, è una condizione dell’essere umano), secondo perchè palesa ‘arretratezza anche in termini di conoscenza e oserei dire di cultura dei diritti del principale partito della coalizione di governo. Né si può dire che questa è solamente una svista, un errore dovuto alla concitazione di un dibattito. Parlerei piuttosto di una scelta, nel tentativo goffo e inaccettabile di annacquare la questione omosessuale, privandola di qualsiasi indice di priorità al solo scopo di compiacere alcuni omofobi (per puro calcolo elettorale, e pure sbagliato, io credo) presenti nel centrosinistra.

Il movimento gay, lesbico, bisessuale e transessuale ha sempre affermato che i diritti civili sono una sorta di «cartina al tornasole» del grado di civiltà di un paese. Se applichiamo, quasi come in un esperimento scientifico, lo stesso principio ai Democratici di Sinistra il risultato non è per nulla positivo.

Ha fatto bene Andrea Benedino, portavoce nazionale di «GayLeft» a portare sulle colonne di questo giornale le prove concrete di una realtà che viene negata nei principi e affermata dai fatti. Lo dimostra il numero di dirigenti e militanti del partito che temono discriminazioni nel caso in cui dichiarassero la propria omosessualità. Sono tantissimi, diffusi in tutte le federazioni e in tutto il paese. Ormai si dichiarano cantanti, artisti, attori, e ogni tipo di personaggio pubblico. Non nel nostro partito.
Lo dimostra anche il «timoroso» sostegno che in questi anni è stato dato alla questione dei diritti civili, e a quelli delle coppie di fatto in particolare. Nel 2003 quando partì la campagna di Arcigay per il PACS nessuno conosceva questa parola: il movimento omosessuale italiano l’ha fatta sua e l’ha responsabilmente sostenuta, fino a farla diventare una parola d’ordine della discussione politica nel paese. Fino a farla diventare sinonimo di convivenza, nel linguaggio parlato dagli italiani. Tardi è arrivata la campagna di comunicazione del partito, tardive le prese di posizione. Tant’è che un istituto giuridico che riguarda tutte le coppie di fatto, che per la stragrande maggioranza sono eterosessuali, viene interpretato esclusivamente come il riconoscimento di diritti alle coppie gay.

Quello che stupisce, in un partito moderno della socialdemocrazia europea, è che a volte alcuni dirigenti sono desolatamente privi di una minima conoscenza non solo delle tematiche glbt, ma addirittura del linguaggio adatto per parlarne. Il movimento femminista ha dimostrato quanto il lunguaggio sia portatore di cultura ma anche veicolo di stereotipi. Sono sprofondato nella sedia quando all’ultima assemblea nazionale della consulta gay Ds, Marina Sereni ha parlato di «opzione sessuale» anziché di «orientamento sessuale». Perché è un errore fondamentale? Perché il termine «opzione» fa apparire l’omosessualità come una condizione scelta volontariamente dall’individuo, mentre l’orientamento sessuale è una condizione che fa degli omosessuali quella che in termini accademici viene definita una «minoranza fondata su un’identità ascritta». Dunque manca un glossario adeguato, manca una cultura delle differenze e delle ricchezze di cui queste sono portatrici. Contro affermazioni come questa il movimento omosessuale lottava ancora negli anni ’70: diventa difficile accettarle da una compagna di partito. Nello stesso discorso Marina Sereni sosteneva che il capitolo sulle unioni civili inserito nel programma dell’Unione fosse un atto di grande coraggio e lungimiranza, perché la società civile non è ancora pronta ad accettare questo tipo di diritti. Anche in questo caso il disagio che ho provato mi ha costretto a stringere le spalle e respirare: tutti i sondaggi e gli studi d’opinione affermano che la stragrande maggioranza degli italiani è favorevole al riconoscimento delle coppie di fatto, e che lo è persino la maggioranza di coloro che si dichiarano cattolici. Senza contare che sono diritti sanciti nella Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea, la Carta di Nizza, ratificata nella Costituzione europea votata da tutte le forze politiche del nostro Parlamento. Con grande acume Stefano Rodotà giudica incostituzionale il non riconoscimento delle coppie di fatto nel nostro paese. L’impostazione giuridica europea è molto chiara. All’art. 9 la Carta di Nizza riconosce a ogni cittadino il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. Dunque accanto al matrimonio tradizionale vi è il riconoscimento delle coppie di fatto.

I DS quale risposta intendono dare sul fatto che in Italia vengono ancora negati diritti che in Europa vengono considerati fondamentali?

E allora il disagio aumenta sempre più quando partecipo agli appuntamenti del partito. Sommo la difficoltà che molti militanti, anche i più giovani, hanno a dichiararsi gay e lesbiche. Aggiungo l’assoluto silenzio sulle questioni della laicità nel dibattito che dovrebbe precedere la creazione del partito democratico. E infine ci unisco le difficoltà che come consigliere comunale sto affrontando per far approvare alla maggioranza di centro sinistra di Padova una mozione che riconosca, a livello amministrativo, le coppie di fatto. Il risultato? La possibilità di abbandonare il «gruppo unico» tra Ds e Margherita, costituito da poco nel consiglio comunale della mia città, e la possibilità di abbandonare questo partito.

Nelle grandi democrazie le battaglie sul riconoscimento dei diritti costituiscono il primo passo dei governi riformisti. Non citerò il solito Zapatero, di esempi ce ne sono molti in Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, Danimarca, Belgio e altri. Non è una battaglia elitaria, non è un caso a beneficio di una sola minoranza. E’ una delle più importanti battaglie riformatrici. Ed è ben strano che il principale partito di una coalizione riformista adotti strategie conservatrici. Una simile contraddizione non porta verso un nuovo partito ma verso una ulteriore diaspora nel nome della laicità.

Alessandro Zan
Consigliere comunale DS di Padova, già responsabile nazionale campagna per il Pacs


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