Perseguitato in Senegal perché gay l’Italia gli riconosce lo status di rifugiato

  

La pronuncia del Tribunale arriva dopo un primo rigetto del ministero dell’Interno. Nel suo Paese veniva seviziato. L’avvocato Stoppello: “Grande vittoria dei diritti civili. È intervenuta anche Arcigay”
di FEDERICA ANGELI
È fuggito dal suo paese perché omosessuale. E in Senegal l’omosessualità è un reato punibile fino 5 anni di carcere. Ha cercato protezione a Roma, come rifugiato politico, ma la sua richiesta è stata respinta. Dopo un processo che sembrava non avere fine e a tre anni dalla richiesta di protezione internazionale, Aly, qualche giorno fa, difeso dall’avvocato Daniele Stoppello ha vinto la sua battaglia. Il tribunale Civile capitolino gli ha concesso lo status di profugo perché gay.

La storia di Aly D., 30 anni, è una storia di violenze fisiche, angherie, di persecuzioni. Faceva parte di un’associazione clandestina, la GoorJigeen, dove si incontrano, di nascosto, gli omosessuali, per paura di essere arrestati, perché l’articolo 319 del codice penale senegalese recita che “sarà punito con il carcere da 1 a 5 anni qualsiasi atto ritenuto impudico e contro natura con individuo dello stesso sesso”. Nel 2005 a una festa organizzata dall’associazione fecero irruzione un gruppo di mussulmani: spaccarono tutto, picchiarono i partecipanti e diffusero le loro fotografie affinché tutto il paese, Pikine, sapesse che erano omosessuali.

Da quel momento sono iniziate le torture da parte dei familiari e di chiunque lo incontrasse per strada: botte, sevizie e ustioni con acqua bollente gettata sul corpo. Aly, è così scappato dal Senegal e ha inoltrato la domanda per richiedere asilo. Nel 2010 però la Commissione Centrale del Ministero dell’Interno, ovvero l’organo preposto adecidere la protezione internazionale, ha respinto la richiesta.

Ma Aly non si è arreso e ha affidato la sua storia all’avvocato Daniele Stoppello che qualche giorno fa è riuscito a vincere la battaglia legale e a fargli ottenere lo status di rifugiato. “Nei procedimenti volti ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato – ha spiegato il legale – un punto che merita riflessione è quello relativo al piano probatorio perché c’è il rischio che si richieda una vera e propria probatio diabolica”. La prova del diavolo è quella che, in giurisprudenza, indica una prova impossibile. Come si fa infatti a dimostrare con assoluta certezza un orientamento religioso o sessuale, se non sulla base di dichiarazioni del soggetto coinvolto?

“L’orientamento sessuale come del resto la religione – ha proseguito l’avvocato Stoppello – possono essere travisati, nascosti, supposti, intuiti, insomma, si tratta di espressioni della realizzazione della personalità umana costituzionalmente tutelate ma difficilmente tangibili. Ecco perché, a mio avviso, l’indagine deve essere volta non tanto a stabilire se una persona sia o meno omosessuale quanto piuttosto a constatare se appartenga a un determinato gruppo sociale oggetto di persecuzione nel paese d’origine”.

Eppure grazie a due testimoni – un senegalese che ha dichiarato alla magistratura l’appartenenza di Aly all’associazione segreta omosessuale, a un compagno italiano col quale il senegalese ha avuto una relazione – e ai certificati medici redatti da una Asl capitolina che accertavano i segni delle ustioni e delle percosse sul suo corpo, il Tribunale Civile ha dato ragione al trentenne. Prova del diavolo superata. Preziosa è stata anche la partecipazione al processo dell’Arcigay. “Per la prima volta – ha concluso l’avvocato Stoppello – Arcigay è intervenuta in un processo civile per sostenere le ragioni di un richiedente asilo, superando un approccio giurisprudenziale più critico”.


  •