Il mondo LGBT ad Amsterdam

  

Care e cari, eccoci a raccontarvi di This is who we are”, conferenza mondiale sul tema dei diritti umani, organizzata da IGLYO – International Gay, Lesbian, Bisaxual, Transgender, Queer, Youth and Student Organisation – svoltasi ad Amsterdam dal 20 al 23 di luglio.

E’ la mezzanotte di domenica 19 luglio quando, dall’aeroporto di Schipol arrivo in taxi di fronte allo Stayokay, il grande ostello nel cuore di Amsterdam che ospita i giovani partecipanti della conferenza provenienti da ogni parte del mondo; sono pieno di aspettative e di timori, primo fra tutti: il livello dei miei english skills.

C’è Fabio Saccà ad accogliermi; nella hall dell’ostello incontriamo George, originario della Sierra Leone e direttore di LGBT Youth Student Network nel suo paese, Daniel, attivista LGBTQ giamaicano, e Bogdan, membro del Direttivo di IGLYO, responsabile, in Romania, dell’organizzazione del GayFEST.

Dopo una white beer con zaino ancora in spalla al Three Sisters Grand Pub, arrivo finalmente nella mia stanza dove faccio conoscenza di quelli che saranno i miei roomates per i prossimi giorni. Nonostante l’ora e la stanchezza sono curioso di conoscerli uno ad uno. Alcuni dormono e gli unici con cui posso parlare sono Marco Antonio, avvocato messicano, membro di Go Joven, associazione che si occupa di salute sessuale e riproduttiva dei giovani in Messico, nonchè della Local Commission of Human Rights a Cancun e Blessed, simpaticissimo ventenne ugandese, rappresentante della Youth Reproductive Health Link, unica associazione che, nel suo paese, si occupa di offrire health services per lesbiche, gay, bisassuali e transgender.

La giornata di lunedì 20 inizia abbastanza presto: sveglia alle sette e trenta e colazione alle otto nella dining room dove ho modo di conoscere Gemma, giovane e simpaticissima attivista australiana di origini italiane, Albanella, attivista boliviana che, nel suo paese, collabora con associazioni studentesche in difesa dei diritti dei giovani e delle giovani LGBTQ nelle scuole.
E’ con me ad Amsterdam Fabrizio Sorbara, dell’Antinoo di Napoli, che incontro il lunedì mattina nella hall. Accompagnati da un mio compagno di stanza, Mel, giovane attivista filippino, già esperto delle vie di Amsterdam arriviamo alle otto e trenta davanti all’Ons Huis (la nostra casa) della facciata della COC House dove si svolgerà la maggior parte delle nostre attività.

Aspettando le nove faccio scatti qua e là e subito vengo redarguito da Augustas, uno dei miei formatori, attuale tesoriere e coordinatore per i diritti umani di IGLYO: all’interno dello stabile non è infatti possibile scattare alcuna foto, questo per proteggere l’incolumità di quei partecipanti che, nonostante rischino quotidianamente la prigone, o peggio ancora, la vita nei loro paesi, hanno il coraggio di far sentire sempre e dovunque la propria voce e la propria testimonianza. Di loro non dirò nulla, solo che dovrebbero rappresentare per tutti quelli che hanno la possibilità di parlare ed essere visibili, un esempio di coraggio e determinazione nella lotta all’emancipazione e nella rivendicazione di quei diritti, che spesso, non sono contamplati dalle costituzioni e adeguatamente tutelati dagli stati.

Alle nove ha inizio la giornata di lavoro e il teatrino al terzo piano della COC è pieno di giovani da ogni parte del mondo; ci viene presentato il team dei nostri formatori: Claire, attivista inglese e membro del Direttivo di IGLYO, Ricardo, attvista messicano, membro della Youth Coalition e impegnato in svariate iniziative che vanno dalla lotta all’HIV alla difesa dei diritti di lesbiche e gay in messico, Augustas, di cui ho parlato poco fa, Angel, membro dello staff del Metropolitan Community Churches e coordinatore del loro Transgender Resource Team, George, che ricordavo prima, essere stata la prima persona che ho conosciuto ad Amsterdam, e Sara, giovane attivista palestinese, che dal 2003 si occupa del movimento LGBTQ libanese.

