Punì uno studente bullo, un mese di carcere a prof

  

“Sono un deficiente” L’insegnante obbligò un undicenne a scrivere sul quaderno per 100 volte “sono un deficiente”. L’alunno aveva dato del gay a un compagno.

“Se è accaduto questo, è anche colpa dei genitori. Prima erano alleati dei professori, ora parcheggiano i figli a scuola solo perché non vogliono averli tra i piedi”. È amareggiata Giuseppa Valido, 59 anni, insegnante ormai in pensione di Palermo, condannata in secondo grado a un mese di carcere – pena sospesa – per “abuso dei mezzi di correzione”. La sua colpa? Aver costretto un alunno undicenne della scuola media Silvio Boccone di Palermo, nel 2006, a scrivere cento volte sul quaderno “sono un deficiente” come punizione per aver impedito a un compagno di entrare nel bagno dei ragazzi dandogli della “femminuccia” e del “gay”. La pena inflitta alla prof è più pesante di quella richiesta dall’accusa, che era di soli 14 giorni di reclusione. E pensare che la professoressa voleva semplicemente dare al suo alunno una “lezione di vita”.
I genitori: “Doveva pagare”
Con il rito abbreviato, nel giugno 2007 la donna era stata assolta. Ma il pm, insieme alla parte civile, aveva presentato ricorso. Ieri la condanna a un anno stabilita dalla terza sezione della Corte di Appello. “La mia cliente è ferita e addolorata e si sente tradita dalle istituzioni”, dice il legale dell’insegnante, Sergio Visconti, che annuncia ricorso in Cassazione. La docente resta convinta che l’atto di bullismo dell’undicenne meritasse quel tipo di punizione. Il bullo, dal canto suo, rimasto traumatizzato dalla professoressa, fu accompagnato dal padre all’azienda sanitaria per una seduta con gli psicologi che, dopo aver avvisato la direzione della scuola, si rivolsero alla procura. “Ha avuto quello che si meritava”, ha commentato il padre del bullo. “Doveva pagare il conto”. Ma al di là del metodo scelto per punire il giovane, la vicenda ha suscitato polemiche fra le associazioni omosessuali. “È triste apprendere che in Italia si possano subire insulti di stampo omofobo senza che chi li ha perpetrati possa essere punito – dice il presidente nazionale Arcigay, Paolo Patanè – mentre chi cercava di far capire al bambino che ha sbagliato viene condannato a un mese di carcere. Questo significa riconoscere dignità all’omofobia”.


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