Un articolo de “La Padania” sul PadovaPride

  

E così anche Padova ha avuto il suo Pride, pubblicizzato a sequenza per ben otto mesi e gestito con abilità dagli organizzatori (Franco Grillini in testa, deputato dei Ds e presidente onorario dell’Arcigay) per suscitare e mantenere alta la curiosità dei Padovani da una parte e, dall’altra, per informarli sulla manifestazione (con una serie di appuntamenti e di incontri) e nel contempo per raccogliere fondi a copertura delle spese ordinarie, ovvero per la distribuzione di migliaia di santini, di preservativi e di volantini inneggianti alla convocazione del raduno dell’8 giugno. Uno dei giorni della Tredicina dedicata a S. Antonio, quando a Padova giungono migliaia di pellegrini per invocare l’aiuto del taumaturgo e/o per ringraziarlo dei benefici ricevuti. Uno dei giorni di un tempo particolare quando la città si apre e accoglie dentro e fuori le sue mura, tra le sue vie, oltre che nella basilica antoniana, donne, uomini, giovani che si interrogano sul valore della propria vita e che non vogliono essere solo cose tra le altre cose, ma sanno di esistere con un compito, un senso, uno scopo.
Nell’attesa del Gay Pride, avvenimento fuori dell’ordinario, non sono mancate polemiche e discussioni che hanno investito le istituzioni laiche e religiose. Se il sindaco ha rifiutato il patrocinio in nome non solo di sant’Antonio, ma anche nel rispetto e nella valorizzazione della famiglia naturale che la Lega e tutta la Casa delle Libertà promuovono attraverso sgravi fiscali, assegni e buoni ai figli, ecc. nella loro opera di buon governo, non sono mancati invece gli sponsor di omosessuali, lesbiche transgender come da cartellone pubblicitario e neppure l’apertura di un documento del coordinamento pastorale cittadino e della comunità francescana del Santo di cui riportiamo alcuni passi significativi (anche perché alcune parrocchie li hanno ciclostilati nei loro bollettini): «…la Chiesa ha in più occasioni dimostrato di cercare il dialogo con tutti, anche con le persone omosessuali:… l’ospitalità al gruppo omosessuali credenti che continua il suo cammino di ricerca e di fede in una parrocchia cittadina, l’attenzione del settimanale diocesano, sono segni della “maternità” della chiesa padovana… e ci dispiace che gli organizzatori del Padova Pride non abbiano voluto tener conto del momento particolare che vive la città del Santo in preparazione alla festa del suo Patrono…». Una sorta di nulla-osta per un dialogo che il mondo cattolico vuole tenere con tutti in nome della persona (un valore irripetibile) al quale non si è aggiunto il Comune, che ha dimostrato la sua completa estraneità a un orgoglio omosessuale, che ha rivelato anche di essere incapace di sottrarsi al consumismo con un’alluvione di gadget e di kit per tutti i gusti e per tutte le tasche. E la cultura di una “diversità” che pretende di fruire di quei diritti civili che spettano costituzionalmente alle famiglie tradizionali, cioè agli altri, a coloro che per “loro” sono diversi, ha ammainato le bandiere che mentre inneggiavano con linguaggio scurrile e allusivo a orientamenti sessuali alternativi a quelli canonici ponevano i cosiddetti normali in un ghetto minoritario, razzista, conservatore di privilegi civili e costituzionali antidiluviani, “superati” oggi da modelli nord-europei e d’oltre oceano a dispetto della sacralità del matrimonio e del diritto dei minori di essere allevati ed educati da un padre e da una madre la cui identità sessuale non sia convenzionale né transitoria.
A rinsaldare il triste connubio tra i due fronti si è inserita una giornalista del giornale diocesano Difesa del popolo che, in un quotidiano locale, non solo ha equiparato l’immigrato clandestino all’omosessuale, ma anche affermato che i bambini debbano essere educati a conoscere e a riconoscere nella presunta diversità, l’“uguaglianza” dei diritti, la positività delle differenze, e a riflettere sull’immensa varietà del genere umano, affinché non crescano bigotti e ciechi davanti al “nuovo” che avanza e che pretende gli si tenda una mano solidale. Le adesioni politiche al corteo non sono mancate: dai Ds locali alla Cgil, allo Sdi, ai Comunisti italiani, a qualche petalo della Margherita, oltre che ai membri dei centri sociali in una sfilata che procedeva tra sghignazzi, falli verbali megagalattici, striscioni inneggianti al libero sesso e alle sue trasgressioni, mentre le reali discriminazioni che certa omofobia sparge a piene mani nei posti di lavoro, tra i conoscenti e nei luoghi pubblici contro i gay, appariva secondaria anche se è una vera violenza contro la persona. Tra nudismo provocante e travestimenti impropri non è mancato qualche striscione contro il governo Berlusconi e i suoi ministri che non ritenendo l’omosessualità, né un motivo di orgoglio, né di esempio, né di stile di vita, hanno sostenuto la famiglia come risorsa economica, sociale, civile e morale, penalizzata invece dai passati governi e dalle sinistre, che, favorendo piuttosto poteri anonimi e apolidi, hanno minato la cellula prima della società e hanno impedito la nascita di una democrazia partecipativa e rappresentativa delle nostre comunità.


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