Le lacrime del mondo e le nostre insufficienze

  

Mentre la guerra in Iraq si evolve e rende evidenti gli errori commessi dalla dottrina del conflitto preventivo dell’Amministrazione americana, non di meno emergono problemi e temi che non rendono sufficiente la mera opposizione alla guerra, se non accompagnata da proposte credibili. Sono infatti non occultabili alcune contraddizioni presenti nel movimento pacifista, soprattutto nel senso di una profonda carenza di proposte da interporre alla nuova filosofia di guerra preventiva.

Le immagini dei prigionieri politici intrappolati nei cunicoli bui delle carceri del sanguinario regime di Saddam, si ricollegano alle masse sterminate del globo che sono sotto il giogo di dittature altrettanto crudeli e di cui nessuno si occupa.

Alla retorica ipocrita di Bush, che punta il dito su alcuni “regimi canaglia”, per poi sorvolare su decine di crudeli dittature, non può essere il solo terreno d’opposizione da parte della sinistra e del movimento pacifista. La pace, se non vi è libertà e democrazia, è solo una vetrina dove si è colpevolmente deciso di oscurare gli specchi, per non vedere dentro.

L’Europa, il pacifismo, le forze della sinistra devono misurarsi rispetto alla propria inadeguatezza, per trovare parole convincenti che parlino ai dissidenti cubani, come ai milioni di cinesi di cui non si sa più nulla, per non dimenticare gli oppositori dei regimi dei paesi arabi cosiddetti “moderati”: dittature, dove le libertà individuali e collettive sono calpestate tutti i giorni, dove le consultazioni elettorali sono delle farse, dove l’appartenenza a minoranze religiose, politiche, culturali e sessuali, è di per se un delitto da punire in alcuni casi con la morte.

La teoria della guerra preventiva, oltre che a rimettere pericolosamente in discussione il diritto internazionale e a prefigurare il ruolo degli Stati Uniti, come unico paese che può imporre la democrazia sul pianeta, pone ai paesi europei il dovere di trovare una risposta positiva che da una parte aiuti gli americani a rinunciare a un progetto di cui le conseguenze non possono che essere drammatiche, ma che dall’altra sia una speranza per le centinaia di milioni di persone che subiscono la dittatura.

L’attuale equilibrio mondiale, lo sappiamo tutti, è il risultato di secoli di colonialismo e, più recentemente, della guerra fredda. Non è quindi, possibile trovare risposte immediate che, attraverso processi pacifici, diano al mondo ciò che si merita: un nuovo ordine basato sulla democrazia e la giustizia sociale, rispettoso delle differenze, che davvero promuova lo sviluppo e elimini gli squilibri economici.

Può anche darsi, che Bush si “accontenti”, di intervenire ancora in poche aree del mondo, tanto per rassicurare la sua opinione pubblica e le multinazionali e poi, conscio del fatto che una cosa sono le affermazioni di principio e altra è riuscire nell’impresa di diventare il carabiniere del mondo, si fermi. Ma noi possiamo “accontentarci”? Ovvero, possiamo sventolare le nostre colorate bandiere, contro questo o quel conflitto, contro la fame nel mondo e le ingiustizie e poi, alla fine, essere sazi della nostra militanza e attendere una nuova tragedia?

E’ invece venuto il momento di assumerci il compito, come europei appartenenti all’area della sinistra politica di rispondere con chiarezza a una domanda: è possibile che il mondo possa tollerare le lacrime di milioni di disperati oppressi dalla schiavitù?

Evocare con forza la riforma dell’Onu, delle organizzazioni internazionali, non è sufficiente, perché permette nei fatti che nelle pieghe della diplomazia mondiale, si riciclino le oppressioni che, come negli ultimi cinquant’anni non hanno avuto difficoltà ad approvare la Carta dei diritti dell’uomo e tutte le altre solenni risoluzioni, salvo poi stracciarle davanti alle camere di tortura.

Aurelio Mancuso, Segretario nazionale Arcigay

Aurelio Mancuso, Segretario nazionale Arcigay

No, è giunto il momento di discutere in profondità di che cos’è oggi l’uomo, cioè cosa nel futuro deve essere fatto perché vi sia una vera speranza per i tre quarti del pianeta di un riscatto, magari lento, ma certo e concordato. Bisogna saperlo, ciò significa aprire un conflitto nuovo, ovvero assumersi finalmente l’onere di affrontare con chiarezza alcuni nodi non risolti, nemmeno dalla sinistra. In primo luogo non è più possibile confondere i popoli con i regimi e, in secondo luogo dobbiamo fare di tutto per aiutare chi si oppone nei propri paesi ai dittatori con convinzione, in aperta sfida con quei regimi. Un ingerenza politica forte, che contrasti credibilmente il mero ricorso alle armi. Dobbiamo quindi, trovare una risposta altra rispetto alla dottrina di Bush, che si ponga l’obiettivo di abbattere le dittature. Cioè dobbiamo smascherare le ipocrisie degli interessi economici delle multinazionali e dei nostri stati democratici, ma allo stesso tempo bisogna superare il cieco e antiquato (nonché colpevole) internazionalismo che non dice fino in fondo che la gran parte dei paesi poveri lo sono perché governati da dittature, che queste in alcun modo debbono contare sul nostro sostegno, neanche (anzi soprattutto) quando evocano miti e storie da cui è difficile distaccarsi.


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