Su un grande tabellone appeso alla parete destra della sala, sono scritte le regole di comportamento per i partecipanti. Angel, seduto su un vecchio pianoforte, illustra la programmazione, a grandi linee, delle attività divise per giorno e fascia oraria: le attività, appunto, hanno inizio alle 9:00 e terminano alle 19:00; alle 10:30 e alle 16:00 mezz’ora circa di intercultural coffee break, momento in cui le organizzazioni hanno la possibilità di presentare il proprio materiale e le specialità gastronomiche del proprio paese. Alle 18:00 gli homegroups, in cui si discute, in gruppi formati al massimo di otto elementi, delle attività svolte durante la giornata. Il tutto organizzato per favorire la massima integrazione e socializzazione fra i partecipanti: partendo dall’organizzazione delle camere all’ostello a quella delle attività svolte è molto difficile, quasi impossibile trovarsi più di una volta con le stesse persone, e in modo particolare, con ragazzi del tuo stesso paese: infatti io e Fabrizio riusciamo a vederci solo durante le pause.

Al nostro primo coffee break, in cui abbiamo la fortuna di assaggiare le specialità gastronomiche provenienti da molte regioni africane, conosco Afredo, simpatico attivista spagnolo, rappresentante dell’Associacion Triangulo e, ad Amsterdam nostro fedele compagno di bevute, e James, inglese, rappresentante del Notting Hill Lesbian and Gay Youth Group. La mattinata si conclude con una divertente attività durante la quale ciascuno è spinto a mettere a nudo le proprie paure, speranze e aspettative nel lavoro che ci aspetta nei prossimi giorni, e, dato che di nudo si parla, si appunta il tutto su mutande, t-shirt e reggiseni di cartone, poi stesi, a mo’ di bucato, su corde che attraversano in lungo e in largo la sala. Devo ammettere che sia io, sia Fabrizio, in breve tempo prendiamo confidenza con l’ambiente e le persone, nonostante il nostro timore di non capire tutte le varietà di inglese parlate in questa babele in piccolo sia ancora tangibile.

Il pranzo alla COC è abbastanza parco, ci servono panini con un ignoto ripieno di verdure, carne e salse; un po’ per fame, un po’ perchè sappiamo di non avere un formidabile food dictionary ci si limita a mangiare seduti a tavola con Umut, volontario per un’associazione turca, un ragazzo mite e dall’aspetto imponente che, per mia fortuna, mi farà da bodyguard durante tutta la permanenza in terra olandese.

Insieme ad Alfredo, io e Fabrizio, svolgiamo le attività pomeridiane. La lingua parlata fra noi tre è degna di nota: un italiano tramato di elementi spagnoli e dove non fosse comprensibile a nessuno dei tre, con l’aggiunta di un pizzico di inglese molto regionalizzato.
Ci dividono in gruppetti il base al paese di provenienza. La Spagna e l’Italia, purtroppo, sono le sole due rappresentanti delle regioni dell’Europa mediterranea, le cui associazioni, ahimè, credo investano ancora troppo poco in questi importanti eventi formativi di respiro internazionale. L’attività è la seguente: si tratta di identificare le barriere che i giovani LGBTQI incontrano nel nostri paesi e le misure adottate dalle nostre associazioni per superarle.
Nonostante la vicinanza geografica subito si ha il sentore che in Spagna si respiri un’aria diversa: il muro di post it gialli costruito sulla porta del back cafè ha un colore prevalmentemente italiano. Dei post it a forma di foglia sono i supporti su cui scrivere i modi per superare gli ostacoli. Il pomeriggio passa illustrando ai gruppetti di persone di altri continenti che passano di fronte alla nostra parete la nostra prima fatica.

La sera si cena in ostello con una pasta ai funghi un po’ annacquata; a seguire un tour Amsterdam by night con Fabio e Fabrizio. Eccoci giunti di fronte a Reguilersdwaarstraat, la via gay della città; si beve insieme una birra, Fabrizio magicamente scompare e Umut mi scorta in ostello in compagna di Kemal e Cinthya, entrambi attivisti libanesi, lei membro del MEEM, associazione che si occupa principalmente della tutela delle donne libanesi e da due anni anche della tutela dei diritti di gay, lesbiche e transgender. Ha con sé un libro molto interessante in cui sono pubblicate testimonianze di giovani donne libanesi vittime di violenze e trattamenti discriminatori.

