Per fare coming out ci vuole Dio

  

Pensavo che Dio mi disprezzasse, mi allontanasse da sé a causa della mia omosessualità. E invece nel tempo ho capito che ero io a disprezzarmi: Dio mi ama proprio perchè sono omosessuale».

Giuseppe è uno dei tanti gay credenti che si ritrova a vivere nell’Italia un po’ grottesca di Povia, il cantore sanremese convinto che dal “tunnel” dell’omosessualità si possa uscire. La sua canzone Luca era gay, storia di una presunta “conversione” all’eterosessualità, sta infatti scatenando non poche polemiche.

Sono i figli di un Dio minore, o almeno molti di loro si vedono così. Raccontano storie di esclusione, solitudine, violenza. Molti – anzi, la maggioranza – vivono di nascosto, magari frequentando il seminario oppure un gruppo parrocchiale, con l’angoscia di essere smascherati. Altri iniziano a uscire allo scoperto perchè, nonostante tutto, in ognuno di loro ha continuato a brillare una luce, quella della certezza che il Dio in cui credono li ami davvero, li ami per quello che sono.

Giuseppe: «Ho detto: sono gay. Mi hanno fatto un esorcismo»

Giuseppe, 34 anni, ha un sorriso contagioso, un volto sereno e disteso anche quando racconta la sua storia.

Lo fa nella sacrestia della chiesa anglicana di Roma, una delle poche comunità religiose che accoglie i credenti omosessuali. Parla con distacco, con la stessa serenità di chi sta riportando una vicenda altrui. E’ come se avesse costruito un muro tra passato e presente. Quasi ci fosse un prima e un dopo, nella sua vita.

«Volevo fare il prete. Ho passato quattro anni al Pontificio seminario». Tutto sembra procedere per il verso giusto: Giuseppe studia le Sacre Scritture, prega e consolida la fede. C’è un’unica ombra: «Sapevo di essere omosessuale». D’un tratto decide di parlarne con don Marcello, la sua guida spirituale. Giuseppe è tranquillo, convinto che aprirsi e rivelare le proprie paure sia la cosa più giusta da fare. Del resto, è quello che gli hanno insegnato: condividere e affidarsi. Ma don Marcello la prende malissimo: «Era molto alterato. Mi disse che le due cose, la fede in Dio e l’omosessualità, erano incompatibili.

L’unica strada, disse, era sottoporsi a un esorcismo». Già, vecchia storia. L’omosessualità come manifestazione del demonio, sintomo di una personalità  deviata, malata, corrotta. Tormentato dai sensi di colpa, Giuseppe decide però di fidarsi. L’esorcismo dura un anno.
«Quasi tutti i giorni venivo condottoin una stanza della chiesa di Sant’Anna, a Benevento, dove tre preti mi tenevano fermo e l’esorcista, don Corrado, leggeva ad alta vo ce alcuni passi della Bibbia cospargendomi diacqua benedetta. Ero in uno stato di eccitazione e di alterazione emotiva. Mi contorcevo, urlavo e imprecavo».Poi viene il momento della penitenza: «Passavo dieci ore al giorno a spaccare legna per mortificare il mio corpo. Le mie mani sanguinavano».

Dopo un anno di calvario, Giuseppedecide di dichiararsi guarito: «Era l’unico modo per fermare quella tortura». Di lì a poco, viene reintegrato nella vita seminariale. Ma quel dubbio continua a turbare i suoi sonni, la sua serenità. Giuseppe sa benissimo di non essere “guarito”, ed è disperato all’idea di non andare a genio al suo Dio: «Sentivo di essere sbagliato, sentivo che Dio mi odiava. Allora decisi di confessare di nuovo la mia omosessualità, questa volta a un giovane padre pellegrino. Mi sembrava la persona giusta». No, quel frate non era la persona giusta. Violenta Giuseppe ripetutamente. «Raccontai tutto al vescovo e al rettore. Entrambi mi ordinarono di dimenticare». Sono passati cinque anni. Oggi Giuseppe è una persona nuova. E’ scappato dal seminario ed è approdato dagli anglicani di Roma, dove partecipa alle riunioni della Chiesa veterocattolica dell’Unione di Utrecht. Ha fatto pace con il suo Dio. Anzi, con sorpresa ha scoperto che lui è stato sempre lì, pronto ad accoglierlo a braccia aperte, senza condizioni: «E se Dio mi ama per quello che sono, hi sono io per non amarmi?».


Natasha e Alessandra: «Ho passato notti a pregare Gesù di cambiarmi»

Natasha ha grandi occhi allegri. Ex novizia, vive con Alessandra. Insieme partecipano alle riunioni di Nuova Proposta, un gruppo di mutuo aiuto per omosessuali cristiani che si riunisce nella chiesa valdese di Roma.

Spiega Natasha: «Pensavo che sarei diventata suora o che mi sarei sposata. Altre possibilità non ne vedevo. Eppure…». Si ferma, si volta verso Alessandra, la guarda con un sorriso. Riprende: «… Eppure talvolta accade ciò che non ti aspetti, e forse è così che deve andare. Durante il noviziato avevo relazioni con altre donne, ma non mi sentivo omosessuale. Erano esperienze che non collocavo: andavo dritta per la mia strada, senza darmi troppe spiegazioni». Poi, i conti con la verità : «E’ successo tutto in una notte. Ero in convento, e non riuscivo a prendere sonno. La vita mi è passata davanti agli occhi. Qualcosa strideva, qualcosa non tornava. Ho deciso di ascoltare Dio. Che mi diceva: “Natasha, è così: non temere, abbi fiducia». «Certo», la interrompe Alessandra, «Dio ci vuole come siamo.

