Non una maschera

  
Perugia

Perugia

Si è parlato tanto, ultimamente, di riconoscimento delle coppie di fatto, di Pacs e poi di DiCo. La crisi del governo Prodi e la sua riformulazione con l’aggiunta di elementi di “centro”, però, rischiano di mettere un freno a quel percorso che si stava faticosamente costruendo. A gioirne, sono senz’altro i cattolici oltranzisti; rischiano di pagare pegno ancora una volta, invece, le migliaia di coppie omosessuali italiane che speravano di veder legittimato il loro amore e che potrebbero ritrovarsi, di fatto, discriminate per volere del Vaticano.

Il rischio più grande, però, è l’apertura di una falla nel nostro sistema democratico laico. Se la politica dimentica i cittadini, preferendo dar ascolto a “raccomandazioni” d’Oltretevere, si perde di vista quello che succede nella società, dove le cose nel frattempo continuano a muoversi.

Esistono a questo proposito due realtà di cui bisogna tener conto. Da un lato, ci sono gli omosessuali, uomini e donne come gli altri che — pare assurdo, ma in Italia bisogna ancora rivendicarlo come sacrosanto diritto — spesso decidono di vivere in coppia e sono pronti a scendere in piazza per questo. Dall’altro lato, c’è il germe latente della discriminazione, che lasciato crescere da chi diffonde la paura del “diverso”, camuffata dal proposito di salvare la famiglia tradizionale, genera forme di violenza che infangano il nome di un Paese che si dice civile.

Perugia ne è un lampante esempio. I gay perugini (o meglio, alcuni di loro, quelli che lottano per i diritti anche per chi non ha il coraggio di reclamarli) sono scesi in piazza a Perugia il 14 febbraio e hanno poi aderito alla manifestazione di Roma, il 10 marzo, per chiedere quello che per Costituzione è loro dovuto. E i razzisti, i violenti, gli omofobi, nel frattempo, non sono rimasti a guardare.

L’azione dell’associazione Arcigay perugina per sensibilizzare la popolazione cittadina sul tema, in particolare, si è concretizzata nella manifestazione del 14 febbraio in piazza della Repubblica, in concomitanza con molte altre città italiane. È stato scelto simbolicamente il giorno di San Valentino per rimarcare che in questo Paese c’è ancora un’aperta ostilità di fronte al riconoscimento dell’amore tra persone omosessuali.

Manifestando, l’associazione ha voluto anche precisare perché i DiCo non sono ritenuti sufficienti a garantire i reali diritti delle coppie di fatto. Ogni legge che disciplini la materia — hanno sottolineato i dirigenti Arcigay di Perugia — deve tener conto di elementi minimi, come il riconoscimento pubblico della coppia, e affrontare in maniera più attenta i temi legati a reversibilità della pensione, successioni e assistenza al partner in ospedale.

L’associazione perugina ha anche preso parte alla manifestazione di Roma del 10 marzo: un autobus arcobaleno partito da Perugia ha raggiunto la capitale, dove migliaia di persone comuni si sono ritrovate insieme a molte decine di parlamentari e personaggi dello spettacolo per chiedere il riconoscimento dei loro diritti: almeno 50.000 i manifestanti in piazza Farnese, cui anche il capoluogo umbro ha dato un piccolo ma importante contributo.

Se però c’è chi cerca di spiegare, pacificamente, di quali diritti ha bisogno per poter vivere con serenità, c’è anche chi, violentemente, vuol far capire che non è disposto a nessuna concessione. E il rifiuto di riconoscere inalienabili diritti da parte del Vaticano e di una certa classe politica rischia di contribuire ad accrescere l’intolleranza, che prende forma nelle città spesso tra l’indifferenza della gente.

A Perugia, città spesso esaltata come luogo di tolleranza, l’ostilità verso i gay ha assunto forme preoccupanti: solo nelle ultime settimane, alcuni omosessuali sono stati vittime di violenze. Un episodio si è verificato in un parcheggio frequentato da gay, dove un uomo è stato minacciato con un cric e ha dovuto assistere impotente allo sfascio della sua macchina. Una scena simile si è ripetuta in un pub del centro dove un giovane, riconosciuto come “uno di quei froci dell’Arcigay”, è stato letteralmente picchiato alla presenza di dipendenti del locale che non hanno fatto nulla per aiutarlo. Anzi, nello stesso locale, in un’altra occasione, una cameriera ha ripreso due ragazzi gay che si stavano baciando, dicendo seccamente: “Queste cose qui non le vogliamo”.