All’inizio della seconda giornata di lavoro, mentre il logistic team allestisce il palco per la lezione di un ospite importante, ci viene consegnato un volumetto che titola The Yogyakarta Principles on the Application of International Human Rights Law in relation to Sexual Orientation and Gender Identity: questo libello è frutto del lavoro dell’International Commission of Jurists e dell’International Service for Human Rights, in stretta collaborazione con organizzazioni internazionali per i diritti umani. Lo scopo del progetto è quello di sviluppare un corpo di norme di validità globale sull’applicazione di leggi internazionali contro la violazione di diritti umani perpetrata sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.

Ad illustrarci tutto questo è John Fisher, l’atessissimo ospite, uno dei venticinque esperti in diritti umani che, dal 6 al 9 novembre 2006, partecipò, come ci spiega, al meeting tenuto all’Università di Gadjah Mada a Giacarta, in Indonesia; incontro appunto da cui uscì questo libretto di principi che ribadiscono la necessita per ogni stato di implementare le human right resources nell’applicazione delle leggi senza discriminazione alcuna sulla base dell’orientamento sessuale e l’identità di genere.

Si va dal più generale diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione al diritto alla privacy, dal diritto alla vita, a quello di avere un giusto processo, dal diritto al lavoro, al diritto di libertà di pensiero, di coscienza e fede. La discussione prosegue per due ore circa con molti interventi da parte dei presenti.

Nella pausa pranzo, dopo qualche scatto alla nostra orgogliosa delegazione, prima della partenza di Fabio, ho modo di conoscere Suman, originario di Kathmandu, in Nepal, dove, dal 2004, è attivista della Blue Diamond Association, associazione LGBTQ che raccoglie più di 80000 iscritti in tutto il Nepal, e Hayley, giovane australiana, membro da due anni della Victorian Gay and Lesbian Rights Lobby; e mentre Alex, volontaria della COC scatta foto a tutto e tutti, Doron, fa il paper boy della situazione distribuendo ai partecipanti il primo numero, fresco fresco di stampa, del Queer Guardian, quotidiano ufficiale della conferenza.

Le sessioni pomeridiane, inframezzate da un delizioso coffee break dal gusto mediorientale, sono finalizzate alla discussione sulla messa in atto dei principi di Giacarta entro le varie realtà territoriali. Ci dividiamo in otto gruppi di lavoro; ciascun gruppo, coordinato da un membro del prep team, si occupa di svolgere un’accurata riflessione su una parte dei principi; attraverso i più diversi contributi da parte dei partecipanti si analizzano i modi in cui effettivamente queste direttive siano state applicate o siano applicabili nelle diverse parti del globo: il fine, forse un po’ utopico, è quello di trovare le best practices, cioè le soluzioni migliori, più funzionali, e più facilmente declinabili alle più diverse realtà politiche, culturali e sociali del globo nell’applicazione degli Yogyakarta Principles. Ogni delegazione è pronta e desiderosa di apportare il proprio contributo.

Io e Fabrizio partecipiamo ai gruppi di lavoro coordinati da Ricardo, Claire, Bruno e Augustas, cercando di contribuire nel modo migliore ad individuare i problemi derivanti dall’applicazione di certi principi in certe realtà e collaborando nell’individuare le migliori soluzioni.
E’ un lavoro molto impegnativo, di continuo brainstorming, di scambio e condivisione di esperienze, un momento fondamentale di ascolto e di apprendimento reciproco, che si protrae quasi initerrotto fino al lunch break di mercoledì 22.

La giornata di mercoledì si apre con un delizioso coffee break tutto italiano con tanto di dolci tradizionali liguri e la buonissima pastiera di Fabrizio; si continua durante tutta la mattinata la ricerca delle best practices fino alla relazione in plenaria dei rapporteurs.