Questa consapevolezza, però, si conquista con il tempo. Prima è necessario attraversare il deserto. Io dedicavo tuttoil tempo alla parrocchia: è lì mi sono innamorata per la prima volta di una ragazza. Ero convinta di essere sbagliata, e durante i ritiri spirituali passavo le notti a pregare Dio di cambiarmi». Anche lei si ferma un secondo: deve riprendere fiato e trovare conferma negli occhi di Natasha, che la prende per mano e la incoraggia a continuare il racconto.

Non è mai facile voltarsi indietro. «Oggi, però, sono serena», chiarisce Alessandra, «e da quando ho incontrato Natasha mi sento completa. La prima volta che l’ho vista, ho sentito il mio cuore danzare».

E il rapporto con Dio? «Con Dio tutto bene, grazie», scherza Natasha. «E’ una presenza costante  della mia,  della nostra vita. E’ amore e libertà.Nel nostro gruppo, però, arrivano persone distrutte, devastate da chi fa credere che Dio non può accoglierle a causa della loro omosessualità».


Pasquale: «La mia fede? E’ queer»

Cresciuto in una famiglia molto religiosa – «Mio padre è un ex frate» – Pasquale ha sentito il bisogno di fare coming out molto presto: «Volevo parlarne, dovevo. Sono stato educato alla condivisione, avrei tradito i miei genitori se non avessi detto la verità». E come è andata? «Mio padre ha reagito male: per lui l’omosessualità semplicemente non esisteva».

Di lì a poco, Pasquale si ritrova in casa un frate che lo invita a intraprendere un cammino di redenzione. «Non so bene cosa intendesse, ma la sensazione era che dovessi essere raddrizzato, curato da un qualche male». A lungo cerca di vivere come se nulla fosse. Continua a frequentare la parrocchia e diventa persino un Papa-boy: «Durante il Giubileo del 2000, andavo in giro con una sciarpetta con scritto: Viva il Papa. Poi ho passato otto anni dai padri stimmatini. La mia fede era totalizzante. Un insegnante, un giorno, ci portò la foto di due ragazzi omosessuali morti di Aids: “E’ la giusta punizione di Dio”, ci disse. In seguito ho scoperto che anche lui era gay: un classico», continua, ridendo di gusto.

Anche nella vita di Pasquale, però, qualcosa stonava. «Alla fine, grazie a Don Franco Barbero, un prete cacciato dall’allora cardinal Ratzinger per le sue idee progressiste, trovai la mia strada». I due iniziarono un lungo scambio epistolare, che si può leggere in un libro molto bello: Omosessualità e Vangelo. Don Franco gli parla di un Dio diverso, con meno pregiudizi e decisamente più accogliente. Oggi Pasquale vive un rapporto molto personale con la fede. Lui la definisce queer: insolita, strana. In una parola, libera.

Rosa: «Ho provato a liberarmi di Dio, ma lui è rientrato dalla finestra»


Venezuelana, trapiantata in un piccolo paese della Sicilia, Rosa era certa che un giorno avrebbe avuto una casa, un marito e figli. E invece? «E invece la vita è andata da tutt’altra parte. Sapevo perfettamente di essere lesbica, ma dopo anni di vita in parrocchia cerchi di nasconderlo a te stessa prima ancora che agli altri. Il fatto è che non scegli di credere in Dio, esattamente come non scegli di essere omosessuale». E in effetti, a lungo Rosa è stata convinta che le due cose non potessero andare d’accordo.

«Prima ho provato a rifiutare la mia omosessualità – sono stata sposata per otto anni – e poi ho provato a rifiutare Dio. In tutti e due i casi mi sono dovuta arrendere: la fede è rientrata dalla finestra. D’altra parte, più ti avvicini a Dio più senti che devi essere autentica». Sono lontani i giorni in cui Rosa era convinta che Dio non l’amasse. Oggi vorrebbe risposarsi, sì, ma con una donna. Vuol guardare dritto in faccia il suo Dio e dire: «Sì, la voglio».


Gianni, Ciro, Guido, e gli altri

Sono tante, tantissime le storie di persone omosessuali credenti. C’è quella di Gianni Geraci, fondatore dello storico gruppo Varco di Milano che ha provato a curare con una terapia psichiatrica l’omosessualità prima di cedere all’evidenza.

E c’è la storia di Ciro e Guido, una coppia milanese che, dopo tanti anni, vive con estrema naturalezza la sessualità e la fede.

C’è anche il presidente di Arcigay, Aurelio Mancuso, che si definisce cattolico e che invita a distinguere tra l’atteggiamento delle gerarchie vaticane e quello più aperto della comunità dei credenti.

Maria Vittoria Longhitano, infine, pastora della chiesa vetero-cattolica, ha ben pochi dubbi: «La religione non deve entrare nelle camere da letto, la sessualità non ha nulla a che vedere con la morale. L’amore è sempre un dono, esattamente come la fede in Dio».


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