Ci sono anche altre forme di intolleranza. Alla sede dell’Arcigay, in via Fratti, alcuni passanti guardano la bandiera arcobaleno sulla porta, urlano “froci” e scappano via. Alcuni, nelle serate di apertura, entrano nell’ingresso e strappano i manifesti informativi appesi alle pareti. Sono persino arrivati a tirare uova all’ingresso e urinare sul portone. Ultimamente poi, quando in alcune trasmissioni di tv locali sono stati invitati, per parlare di DiCo, rappresentanti Arcigay, ci sono state chiamate da casa, in cui più di una volta gli ospiti sono stati insultati con inqualificabili offese — segno dell’odio dilagante che serpeggia tra la gente — senza aperte condanne di quelle offese da parte degli altri ospiti in sala e degli stessi conduttori.

Rimane necessario, perciò, abbattere le barriere che portano a percepire gli omosessuali come “diversi”, e questo può avvenire solo se li si riconosce pienamente nei loro diritti tanto di singoli quanto di coppie.

Da questo punto di vista, va dato certamente atto che qualcosa, lentamente, ha cominciato a muoversi; il rischio però è che ora ci sia un blocco o addirittura un’involuzione.
C’erano già stati i “registri delle unioni di fatto”, che Perugia, tra le prime città in Italia, aveva adottato; ma si trattava, in quel caso, di strumenti puramente simbolici, perché l’iscrizione non portava alcun beneficio concreto alla coppia omosessuale.

La vera novità, che però — va sottolineato – rappresenta ben poca cosa rispetto a quello che attualmente esiste in tutt’Europa, c’è stata quando si è cominciato a parlare di una legge a livello nazionale. Si è parlato, tuttavia, di forme mediate, prima di Pacs (che giuridicamente sono meno di un matrimonio), poi di DiCo (che sono ancora meno di un Pacs), per non urtare sensibilità cattoliche che a ben vedere, non potrebbero pretendere nulla, visto che non si può pensare di regolare secondo principi cattolici la vita e la morte anche di chi, in un Paese laico, non si riconosce in essi.

Ora però, con l’esclusione dei DiCo dagli obiettivi fondamentali del “nuovo” esecutivo, il rischio è che si perdano anche queste poche briciole. Infatti, nonostante la limitatezza dei DiCo, tutta la destra ed alcuni settori della stessa sinistra sono arrivati a criticarli, definendoli un pericoloso attacco alla famiglia tradizionale. La strumentalizzazione è evidente, se si pensa che le maggiori critiche sono state avanzate proprio da politici divorziati o conviventi.

Semplicemente si vuol far credere che se la famiglia tradizionale è in crisi, la colpa è degli omosessuali: ma si rischia così di offendere il buon senso dell’opinione pubblica, che sa bene che questa crisi va addebitata solo a chi, la sua famiglia, non riesce a salvaguardarla. Promuovere la famiglia (con assegni familiari, più asili nido, ecc…) è invece più che benvenuto, ma tutto questo proprio non ha niente a che vedere con la possibilità di riconoscere i diritti di chi “famiglia tradizionale” non può essere.

Riconoscere le coppie omosessuali significa altro. Significa rispondere a un’esigenza che nella società esiste, visto che in Italia ci sono tanti omosessuali. Essi lavorano, studiano, pagano le tasse, come ogni cittadino. Purtroppo alcuni sono infelici: giovani che vivono con genitori, ai quali non hanno avuto il coraggio di parlare di sé per paura di vedersi rifiutati, e che forse finiranno per sposarsi perché è quello che la società si aspetta da loro; adulti soli che hanno rinunciato alla felicità, convinti che il mondo non approverebbe di vederli felici nel solo modo in cui possono esserlo.

Però, per fortuna, c’è anche chi non accetta di vedersi privato del diritto alla propria personale felicità: molti omosessuali vivono — o vogliono vivere — in coppie che si amano, che a volte litigano, ma che si vogliono davvero bene e si assistono nei momenti di difficoltà. Come fa ogni vera coppia, ma con la differenza che lo Stato italiano finora ha rifiutato di riconoscerle pubblicamente, preferendo lasciarle nell’ambito di una sfera “privata”, determinando così, concretamente, cittadini di “serie B”. Bisogna porre fine a questa ingiustizia.


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