Alle 14:30 ha inizio un piacevole tour organizzato lungo le vie del centro in compagnia di Tyler, un volontario della COC che oggi ci farà da guida: è il momento di contatto con i luoghi e le persone della comunità LGBTQI di Amsterdam: mentre Fabrizio visita il primo caffè gay arabo al mondo e gli stabili delle grandi discoteche gay della città, io incontro Claudia, rappresentante del green left party a cui presento il lavoro di Arcigay; ancora due passi in centro ed eccoci accolti nel delizioso locale della mitica Bet Van Beeren, ora gestito dalla nipote, una simpatica sessantenne che ci parla della zia, Bet appunto, lesbica dichiarata, che nel 1924 aprì il primo locale Gay Friendly della città, la cui attività continuò ininterrotta fino agli anni sessanta. Ci viene offerta una white beer e ci congediamo.

Dopo le foto di rito, siamo accolti nella sede olandese di Amnesty International a due passi dalla casa di Anna Frank, dove ciascuno di noi è invitato a presentare le attività della propria associazione. Il pomeriggio prosegue col flash mob presso il bellissimo Homomonument in ricordo di tutte le vittime dell’omofobia e della transfobia: l’azione prevede che i partecipanti si sparpaglino sui triangoli di marmo e le zone limitrofe al monumento; ad un segnale stabilito, tutti dovranno cadere a terra come morti, altri giovani dovranno posare fiori sui loro corpi. Dopo dieci minuti di performance nel rispettoso silenzio dei passanti e degli automobilisti, tutti si rialzano e portano messaggi e fiori sul triangolo che si immerge in uno dei tanti canali di Amsterdam. Anche la stampa partecipa numerosa, e numerose appunto sono le interviste che i ragazzi rilasciano ai giornalisti. Un’altra giornata volge al termine. Come di consueto si ritorna alla sede di COC per la cena; al termine il consueto homegroup con Keith, attivista canadese, mebro del logistic team di IGLYO.

Le serate passano tra racconti di vita e vodka messicana in ostello; stanchi morti, ogni sera ci corichiamo molto presto. Ed eccoci arrivati all’ultima giornata, per l’ultima volta ci riuniamo in plenaria all’ultimo piano della COC: la mattinata, interrotta dal coffe-break a tematica olandese, è dedicata nuovamente ad attività di gruppo. Si discute nuovamente di come applicare le best practices nei contesti nazionali di riferimento, si cercano “le migliori tra le migliori” strategie e nuovamente ci si reca davanti ai luoghi della COC dove il lunedì abbiamo eretto le barriere di mattoni gialli, che, ora, alla luce di quanto appreso nei gruppi di lavoro, uno ad uno sono rimossi da porte e pareti.

Dopo pranzo il sindaco di Amsterdam ricorda quanto la città si sia battuta e si batta tuttora per l’affermazione della dignità e del rispetto nei confronti della comunità LGBTQI. Si passa ai ringraziamenti ufficiali al gruppo dei volontari, al prep team, alla squadra logistica, al communication staff, e ad Alex e alle sue bellissime foto.

Il prep team passa alla presentazione delle migliori strategie emerse ed elaborate in questi giorni di intenso lavoro. Significativo risalto è dato alle dinamiche di empowerment della lobby LGBTQI: si fa riferimento all’India e alla vittoria per la depenalizzazione dell’omosessualità e al caso africano dove governi “omofobi” rischiano di vedersi ridurre fondi di sostegno da quegli organismi internazionali che hanno attuato e attuano tuttora politiche antidiscriminatorie. Si riflette sul significato di questo evento, di questo unicum che, da 25 anni dalla nascita di IGLYO, ha visto per la prima volta generazioni di attivisti a confronto, giovani e “meno giovani” volontari LGBTQI provenienti da ogni parte del mondo discutere, confrontarsi, scambiare e condividere esperienze, dibattere serenamente o dissentire concitati, raccontare, raccontarsi e continuare ostinatamente a far sentire la propria voce battendosi perchè ogni persona in ogni parte del mondo possa fruire degli stessi diritti, per un mondo più gentile, inclusivo e antidiscriminatorio.

Finisce qui il breve racconto di questi quattro giorni ed è tempo di salutare tutti, di fare ritorno a casa con un preziosissimo bagaglio di esperienze; è il momento delle ultime foto e degli ultimi saluti. Scende la notte sulla Venezia del Nord mentre si tiene il party conclusivo di “This is who we are”. La notte passa ed eccoci il venerdì di nuovo all’aeroporto di Schipol, di nuovo tra voi, un caro saluto a tutti,

Giacomo Guccinelli


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